lunedì 3 dicembre 2012

Destrudo ...


Violenza collettiva e antidoti statali


Che vi sia un istinto di morte operante a fianco del più evidente istinto di vita, e forse proprio in funzione di questo, è un dato di fatto innegabile, di cui si trovano esempi quantomai numerosi e lampanti nei fenomeni sociali. Che ciò sia un problema politico, di quella politica che non si rifiuta di amministrare la vita collettiva in tutti i suoi aspetti molteplici ed anche in quelli che sembrano non riguardarla da vicino, è cosa che non si deve fare a meno di rimarcare e su cui non si può non insistere, tanto è importante. 
Tra gli accadimenti in cui è celato il desiderio di morte, che si rivolge contro gli altri prima di tutto, ma anche contro sé stessi se nell'atto precedente si è bloccati da una sorta di pudore o timore morale, vanno citati quelli che risultano essere i più eclatanti e che si verificano a livello della vita associata: il bullismo, la violenza negli stadi e la violenza di piazza. In tutti e tre questi fenomeni la morte si esprime come agressività cieca che vuole essere sfogata, e che, se non fosse per le limitazioni concrete che fanno da ostacolo, si risolverebbe addirittura nell'annientamento.
Nel bullismo, manifestazione propriamente giovanile, si ha un raggruppamento di individui che usano la propria forza per soggiogare individui più deboli, senza alcuna motivazione o causa effettiva. L'aggressione, che è psichica e fisica assieme, non avviene per difesa da un pericolo, né per prevenzione a seguito di una minaccia, ma si mostra come sostanzialmente gratuita. Qui, attraverso un avvenimento pretestuoso, si mira semplicemente a estrinsecare una volontà di dominio sottomettendo l'altro al proprio volere fino a danneggiarlo nella sua integrità. Questa dimostrazione di violenza autoritaria finisce per fornire un esempio di vita onorevole sia per i maschi, i quali sogliono imitarla nel desiderio di conquistarsi rispetto e considerazione, sia per le femmine, che sembrano prediligere i tipi del genere nella scelta del partner. Un'educazione siffatta non può che tramutarsi nel culto della forza bruta, il quale, se mantenuto anche in età adulta, si presenta come una minaccia per l'ordine sociale. 
Negli scontri verbali e maneschi che avvengono negli stadi durante i giochi sportivi, tra le tifoserie opposte e tra queste e le forze dell'ordine, si amplia il numero degli individui interessati. Anche in questo caso le motivazioni e le cause si mostrano come dei pretesti irragionevoli per trarre fuori da sé una tensione accumulata. La violenza è indiscriminata, in quanto le distinzioni settarie su cui si applica non hanno nulla di logico; è come se un demone si impossessasse uno ad uno dei componenti della folla portandoli alla follia, in un contagio difficilmente arrestabile e che coinvolge tutte le parti protagoniste. A farne le spese è l'immagine di una nazione, che diviene preda degli altrui giudizi di inciviltà, di fronte al resto del mondo e anche di fronte a sé stessa, ovvero alla propria cittadinanza. 
Negli avvenimenti conflittuali che riguardano le manifestazioni di piazza, ancora tra cittadini di diverse fazioni e tra questi e le forze di polizia, il coinvolgimento della politica è maggiormente visibile; anzi, al contrario delle due forme precedenti questa forma di espressione violenta ha delle motivazioni e delle cause generali ponderate. Eppure, nonostante ciò, e nonostante l'utilità sociale a cui codesto tipo di violenza si piega (su tale affermazione, che la violenza di piazza possieda un'utilità sociale, certamente in molti non saranno d'accordo, ma non sono io, in realtà, a sostenere questa posizione azzardata: è la storia stessa con i suoi eventi, piuttosto, a sostenerla), il solo fatto che vi sia un'esigenza popolare di manifestare il proprio dissenso nei confronti dell'autorità statale è un problema, giacché dimostra la presenza di un'insofferenza diffusa tra le moltitudini soggette al potere. 
Ora, il compito di una politica assennata non è quello di reprimere le espressioni sociali deleterie una volta sorte - così infatti il problema non viene affatto risolto - bensì quello di prevenire il loro prodursi; se ciò non avviene la politica non può essere detta politica sana, perché ne va del mantenimento dell'ordine generale. Alla radice della violenza sconsiderata degli atti di bullismo, degli scontri negli stadi, degli scontri di piazza e di qualsiasi altro avvenimento del genere, sta sempre un malessere interiore del singolo, di stampo prettamente nichilistico, derivato da condizioni sociali disagiate (dallo stato di povertà familiare al vivere in un ambiente malfamato; dall'assenza o disinteresse dei genitori all'influenza delle cattive compagnie, e così via dicendo): se ciò è vero, allora eliminando questo disagio profondo si preverrebbe anche l'insorgere della violenza mortifera. Ma il malessere sociale non può essere eliminato se non in un modo: attraverso l'assistenza statale rivolgentesi a tutti quei casi speciali che, in quanto tali, fuoriescono dalla norma dell'esperienza vissuta ordinaria, in modo da annullarne il potenziale negativo mediante programmi mirati al riempimento delle mancanze economiche, affettive e valoriali.
   

Biologia ...


Discorso sulla natura della vita e fenomenologia della morte


Per poter comprendere la morte occorre innanzitutto comprendere la vita. La morte infatti della vita non è l'opposto, come si suole pensare, bensì la sua estremità finale, così come la nascita ne è l'estremità iniziale: la morte è allora l'opposto della nascita.
Detto questo ci si chiede: "che cos'è la vita?". La vita si mostra come un processo chimico-fisico-psichico che si individua in un gruppo determinato di enti che chiamiamo enti vivi, o esseri viventi. La peculiarità di tali esseri è il fatto di essere in grado di muovere da sé le proprie parti interne ed esterne in vista della conservazione e della crescita. Ma che cos'è che fa sì che essi possano muoversi in tal senso? Quale elemento li distingue dagli enti ordinari inabili alla vita?
Sovente si appellano gli esseri con l'aggettivo "animati" in sostituzione di "viventi". Se "animato" e "vivente" sono sinonimi, allora anche i termini dai quali codesti aggettivi derivano devono essere tali, e dire "anima" è quindi identico a dire "vita". L'identità di anima e vita è presente sin dagli albori del pensiero umano, sia in Occidente sia in Oriente. Coniando il concetto di anima si è appunto voluto dare un nome a quell'elemento misterioso che si suppone renda vivi alcuni tipi di enti e non invece altri. Che un'anima sussista ed esista è cosa certa, altrimenti non vi sarebbe modo di distinguere, ad esempio, un animale da una pietra. L'anima è pertanto la causa della vita in quegli enti che ne possiedono il privilegio, ma bisogna scovare in che modo questa causa agisca a generare il processo chimico-fisico-psichico vivificante.
La differenza tra l'animale e la pietra è che il primo presenta in sé un anima attiva che gli permette di sviluppare il movimento. Dal punto di vista strettamente scientifico qualsiasi tipo di processo motorio, interno od esterno che sia, ha bisogno di un'energia per avere luogo; senza l'apporto energetico necessario nessuno sforzo può darsi, e dunque nessun tipo di moto. L'energia dona la spinta dalla quale si genera ogni lavoro, intendendo quest'ultimo come un muoversi finalizzato a un qualche scopo. Ciò significa che se la vita è movimento interiore ed esteriore, e se l'anima è, agendo, la causa della vita, allora l'energia, che è causa del movimento, è anche causa della vita e coincide con l'anima stessa. Ma se l'anima è energia allora essa non può essere l'elemento di distinzione tra enti inanimati ed esseri viventi, in quanto sappiamo che l'intera materia non è altro che energia condensata in una forma consistente.
Se ciò è vero, se sia gli enti inanimati sia gli esseri viventi possiedono un'anima-energia, la distinzione fondamentale deve essere ricercata altrove, ovverosia nel corpo. La differenza tra un animale e una pietra è infatti che il primo possiede un corpo in grado di sfruttare l'anima-energia presente al suo interno, e procurata dall'esterno mediante la nutrizione, per produrre movimento. Egli fa ciò mediante i suoi organi interni e le sue membra esterne, organi e membra che l'altro non possiede. Organi e membra sono allora gli elementi discriminanti tra ente inanimato ed essere vivente. 

La vita è quindi anima-energia che agisce con l'ausilio delle strutture corporee. Ciascuna vita è legata a un singolo essere e ne condivide la durata; ha un inizio e una fine che si delineano come nascita e morte dell'essere in questione. La nascita è generazione a partire dall'unione di una coppia di altri esseri, specificamente maschio e femmina. La morte è invece decomposizione, anche qui verificantesi, in parte, per mezzo dell'azione di altri esseri viventi (batteri soprattutto), di cui diveniamo nutrimento, e in parte ad opera degli enzimi non più trattenuti nelle cellule, i quali liberandosi innescano una sorta di auto-digestione dei tessuti, disgregandoli. Ma se questa è la sorte del corpo, quale può essere la sorte dell'anima? Tutti gli esseri animali si nutrono esclusivamente di materia solida, ed estraggono energia da questa materia. Gli esseri vegetali, al contrario, sono in grado di sintetizzare da sé il nutrimento materiale a partire dall'energia della luce solare, e dunque non si nutrono di corpi. Nessun essere che si nutra di corpi è capace di procurarsi energia direttamente e di sfruttare l'energia pura. La sorte dell'anima pertanto non coincide con la sorte del corpo. 
L'anima-energia, non essendo corporea, non può decomporsi. Ma se si definisce la morte come decomposizione delle strutture corporee, si giunge alla conclusione che essa non può morire, e risulta essere quindi immortale. La morte però, più precisamente, può essere definita come cessazione delle funzioni vitali a seguito del deterioramento delle strutture corporee, quand'esse siano colpite e irrimediabilmente danneggiate oppure si usurino progressivamente per via dell'uso continuato, rovinandosi da sé, mentre la decomposizione è piuttosto un processo che si verifica in un tempo successivo, a morte già avvenuta: essa è la morte propria della materia non-più-vivente. L'anima, certamente, cessa di agire quando non ha più il supporto materiale adatto alla sua azione; quando cioè gli organi e le membra che le permettevano di far sorgere il movimento vitale non sono più in condizioni di sfruttare l'energia per compiere un qualsiasi lavoro. In questo senso l'anima muore con la morte del corpo, pur senza dissolversi.
Quest'anima che prima fluiva in un corpo e che ora è impossibilitata ad agire non scompare, ma, una volta esaurita, permane nella sua condizione originaria di elemento sostanziale presente in ogni corpo materiale, ed anche al di fuori dei corpi come energia allo stato puro. Essa allora è sempre presente ovunque, e la morte dell'individuo non intacca il suo essere unitario come anima del mondo, né la sua capacità di agire in altri modi al di fuori dei processi chimico-fisico-psichici che sono propri degli esseri viventi. 
   

Precorrimento ...


(Forma metrica: ballata)


Sorella Morte


Diligente giungi, Sorella Morte
a por fine ai respiri
affinché la Vita altra vita ispiri
e ancor durare possa la sua sorte.

Solenne e impietosa meta si staglia
all'orizzonte, tetra e spaventosa;
l'esistenza nostra è fuoco di paglia
che si consuma con fiamma dolosa:
vedremo ancora la luce che abbaglia
nel gaio al-di-là di brama smaniosa
quando dovremo oltrepassar la soglia
o sarem noi stessi luce vistosa?

Il corpo ch'eternamente riposa
si fa terra e alimento;
eppur l'anima non avrà tormento
ma beatitudine come consorte.

Diligente giungi, Sorella Morte
a por fine ai respiri
affinché la Vita altra vita ispiri
e ancor durare possa la sua sorte.

venerdì 9 novembre 2012

Rinascita ...


Immoralità contemporanea e recupero dell'etica antica


Mai come oggi si mostra come urgente una rifondazione etica nell'ambito sociale, e tale esigenza si intravede a tutti i livelli: nelle istituzioni politiche, economiche, religiose, giuridiche, eccetera. Eppure un'iniziativa del genere non può che venire dall'alto, in un movimento che procede dagli educatori agli educati, dai maestri agli allievi. La coscienza dell'individuo si trova infatti ad essere inevitabilmente plasmata dalla comunità circostante, cosicché una comunità immorale genererà necessariamente nel suo grembo un individuo immorale, il quale, insieme agli altri individui, andrà poi a formare il corpo collettivo corrompendolo a sua volta, in un circolo vizioso inarrestabile. La società odierna non è che l'esemplificazione di codesto processo, laddove in ogni mestiere, da quello di imprenditore o di banchiere a quello di avvocato o di governante, da quello di operaio o di impiegato a quello di artigiano o di contadino, e poi in quello di medico, di giornalista, e così via, si mostra evidente la tendenza a perseguire esclusivamente il proprio vantaggio privato, non curandosi minimamente di armonizzarlo con il vantaggio privato altrui, come se non vivessimo in un raggruppamento ordinato, il cui principio fondamentale è il rispetto vicendevole e la cooperazione di tutti all'insieme generale, quanto piuttosto in un novello "stato di natura" in cui viga un'aspra competizione dei singoli, in una gara a calpestare i diritti dell'altro per non dover subire noi stessi la medesima sorte. Dov'è mai, allora, quella sicurezza che deriva dal quieto vivere e che ciascun uomo certamente auspica, se ognuno opera, chi per scelta intenzionale (ovverosia costretto da agenti interni), chi senza intenzione (perché costretto, invece, da agenti esterni), in direzione del sopruso e della sopraffazione? Ristabilire una sana convivenza: questo si delinea come uno dei compiti della politica contemporanea. 
Sana convivenza è una convivenza in cui il conflitto, pur presente, non intacca il benessere dell'esistenza altrui. Ciò può darsi solamente ponendo solide basi sulle quali edificare l'armonia sociale, oggi perduta a causa della compiuta demolizione della morale cristiana, la quale, mediante le sue massime condivise ("ama il prossimo tuo come te stesso"; "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te"), assicurava, in Occidente, un controllo civico sulle coscienze, tenendo a bada l'insorgenza di eventuali istinti aggressivi antisociali. Se tale morale è oramai impotente, a seguito dei processi di secolarizzazione, ecco che lo Stato, fosse anche corrotto, deve farsi carico dell'imposizione di un'etica laica, che si fondi, alla maniera dell'etica greco-romana, sull'equivalenza tra virtù, intesa come atto buono e giusto, e felicità, intesa come condizione di appagamento interiore, e deve farlo mediante tutti i mezzi coercitivi a sua disposizione, a partire dal martellamento mediaco e dall'istruzione dei giovani; non vi è altra soluzione per estirpare l'egoismo insano, se non questa. Dopo che ciò sia avvenuto, la società tornerà a nutrire generazioni di individui puri, capaci cioè di discernere il bene dal male (non esclusivamente il proprio bene, ma anche e soprattutto il bene collettivo) a partire da principi morali razionali: essi giungeranno infine a comporre una comunità altrettanto pura, bloccando e invertendo quel circolo vizioso che è uno dei più grandi mali del nostro tempo. 
     

Sophos ...


Sapienza, saggezza, santità. Distinzioni concettuali


Non esclusivamente la sapienza, non esclusivamente la saggezza, bensì sapienza e saggezza insieme fanno l'uomo puro. Occorre, innanzitutto, sancire la differenza tra i due termini. 
Sapienza indica un sapere meramente teoretico; sapere un qualcosa significa infatti comprenderlo nelle sue cause prime. Nel momento in cui io mi trovo dinanzi a un ente, a un essere, a un'entità, a un fenomeno, e lo spiego scovandone il "perché", ecco che acquisisco comprensione e dunque sapienza riguardo a quell'ente, essere, entità, fenomeno. Posso dire allora di saper pensare.
Saggezza, al contrario, indica un sapere meramente pratico; esser saggi significa essere in grado di agire bene, ovvero di agire in maniera adeguata alle circostanze. Nel momento in cui mi trovo in una determinata situazione, ecco che ponderando i pro e i contro giungo ad attuare la scelta più consona e quindi a comportarmi saggiamente. Posso dire allora di saper vivere.
Si può essere sapienti pur non essendo saggi, e saggi pur non essendo sapienti. Nel primo caso, si avrà un uomo di conoscenza, nel secondo caso, un uomo di esperienza. Più difficile è invece per il sapiente attuare il pensiero, e per il saggio pensare l'azione. Eppure il pensiero contiene un rimando all'azione, e l'azione un rimando al pensiero: entrambi tendono a completarsi nel proprio opposto. Solo nel caso in cui un uomo possieda tutte e due le qualità si potrà di lui affermare che è un uomo completo. 
L'uomo completo, che ha compiuto la propria natura pensante e agente, coincide con l'uomo puro. Purezza sta qui a significare l'essere-senza-macchia, incapace di commettere errori nella teoria come nella prassi. L'uomo puro è essenzialmente un uomo integro, e l'integrità fa intravedere l'orizzonte dell'etica, nel quale solamente è possibile portare alla luce il bene. Le figure del sapiente e del saggio si identificano, pertanto, nella figura del santo, cioè di colui che fa necessariamente il bene.
     

Purezza ...


(Forma metrica: quartina di settenari in rima incrociata)


Che ne sarà dei puri?


Che ne sarà dei puri
esseri non compresi
continuamente offesi
da ipocriti e spergiuri;

che ne sarà di loro
da impurità mondati
se uomini adirati
li accuseranno in coro

e, vittime del male
da animali feroci
inferto - morsi atroci
- avran morte brutale?

Forse che nasceranno
un giorno menti sane
che la preghiera inane
di essi ascolteranno;

forse che svanirà
la folla dissennata
crudele, infuriata
o ancor condannerà

il loro agire giusto
su ragione fondato?
Certo non sarà obliato
un 'sì barbaro gesto.

Eppur mai come oggi
nel tempo degli indegni
urge l'atto che insegni
l'integrità dei saggi

sicché permanga esempio
eterno di saggezza.
Dico allor con fermezza:
viva il buono, non l'empio.

lunedì 1 ottobre 2012

Global ...


Nazionalismo e mondialismo: problemi e prospettive 


Nel mondo occidentale permangono residui di nazionalismo, sebbene lo Stato-nazione non esista più da decenni, smantellato dai processi di globalizzazione. In particolare, tali residui si ritrovano nell'ideologia di destra, nella mentalità degli eserciti, e nei desideri di rivalsa dei paesi distrutti od oppressi.
Nel primo caso, si manifesta l'incapacità di determinate fazioni politiche di comprendere e accettare il necessario andamento temporale della società, con tutti i suoi portati benigni e maligni. Non a caso, la parola d'ordine di queste fazioni si esprime in una volontà di conservazione dell'assetto attuale nei suoi aspetti più tradizionali, e, nei casi più estremi, in una volontà di reazione al nuovo che avanza, ovvero in un ritorno a un passato che non può più darsi: non è possibile, infatti, cancellare gli eventi accaduti e le tendenze in atto, né è possibile portare indietro la ruota della storia.
Nel secondo caso, si manifesta un'ideologica divinizzazione della patria nazionale come spazio di un determinato popolo, spazio che va difeso a ogni costo per la salvaguardia dell'identità del popolo stesso. L'ideale di una patria-nazione è prettamente ottocentesco, e viene ancora oggi instillato nelle coscienze dei soldati attraverso una ferrea educazione (o disciplinamento, se si preferisce); senonché esso si mostra come un'idea vuota e astratta in assenza di un popolo unitario. Chiaramente, ciò avviene perché gli uomini hanno bisogno di uno scopo che sia abbastanza nobile e importante da convincerli, in nome di esso, a sacrificare la propria vita in combattimento.
Nel terzo caso, si manifesta una conseguenza diretta dell'azione della volontà di potenza dei maggiori Stati occidentali, i quali, nella loro mancanza di rispetto verso tutto ciò che è altro da loro, e allo scopo di acquistare/conquistare per sé ricchezza e potere, sono portati a violare l'altrui diritto alla vita e all'autodeterminazione, ponendo la propria mano violenta su quei paesi, e sui cittadini di quei paesi, considerati inferiori o arretrati. Il risultato è la proliferazione, all'interno di tali paesi, dell'odio nei confronti dei distruttori od oppressori esterni, nonché l'emergere dell'esaltazione della propria diversità e, quindi, la rinascita di una identità nazional-popolare in funzione della liberazione.
Nonostante questi residui, la politica deve comprendere che l'idea di nazione, così come quella di popolo e di patria, non ha più significato. Oggi, la nazione fuoriesce dai confini nazionali per assumere i confini continentali e recarsi ben oltre, sino ad assumere l'intera ampiezza del globo terrestre. Qui il popolo è costituito da tutti i cittadini nord-occidentali, e, in senso ancora più allargato, da tutti i cittadini del mondo. Precisamente, l'Occidente e il Nord sono la nostra odierna patria, ma il fine della globalizzazione deve essere quello di far rientrare in questa idea anche l'Oriente e il Sud: così soltanto, infatti, tutti i conflitti potranno essere finalmente sanati.

Radici ...


Origine e senso del concetto di Patria


Il concetto di Patria rimanda alla figura del padre; padre come figura famigliare, come figura statale e poi continentale, infine come figura divina. Il padre è, tradizionalmente, il dominatore e l'educatore; appartiene quindi in tutto e per tutto all'ambito culturale. Patria è, altresì, colei che edifica le coscienze dei propri figli, donandogli una forma; è colei che ordina e vuole essere obbedita in vista di un bene collettivo. La sua origine sta, certamente, nella fedeltà al sovrano, e difatti essa si mostra definitivamente dopo la graduale spersonalizzazione del potere politico nel corso dell'età moderna.
Si nota, però, come il termine sia declinato al femminile e non al maschile, e come spesso sia accompagnato dall'appellativo di "madre" (Madre Patria), e questo sembra contraddire il rimando all'immagine paterna. Codesta contraddizione è però meramente superficiale, apparente: l'origine del padre sta, infatti, nella madre che lo partorisce, e la cultura non è mai prima in ordine di tempo, giacché essa sorge sempre dalla natura. Ora, per gli antichi il maschio, a causa della sua fecondità spirituale, è simbolo di potenza culturale, mentre la femmina, a causa della sua fecondità corporea, è simbolo di potenza naturale. Ciò significa che all'origine si ha sempre il principio femminile, mentre il principio maschile è sempre derivato e successivo, in quanto procede da quello: così anche la Patria, nella sua declinazione, mostra la propria origine dall'immagine materna. Inoltre, Patria è anche il luogo natio, il grembo natale, e per tal motivo la si denomina come madre, una madre che accudisce e alleva i propri figli.
Si può allora intravedere nella figura della madre il significato più profondo del concetto, presente sin dagli inizi dell'umanità, sebbene il concetto medesimo fosse ancora inespresso. Se fosse stato espresso, tale concetto avrebbe assunto il nome di "Matria". Matria è la terra e la casa nella quale, appunto, si nasce e si trascorre la propria infanzia, le cui esperienze ci accompagneranno lungo l'arco dell'intera vita, e i cui ricordi vaghi e frammentari saranno posti ad archetipi di una felicità oramai irraggiungibile; è la terra e la casa dalla quale ci si diparte senza mai poter lasciarla completamente, e alla quale inevitabilmente si ritorna, realmente o virtualmente, nella concretezza della presenza fisica oppure nell'astrattezza dell'immaginazione. Tale è il senso recondito che permane invariato lungo la storia dei vari mutamenti linguistici, e rispetto al quale il senso precedente risulta quindi essere secondario; pertanto, esso si delinea come l'essenza più intima del concetto.
  

Heimat ...


(Forma metrica: decasillabo sciolto)


 Patria materna, Matria paterna


Patria materna, Matria paterna
da te io parto, a te ritorno
in sogno, inesorabilmente
novello Odisseo esploratore
di mari tutt'ora inesplorati.
"Nazione" ancor ti chiamano alcuni
'ché agli orecchi loro non è giunta
la voce potente della Storia;
eppure mia nazione è nient'altro
che il luogo natale e dell'infanzia
i cui frammenti, innumerevoli
dispersi sono come immagini
nei fondi abissi della memoria.
In te anche un giorno sorgerà
uomo, il desiderio d'andare;
di fuggire su strade sterrate
altrove volgendo gli occhi gravidi
d'insoddisfazione e rabbia greve;
le spalle voltando a quel passato
che mai promise futuro (e tu
perché una tal promessa pretendi?).
Ma io ti dico, in verità
e la parola ti giunga integra
dalla mia casa, dalla mia terra:
nulla troverai fuori di lei 
se non un'amara nostalgia.

giovedì 6 settembre 2012

Guru ...

  
Stato occidentale e religioni orientali: aperture


La politica occidentale odierna resta legata alla concezione, oramai superata nell'epoca della globalizzazione, di una "religione di Stato", che in Europa e in Nord America significa preminenza del cristianesimo nella sua forma ortodossa, cattolica o protestante. Ma se il compito della politica è quello di praticare il buon governo e al contempo assicurare il benessere ai cittadini, allora il superamento dei nazionalismi religiosi diviene un atto doveroso e quantomai necessario.
La popolazione di uno Stato occidentale mostra, in primo luogo, una tendenza ad abbracciare la religione primaria come conseguenza dell'educazione dominante, e, in secondo luogo, una tendenza al disincanto propria dei giovani delle nuove generazioni, tendenza che ha come conseguenza la scelta di un indirizzo ateo o agnostico. Inoltre, si può constatare la presenza di più o meno ampie minoranze di appartenenti a fedi secondarie.
Ora, se la politica decide di favorire e sostenere una sola religione sopra le altre, oltre a compiere un atto anacronistico, giacché in tal modo viene ostacolato il pluralismo confessionale, essa non fa altro che ridurre le possibilità di realizzazione del cittadino, il quale, se nella sua ricerca del benessere non trova soddisfazione nei precetti condivisi, finisce per non avere altri luoghi verso cui rivolgere la propria spiritualità. Ciò significa che l'uomo occidentale permane imprigionato nelle maglie del cristianesimo, oppure, al limite, delle minoranze religiose più ampie, quali ad esempio l'islamismo.
Le religioni orientali restano perlopiù tagliate fuori da tale orizzonte spirituale. Nondimeno, proprio codeste religioni affermano una pratica peculiare che è una via estremamente efficace al benessere interiore: la pratica della meditazione. Meditando, infatti, l'uomo rilassa il corpo e la mente ed elimina le angosce quotidiane, migliorando il proprio stato d'animo. Per questo motivo una politica seria, consapevole del proprio ruolo sociale, dovrebbe impegnarsi nel promuovere iniziative volte ad assecondare la diffusione di quelle religioni che, fondando la propria attività sulla meditazione, risultano essere maggiormente propense alla diffusione del benessere fra le moltitudini, ovverosia il buddismo, l'induismo e simili.

Atarassia ...


Tipologie e modalità di superamento dei turbamenti interiori


I desideri e le passioni turbano l'animo dell'uomo. La tranquillità dell'animo è, però, una delle prerogative dell'uomo felice rispetto all'uomo comune oppure infelice. La felicità, pertanto, presuppone l'imperturbabilità.
Un uomo che abbia in sé l'animo pacificato è detto essere in uno stato di beatitudine. La beatitudine non è altro che un'assenza di turbamenti interiori. Con turbamento interiore intendo, appunto, un desiderio che preme per essere soddisfatto, o una passione che prende possesso dello spirito e, dunque, del corpo. 
Quando un desiderio si affaccia alla coscienza, l'animo si inquieta inevitabilmente. La sua inquietudine deriva dal voler conseguire qualcosa che non si possiede e che, spesso, non si può possedere in alcun modo. Più la soddisfazione del desiderio suddetto sarà difficile, più lungo sarà il periodo di tempo nel quale l'animo permarrà in una condizione di turbamento.
Quando una passione sorge, l'uomo viene a trovarsi in uno stato di disordine psico-fisico. Un siffatto disordine procede dal dover fronteggiare una forza impetuosa che, il più delle volte, surclassa la potenza della ragione. Sino a che la passione irrazionale avrà forma di patimento, sarà lei a guidare le nostre scelte, regalandoci preoccupazioni e sofferenze evitabili.
Eliminare i turbamenti significa eliminare non i desideri e le passioni, essenziali per vivere appieno la propria esistenza, bensì gli effetti collaterali che hanno come causa i desideri e le passioni. Per far ciò, occorre mantenere il governo della ragione, unica facoltà spirituale capace di misura e in grado, quindi, di tenere le redini del corpo. Il governo della ragione, però, non deve essere inteso come una repressione dei desideri e delle passioni: ciò, infatti, porterebbe a quell'infelicità che si cerca, piuttosto, di evitare.
Due sono i modi razionali di far fronte al turbamento conseguente ai desideri: la loro soddisfazione, da un lato; il loro annullamento alla radice, dall'altro. Nel momento in cui si esperisce il desiderio, il primo pensiero deve essere, quando essa sia attuabile ed attuabile in tempi brevi, la soddisfazione. Il compito della ragione è, qui, di favorire il conseguimento della cosa desiderata, escogitando strategie per aggirare o scavalcare gli ostacoli eventuali. Ma se il desiderio è inattuabile o difficilmente attuabile, allora esso va estirpato dalla propria mente, e ciò è possibile esclusivamente attraverso la pratica meditativa. Il compito della ragione sarà, allora, quello di concentrarsi in sé stessa, acquisendo un alto grado di consapevolezza interiore.   
Uno soltanto è il modo razionale di far fronte al turbamento conseguente alle passioni: tramutare il patire in un agire. Nel momento in cui si esperisce la passione, il primo pensiero deve essere il mantenimento della padronanza di sé stessi. La ragione impedisce alla passione di assumere il dominio della persona e, al contempo, si pone come obiettivo la piena espressione della passionalità.
Mediante codesti tre modi si consegue la quiete interiore e si porta a compimento la beatitudine: è questo il primo passo lungo la via che porta alla felicità.

Elevazione ...


(Forma metrica: haiku)


Placido e immobile
bianco fiore di loto
ascende al cielo.

venerdì 3 agosto 2012

Integrazione ...


Emarginazione e razzismo


La politica sociale degli Stati relativa alla popolazione romanì costituisce l'esempio più lampante del fenomeno dell'emarginazione, così come l'atteggiamento dei cittadini nei loro confronti si presenta come il nec plus ultra del razzismo. 
Da un lato, lo Stato raggruppa i gitani in luoghi determinati: i "campi nomadi", sorta di ghetti molto spesso manchevoli dei servizi più basilari, e in tal modo non fa che aumentare la probabilità che in tali zone sorgano fenomeni di criminalità. D'altro lato, i cittadini, vittime di un'ignoranza diffusa relativa alla cultura e allo stile di vita zigani, e di un sospetto ancestrale proprio della natura umana quando si trova di fronte a ciò che non conosce, non fanno che ostacolarne l'integrazione, lasciando mano libera ai propri pregiudizi e alle proprie false credenze (la bestialità naturale, l'ostilità caratteristica verso il lavoro legale e la vita sedentaria, l'irrettificabile cultura della sporcizia e del furto, la consuetudine del rapimento dei bambini, eccetera) invece di limitarne la portata, e condannando i loro atti senza domandarsi quali possano essere le cause che stanno dietro ad essi e li giustificano. I mezzi di comunicazione di massa, inoltre, nel loro ruolo di mediatori tra la Politica e le moltitudini, sembrano veicolare e addirittura istigare una forma di odio, esacerbando una situazione già, di per sé, di difficile soluzione. Il risultato estremo di ciò è una legittimazione della violenza contro gli zingari, i quali reagiscono a questo accanimento mediante l'indifferenza o l'avversione. 
Ora, posto che tutti i cambiamenti procedono dall'alto e non dal basso, è la Politica a dover compiere il primo passo per tramutare l'inimicizia in amicizia. Inanzitutto, occorre portare i gitani tra la popolazione, giacché solo un contatto assiduo può rompere le barriere psichiche che vengono edificate dagli uni e dagli altri. In secondo luogo, occorre donare loro la possibilità di entrare concretamente a far parte della comunità in cui si trovano a vivere, e ciò può darsi soltanto attraverso la cittadinanza, la casa e il lavoro, ovvero i beni fondamentali che a noi sono assicurati di diritto e a loro sono, il più delle volte, interdetti. Infine, è necessario che i media si impegnino ad approfondire e a diffondere la conoscenza delle tradizioni zigane, per mostrare tutto ciò che di bello appartiene a queste etnie. Lo scopo a cui tendere è l'eliminazione dell'idiozia statale e sociale che ha prodotto e produce l'assurdità dell'emarginazione e del razzismo, con i conseguenti effetti nocivi a livello civile.  
  

Relazione ...


Dialettica dell'Io e del Tu


Io e Tu risultano essere unità indissolubile. L'Io infatti non sussiste mai da solo: quand'anche si trovi in solitudine, compagno di sé stesso, egli sa che, al di fuori di un determinato luogo e oltre un determinato periodo di tempo, vi saranno persone con le quali entrerà in contatto; un contatto assiduo, costante e, inoltre, profondo. L'esistenza stessa dell'Io, la sua caratteristica più propria, non è altro che relazione.
L'Io sorge prima ancora della venuta al mondo dell'uomo, e già nel ventre egli percepisce il Tu della madre. Un tale Io è strettamente legato al Tu, e da lui si trova a dover dipendere. Al Tu della madre si aggiunge, in seguito, il Tu del padre, anch'esso altrettanto essenziale per lo sviluppo dell'Io, ed eventualmente quello dei fratelli e delle sorelle, con i quali si condivide la crescita. Anche al di fuori della famiglia ristretta si stabiliscono relazioni più o meno approfondite, con i membri della famiglia allargata: nonni, zii, cugini, eccetera. Vi saranno, poi, le persone con cui si stabilirà una relazione di amicizia, e quelle con cui si costruiranno relazioni amorose; le persone che saranno per l'Io dei maestri e dei secondi padri; il Tu supremo, percepito come più o meno reale, più o meno immaginario, e cioè Dio. La vita sociale nella sua interezza si costituisce di relazioni del tipo Io-Tu che si incrociano e giustappongono fra loro.
Ciò sta a significare una cosa soltanto: l'Io vive della basilare relazione con il Tu, e non può fare a meno di codesta relazione, giacché essa si delinea come suo bisogno o necessità intrinseca. Il Tu è, fondamentalmente, un Altro-Io, oppure addirittura una frammento dell'Io. 
L'uomo è un essere relazionale. Nondimeno, tale relazionalità può essere spezzata, e vi è un unico elemento capace di spezzarla: l'egoismo utilitarista e pragmatista, il quale vede la persona non più come un Tu, bensì come un Esso, ovvero una cosa impersonale, un mezzo e non un fine; tale elemento, in un certo senso artificiale, in quanto estraneo alla natura umana, introdotto dal di fuori e non emergente dal di dentro, rompe infatti il legame, per quanto questo possa esser saldo. Si ha allora, con la rovina del Tu e la rottura della relazione, la conseguente rovina dell'Io, ossia la sua morte anticipata; più precisamente, l'infelicità dell'Io.
   

Alterità ...


(Forma metrica: sestina narrativa)


Diverso eppure identico


Giunga il diverso dinanzi al mio sguardo
ed io con braccia tese gli andrò incontro
con lui rimarrò, colmo di riguardo
'ché certo non siam fatti per lo scontro:
le parole dette e quelle non dette
saran scagliate, simili a saette.

 E l'Io berrà dalla coppa dell'Altro
nettare traboccante e saporito
che nutrirà lo Spirito fin dentro
gli antri più riposti, all'infinito
di scienza imperitura pervadendolo;
da sciocchi pregiudizi liberandolo.

Così simile allora apparirà
la sua natura ed essenza profonda
se non identica: ripulirà
la coscienza, dalla sozzura immonda
gli orecchi cui l'ascolto era precluso
senno infine destando nell'ottuso. 

sabato 7 luglio 2012

Prigionia ...


Dovere civico, imperativo morale


La politica opera sempre una selezione di valori. La politica contemporanea pone gran parte della spiritualità e della cultura come non-valori.
Sembra, in effetti, che non vi sia spazio, all'interno della società, per i sentimenti e le passioni, così come per le idee e i pensieri; che sia in atto una sorta repressione dei desideri e della volontà; che immaginazione e fantasia abbiano perduto la loro serietà, e che l'intelletto sia stato abbandonato; che la forza dell'inconscio sia demonizzata e fuggita. Tutto ciò che fa la potenza dell'uomo è, in generale, emarginato, escluso o combattuto.
Questa crociata contro lo spirito si rivolge, di conseguenza, anche contro le manifestazioni dello spirito: l'arte è bandita e sostituita da una pseudo-arte di tipo commerciale, la filosofia è racchiusa all'interno della categoria del non-senso, la scienza, con le sue importanti scoperte teoretiche, è opportunamente celata, la religione è abbassata al rango di mera superstizione, la politica stessa come attività tradizionale di governo ha perduto la fiducia delle moltitudini, la storia è caduta nella dimenticanza.
L'unica facoltà apprezzata, e sopravvalutata, è la ragione; l'unica attività che abbia mantenuto importanza è la tecnica. Ma che cosa è mai la facoltà razionale se priva delle altre facoltà mentali? Un procedere pedante che non tiene conto di ciò che è veramente essenziale. E che cos'è la prassi della tecnica senza l'influenza benefica di una visione di pensiero? Una illimitata pratica di dominio e di manipolazione sugli uomini e sulle cose.
Pertanto, ogni uomo ha il dovere civico e l'imperativo morale di coltivare lo spirito e diffondere la cultura dello spirito. Soltanto in questo modo, infatti, ci si sottrae alle prigioni del disciplinamento e, al contempo, si offre la possibilità e l'occasione all'altro di sottrarsi anch'egli a una tale prigionia asfissiante.
     

Cultura ...


Definizioni di Spirito e Cultura e necessità della loro presenza e azione


Che cos'è lo Spirito? 
Lo Spirito è l'insieme dei prodotti della mente umana: sentimenti e passioni (affezioni in primo luogo mentali e poi, in secondo luogo, corporee), idee e pensieri, desideri e volontà; l'immaginazione, la fantasia, la memoria, la ragione e l'intelletto; l'inconscio e la coscienza. 

Che cos'è la Cultura?
La Cultura è il ricettacolo delle forme dello Spirito: l'Arte (nel senso più ampio del termine, a comprendere, oltre a scultura, architettura e pittura, la letteratura, la danza, la musica, il teatro, il cinema, la fotografia, eccetera), la Filosofia e la Scienza, ovvero lo Spirito teoretico; e poi la Politica e la Storia, ovvero lo Spirito pratico; infine la Religione, spiritualità insieme teoretica e pratica. 

Può un uomo fare a meno dello Spirito? No di certo. Può una società fare a meno della Cultura? Non può. Così come l'esistenza di un uomo privo di Spirito è una morte vivente, o una vita morente, l'esistenza di una società priva di Cultura è un degrado progressivo, o un progresso degradante. Spirito e Cultura si mostrano come caratteristiche peculiari dell'umanità, senza le quali l'umanità decade al rango di bestialità, oppure ancora più in basso, al rango di automaticità, o peggio ancora, al rango di inertità. L'uomo-bestia, l'uomo-macchina e l'uomo-merce sono allora i derivati dell'assenza di Spirito e di Cultura.

La presenza dello Spirito e della Cultura avvicina invece l'uomo al Dio: la loro essenza è infatti l'attività creatrice. La proliferazione dell'uomo-Dio non è altro che una conseguenza dell'azione dello Spirito all'interno dell'uomo, e della Cultura all'interno della società. 

Spirito ...


(Forma metrica: sestina di quinari in rima ripetuta)


Semi di Spirito


Semi di Spirito
al suol gettàti
germoglieranno
e saran lascito
per gli accecati
che allor vedranno.

Immensi campi
eterni, ove
 s'affollan forme;
 fuoco divampi
in ogni dove
suoni l'allarme:

sorella Arte
Filosofia
Scienza e Politica
Storia solerte
Religion pia
Cultura mitica

voi non morrete
'ché brucian gli uomini
non le lor opere;
vive sarete
rompendo gli argini
propri dell'essere.

sabato 19 maggio 2012

Welfare ...


Libertà, ricchezza, assistenza


La libertà politica occidentale si delinea come libertà di pensiero, di espressione e di azione nei limiti della legge, nonché come partecipazione in massa alla Cosa pubblica attraverso il voto. Eppure, il Potere occidentale controlla le coscienze pensanti, esprimenti e agenti, oltre alle modalità di partecipazione politica, e non ha quindi bisogno di impedire nulla se non quelle piccole deviazioni che farebbero tremare le proprie fondamenta, rischiando di farle crollare. 
Ora, l'Occidente va fiero della propria libertà e la contrappone orgogliosamente alla minore libertà concessa, invece, dai paesi non-occidentali. Eppure in molti paesi non-occidentali, dove non vi è cultura libertaria, il grado di benessere sociale della popolazione pare essere di gran lunga più alto di quello presente nei pesi d'Occidente (si pensi alla Cuba di Castro, dove neppure vi è una elevata prosperità economica, o alla Libia di Gheddafi, regimi in cui la libertà politica è fortemente limitata dall'autorità sovrana). Ci si deve chiedere, pertanto, se la libertà sia realmente un fattore primario per la vivibilità di una nazione, o se sia invece qualche altro fattore a essere essenziale.
Posto che un occidentale, abituato com'è alla propria libertà, che seppure illusoria appare alquanto vasta, non sopporterebbe mai di vivere all'interno di uno Stato autoritario, ciò che può essere considerato imprescindibile per il benessere sociale e per la vivibilità di una nazione non è la libertà politica, né tantomeno la ricchezza economica (il che, si badi bene, non significa che libertà e ricchezza non siano importanti), quanto piuttosto l'assistenza statale: gli Stati in cui il Welfare è più presente sono quelli in cui le moltitudini si trovano a essere maggiormente soddisfatte e gratificate. 
Uno Stato assistenziale forte ed efficente significa istruzione e sanità di livello assicurate per tutti e gratuite, accesso generalizzato alle risorse culturali, aiuti economici ai cittadini nell'ambito dello studio, della maternità e del lavoro, sussidi per la disoccupazione e per le famiglia indigenti, pensioni e salari adeguati al costo della vita, cura degli anziani, degli invalidi e dei malati, difesa dell'ambiente naturale. Quando vi siano questi impegni da parte dell'autorità, la persona sarà appagata e disposta anche a sopportare un grado più alto di schiavitù, o un grado più alto di povertà.
Il pieno Stato sociale deve essere dunque l'obiettivo primario di ogni Stato, giacché lo Stato è prima di tutto un servizio donato alla collettività. Tale modello, unito a una libertà e a una ricchezza congrue, è l'ideale statale perfetto, in atto oggi esclusivamente nei paesi nordici della Svezia e della Norvegia.

Fallacia ...


Riduzioni moderne del concetto di libertà e suo significato reale


La libertà è dai moderni intesa in un duplice senso: da un lato come libero arbitrio (retaggio del Cristianesimo), dall'altro come indipendenza (retaggio del Capitalismo). 
Il libero arbitrio è la libertà di scelta, la possibilità di decidere liberamente delle proprie azioni. Potendo il soggetto indirizzarsi ugualmente verso una direzione o verso un'altra, di fronte a un orizzonte di opzioni egli preferirà l'una o l'altra a seconda di ciò che ritiene essere buono e giusto; a seconda di quel che, nel suo giudizio, risulterà essere migliore e più conveniente per sé stesso o per gli altri, o insieme per sé stesso e per gli altri. Ciò significa che ogni individuo, agendo, si addossa non soltanto la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze, ma anche la colpa di eventuali mali compiuti direttamente o indirettamente, volontariamente o meno. 
L'indipendenza è libertà di pensare, esprimersi e agire senza interferenze esterne, senza dover rendere conto ad alcuno dei propri pensieri, delle proprie espressioni, delle proprie azioni; libertà di vivere l'esistenza secondo la propria volontà e non secondo la volontà di un altro. Questo "altro" che può impedire noi di essere ciò che vogliamo è un "potere", una forza esterna capace di surclassare la nostra propria forza individuale: tale potere non può che essere il potere dello Stato. Ciò significa che ogni uomo deve, per realizzare sé stesso, poter vivere a proprio piacimento, fuoriuscendo dalle maglie di quell'autorità sovrana che può volgerne l'esistenza singola a suo favore. 
L'essere umano, si crede, è libero nell'arbitrio e indipendente per natura intrinseca. Per questo motivo la libertà assurge a idolo sacro e incontrastato nell'Occidente cristiano-capitalista.

Eppure tali visioni della libertà non sono altro che riduzioni o, peggio ancora, fraintendimenti.
Innanzitutto: non esiste alcun libero arbitrio. Si ha effettivamente l'impressione di essere liberi nella scelta, di poter decidere liberamente delle proprie azioni, ma una tale impressione è un'illusione derivante dal fatto di essere coscienti delle proprie scelte e delle proprie azioni, ma di ignorare al contempo le cause di tali scelte e di tali azioni. Ovvero: il soggetto, nel momento in cui si trova di fronte a un orizzonte di opzioni possibili, è consapevole di star decidendo tra tali opzioni. In lui vi è una lotta di motivazioni, alcune delle quali premono verso una direzione, altre verso una direzione diversa, e così via. In questa lotta, soltanto alcune motivazioni, in quanto più forti, usciranno vincitrici, stabilendo la scelta e, di conseguenza, l'azione. Ma nessun soggetto conosce, né può affatto conoscere, la concatenazione infinita di cause precedenti che hanno portato casualmente alla comparsa di quella motivazione vittoriosa in quel preciso momento. Da questa relazione tra coscienza e ignoranza procede l'impressione di una libertà dell'arbitrio. Ma l'arbitrio è, come detto, determinato (e non pre-determinato) dalla necessità delle concatenazioni causali precedenti, e la necessità è guidata dalla casualità dell'incrociarsi di quelle concatenazioni: si ha, pertanto, un necessario arbitrio nato da accidentalità fatali. La verità è, dunque, questa: nel momento in cui scelgo e agisco, tale scelta e azione particolare non poteva non venire alla luce; nel momento in cui decido, non avrei mai potuto, date le medesime condizioni, decidere altrimenti. Si è dunque incolpevoli, in quanto schiavi della necessità e del caso, ma anche consapevoli, e, perciò, responsabili. 
Infine: non è possibile alcuna indipendenza. Si crede fermamente di essere nati liberi da qualsivoglia influenza, e di dover quindi salvaguardare tale libertà fondamentale, ma una tale convinzione è del tutto infondata. Da sempre l'uomo vive, infatti, in una condizione imprescindibile di dipendenza da fattori esterni: egli è sottoposto all'autorità dei genitori all'interno dell'ambito familiare, e a quella dei detentori del potere (insegnanti, datori di lavoro, sacerdoti, governanti, eccetera) all'interno dell'ambito sociale. I suoi pensieri e le sue azioni sono inevitabilmente determinati dall'educazione impostagli dall'ambiente in cui si trova inserito, cosicché egli è, in un certo senso, schiavo in ogni momento di forze estrinseche che modellano la sua propria interiorità. La volontà del singolo è, di fatto, la volontà del Potere, la quale non necessariamente si identifica con lo Stato; la differenza sta, piuttosto, nel grado più o meno alto di schiavitù, e nella quantità maggiore o minore di libertà concessa da tale Potere. Pertanto, credere di poter conquistare, all'interno dell'unione sociale, un'indipendenza che non è mai esistita, né può esistere in alcun modo, in quanto la dipendenza è la condizione stessa di possibilità dell'unione sociale in genere e senza di essa l'individuo, lasciato a sé stesso, non potrebbe nemmeno sopravvivere, risulta essere quantomeno ingenuo, utopico, e addirittura assurdo. L'auto-realizzazione non dipende certo da una libertà così intesa, che altrimenti sarebbe impossibile realizzare sé stessi. 

Bisogna allora ri-definire il concetto di libertà per scorgerne il senso autentico.
Se una libertà esiste, essa deve mostrarsi all'interno delle circostanze fattuali ineliminabili del necessario arbitrio e della dipendenza. Il primo punto è quindi l'accettazione della necessità: il nostro arbitrio è determinato; noi dipendiamo da un Potere. 
Il secondo punto è l'accettazione di quella componente di casualità che guida gli eventi, ovverosia il fato. Sia quando io mi trovi ad esperire il piacere e la gioia, sia quando mi trovi ad esperire il dolore e la sofferenza; sia che io viva la buona oppure la cattiva sorte, questo è il destino, e così è giusto che sia.
A partire da qui, bisogna altresì chiedersi: cosa è che imprigiona gli esseri umani rendendoli impotenti? La risposta è: la servitù del corpo e della mente. E che cosa asservisce il corpo e la mente? Le passioni disordinate da un lato, i dogmi e i pregiudizi dall'altro.
Ma ciò che imprigiona e rende impotenti più di ogni altra cosa è l'infelicità, che si genera dalla repressione della propria natura intrinseca, in qualsiasi modo si compia.
Libertà è quindi, in conclusione, abbracciare la necessità e il caso che fanno parte dell'esistenza, ordinare le passioni mediante la ragione, ripulire il proprio pensiero dai dogmi e dai pregiudizi, e, soprattutto, seguire i dettami della natura, che equivale a vivere con spontaneità.
Dalla libertà così intesa emerge impetuosa la volontà, e con essa la possibilità della realizzazione di sé.

venerdì 18 maggio 2012

Fraintendimento ...


(Forma metrica: ottava di ottonari)


La Libertà e il suo non-essere


Donna è la Libertà santa
e forte la chiaman gli uomini
d'Occidente, a gran voce:
lei solenne e ben vestita
si mostra agli occhi del volgo
ammiccando vanitosa;
eppure mai si concede
ma le spalle sempre volta.

Tal di noi prendersi gioco
l'ingenuità nostra espone
e palesa, poiché servi
da trasparenti catene
gambe e mani imprigionati
siam noi tutti e dobbiam essere:
nei giardini della legge
infatti, ella fiorisce.

E bendisposta altrettanto
la moral dai piedi lievi
lega con tela di ragno
le inconsapevoli prede
ma non lei di noi si nutre
bensì noi di lei; forse
che umana natura sia
l'obbedire silenziosi?

Miele infine, seppur miele 
spesso amaro e avvelenato
sono l'ambiente e il sapere
acqua sostanziosa il primo
terra coltivata l'altro
e la necessità dura
che alle cause effetti lega.
No, certo ella non è questo.
 

giovedì 17 maggio 2012

Educazione ...


Disciplinamento e repressione
 

Ogni uomo è ciò che viene educato a essere. La coscienza degli individui è infatti in principio una massa informe e malleabile, che assume una forma definita durante i primi dieci anni di vita, e giunge a solidificarsi una volta trascorsi i venti anni di età. Precisamente, l'educazione edifica all'interno della mente umana la coscienza morale. La coscienza morale è l'unico aspetto propriamente artificiale della psiche, in quanto è prodotta dall'uomo e non deriva necessariamente dalla natura intrinseca o dalla realtà esteriore. L'educazione è, in questo senso, un fatto politico, o meglio, bio-politico.
L'educazione che forma le coscienze degli individui occidentali è marcata a fuoco da due dottrine fondamentali, ovverosia il Cristianesimo e il Capitalismo, la cui azione congiunta genera l'uomo borghese. A tale tipologia di uomo appartengono la stragrande maggioranza delle persone e, precisamente, coloro che fanno parte della cosiddetta "classe media", categoria trasversale ormai slegata dalle distinzioni di mestiere e di censo, che ha colonizzato la quasi totalità dei cittadini appartenenti alla società civile. 
L'effetto principale dell'educazione cristiana è la repressione dei desideri "carnali" procedenti dall'istinto. L'istinto, che nell'uomo diviene desiderio, è la voce della natura, ma la natura è male, giacché porta l'uomo alla perdizione. Peccato e desiderio si equivalgono, e viene così sancita l'interdizione dell'appagamento. Se è vero che un animo appagato è un animo sereno (e tale verità è empiricamente provabile), allora quel che viene proibita è la vita serena, che coincide con il benessere, mentre, invece, viene valorizzata la vita ascetica e rinunciataria, segnata dal sacrificio e dall'afflizione che consegue al sacrificio. Il risultato di tutto ciò è la coscienza inibita, la quale è coscienza infelice perché incapace di vivere il piacere carnale. 
L'effetto principale dell'educazione capitalistica è la repressione dei desideri "spirituali" procedenti dalla ragione, la quale sublima l'energia dei desideri carnali indirizzandola verso oggetti e scopi di altro livello. La ragione è la voce del pensiero, ma il pensiero è male, giacché si presenta come astrazione, forma puramente teoretica, quindi materialmente inutile e inefficace. Si ha allora, anche in questo ambito, l'interdizione dell'appagamento, della serenità, del benessere in genere, e un obbligo a scegliere esclusivamente le cose utili ed efficaci, che sono però inessenziali. Il risultato di tutto ciò è la coscienza calcolatrice, la quale è, anch'essa, coscienza infelice perché incapace di abbandonarsi al piacere spirituale. 
Paradossalmente, i principi del Capitalismo rinnegano quelli del Cristianesimo, e il Cristianesimo, nell'era del Capitalismo, sopravvive soltanto come uno spettro atavico (soprattutto all'interno della psiche femminile). Anche la pratica religiosa e il desiderio di Dio sono infatti catalogati tra le cose inutili e inefficaci, e ciò significa che l'uomo borghese ha allentato le corde che tenevano legata la sua mano, ma ha perduto, inoltre, ciò che di buono v'era nella dedizione ai valori ultraterreni, ossia l'anelito spirituale. 
Rifondare l'educazione in favore del desiderio deve essere l'obiettivo di ogni (bio)politica che voglia, in futuro, generare un esemplare di uomo più sano, che sia, dunque, coscientemente felice.  
  

Persona ...


Unità e trinità della persona. Conseguenze


L'uomo è uno e trino, giacché la sua persona è unione di tre persone distinte: Es, ovvero il Sé; Ego, ovvero l'Io; Super-Ego, ovvero l'Altro-sopra-all'Io.

L'Es, o Sé, è l'anima concupiscibile, il non-luogo del desiderio, la voluttà. Qui si esprime la totalità dei desideri, da quelli più reconditi e inconsci a quelli più accessibili e coscienti; desideri di vita e desideri di morte, desideri sessuali risultanti da pulsioni erotiche e desideri aggressivi risultanti da pulsioni violente, desideri di creazione e di distruzione. Qui si manifesta il bisogno ineluttabile, ciò che non può essere evitato o fuggito in alcun modo, bensì soltanto direttamente o indirettamente represso o soddisfatto. La sua lingua è quella della fantasia e del sogno. La sua legge è il principio di piacere. La sua incarnazione è il bambino.   

L'Ego, o Io, è l'anima razionale, il non-luogo della ragione, l'intelligenza. Qui si esprimono le facoltà del pensiero raziocinante, la rappresentazione, la riflessione e il giudizio, cioè la coscienza che si affaccia sul mondo mediando tra interno ed esterno. Qui si manifesta la necessità, e si producono, attraverso l'azione, le funzioni essenziali di sopravvivenza, adattamento, affermazione e apprendimento; in definitiva l'intera vita consapevole. La sua lingua è il linguaggio comune, la parola detta e scritta. La sua legge è il principio di realtà. La sua incarnazione è l'adulto.      

Il Super-Ego, o Altro-sopra-all'Io, è l'anima irascibile, il non-luogo del dovere, la moralità. Qui si esprimono gli insegnamenti dell'educazione, i precetti etici, il senso comune, la moda, nonché le punizioni per la propria condotta quando si violano le norme e le leggi: si hanno allora la censura, il senso di colpa e l'angoscia. Qui si manifestano l'arbitrio e la coazione. La sua lingua è il terrore della condanna e del castigo. La sua legge è il principio di autorità. La sua incarnazione è il Padre (inteso come padre biologico, come maestro, come Dio o come Stato). 

Il nostro Io deve dunque far fronte alle richieste di ben tre padroni: da un lato il Sé, dall'altro il mondo, e infine l'Altro-sopra-all'Io. Ognuno di questi tre padroni desta in noi una determinata volontà. Che accade se tali volontà si contrappongono? L'Io sarà costretto a soddisfare tutte domande per evitare un penoso malessere, derivante sia dal mancato appagamento del desiderio, sia dal pericolo del dolore, della sofferenza o dell'annientamento, sia dall'infrazione delle regole. Si mostrerà, pertanto, l'impossibilità dell'esaudimento totale, e si dovrà quindi scegliere di sacrificare almeno una pretesa. Si avrà una rinuncia, e la rinuncia porterà, a breve termine, all'insoddisfazione, e, a lungo termine, all'infelicità. 
Per evitare ciò occorre instaurare un equilibrio psichico, facendo sì che le tre istanze siano in armonia tra di loro, volgendosi nella medesima direzione: esse devono volere la stessa cosa. Solo in tal modo l'Io potrà assicurare, com'è suo compito, una completa gratificazione e, conseguentemente, un benessere che è sentimento di soddisfazione a breve termine e condizione di felicità a lungo termine.  

Censura ...


(Forma metrica: canzone libera)


Sapevo e più non seppi


Immerso in sonno lieve
gli occhi chiusi e sognanti
greve una voce ascolto negli orecchi:
"questa e non altra è l'immortale via:
rammentala al risveglio".
Ed ecco una donna venirmi incontro
con indosso soltanto il desiderio;
libero la posseggo
e afferrando il collo suo tra le mani
le porto via la vita.
Allora aprii gli occhi
e il Sé, che prima s'era rivelato
di nuovo si velò.

L'avvento celebrai
con parola aitante, della ragione
simile ad alba che vien nella notte
il cielo rischiarando
e a caccia del piacere
mi recai voluttuoso;
la realtà trovavo a sbarrarmi il passo
ma ingegnosamente saltavo il muro
poiché caparbio è l'Io
e ostacoli non teme.

Ma dopo che il volere ebbi compiuto
immensamente pago del mio atto
con furore solenne
mi castigò il tiranno
Altro sopra all'Io, dominatore
gridando: "hai violato il tuo dovere!"
e nella mente risuonò quel monito
sofferenza morale
ancor dopo il tramonto:
come un uomo privato dei ricordi
o nel decidere incerto e dubbioso
o da rimorsi mordaci costretto
sapevo e più non seppi.

martedì 15 maggio 2012

Thanatos ...


Questione bellica  


La storia è maestra, e gli eventi storici dicono molto riguardo alla natura degli uomini e delle società. Se ciò è vero, allora il più grande insegnamento che si può trarre dal passato è: la guerra è necessaria alla politica. 
Tutte le civiltà, antiche o moderne, arretrate o sviluppate che fossero, hanno fatto uso della guerra; questo è un dato di fatto. Ciò è avvenuto in quanto la scelta della guerra è non soltanto ineliminabile, ma addirittura obbligata per la sopravvivenza del consorzio umano. Persino l'instaurazione della pace richiede interventi di guerra: la pace infatti è qualcosa che ha a che vedere con la politica interna di uno Stato, ma per ottenerla e mantenerla c'è bisogno di una forza militare che sia volta all'esterno. La politica estera è di per sé stessa una politica di aggressione, giacché i propri confini e i propri interessi vanno difesi, e spesso l'attacco è la miglior difesa. Si mostra quindi chiaramente, per chi sappia imparare dagli accadimenti, l'utopia dei pacifisti, i quali desiderano un mondo che sia privo di guerre. A rigore, solamente una repubblica mondiale, che distruggesse i confini e che unificasse gli interessi molteplici appianando le differenze specifiche, potrebbe dire di non aver alcun bisogno della guerra come strumento politico, non avendo nemici esterni verso il quale dirigerla; ma anche in codesto caso, per costituire una tale repubblica universale non vi sarebbe altro mezzo che la violenza delle armi, sola in grado di vincere le resistenze particolari.  
D'altronde, la natura umana in genere mostra uno spiccato desiderio di morte che si manifesta come aggressività nei confronti di sé stessi e soprattutto degli altri. Questa tendenza, facente parte, nel bene e nel male, dell'essenza dell'uomo, può essere sicuramente limitata e sublimata, eppure giammai contrastata. La questione allora non è l'eliminazione della guerra, evidentemente impossibile, bensì la riforma della guerra in modo da renderla maggiormente "umana".
Una tale esigenza si manifesta soprattutto nell'epoca contemporanea, dove la guerra, un tempo attività nobile, ha assunto un aspetto meschino. La guerra odierna, oltre a essere una guerra impari, in quanto viene rivolta in esclusivo contro popolazioni nettamente più deboli, è una guerra dannosa, giacché distrugge città e monumenti, e uccide civili inermi (chiaramente, i motivi che spingono gli Stati, e prevalentemente gli Stati occidentali, a muovere guerre così deleterie sono economici e politici). La guerra antica, al contrario, si mostrava quantomai onorevole: gli scontri avvenivano in campo aperto e in mare aperto, perlopiù lontano dai centri abitati, così da riguardare solamente i soldati; non vi erano strumenti di distruzione portentosi e ignobili, come lo sono le mine anti-uomo, le bombe aeree e le armi chimiche e atomiche; le modalità della battaglia facevano sì che il valore dei soldati e dei condottieri prevalesse su ogni altro aspetto; le cause e gli scopi del conflitto, nonché i suoi risultati, erano del tutto trasparenti allo sguardo dell'opinione pubblica, mai mascherati dalla menzogna; infine, vi era un'etica guerresca improntata sul coraggio, sulla lealtà ai patti, sull'abilità e sulla forza effettive, sulla sana rivalità tra i contendenti. La guerra odierna è, invece, sempre una guerra sporca, ipocrita, colma di odio, e vile.
Ci si deve dunque impegnare per ottenere, in questo ambito, un ritorno della legalità oggi abbandonata, guidato da più sani principi morali: solo in tal modo si può infatti sperare di debellare gli orrori indicibili che la guerra, così come si mostra nella nostra epoca, porta inevitabilmente con sé. L'obiettivo della politica è allora donare di nuovo dignità all'attività bellica sul modello di una gloria ormai tramontata, ma che può certamente risorgere. In concreto, va perseguita l'abolizione onnilaterale delle armi sopracitate; vanno inoltre separati nettamente i vari tipi di guerra a seconda degli spazi in cui essa si svolge - guerra marittima, guerra aerea e guerra terrena - impedendo che l'un tipo sconfini nell'altro confondendosi con esso; quindi bisogna spostare l'azione della battaglia nei luoghi deserti, non civilizzati e non popolati; e come ultimo e più importante atto occorre istituire un organo sovranazionale che sia garante, similmente alla NATO, della sicurezza mondiale, ma della quale facciano parte, a differenza di quanto accade per la NATO, tutte le nazioni del mondo, nessuna esclusa, e nella quale egual spazio e influenza abbiano gli Stati non-occidentali rispetto a quelli occidentali. Soltanto allora la guerra potrà incominciare a vestirsi di un abito più umano.   
     

lunedì 14 maggio 2012

Opposizione ...


Dialettica dei contrari e positività del contrasto


"Polemos è signore di tutte le cose". Il giorno e la notte, la luce e l'oscurità si avvicendano sopraffandosi (il sole sorge scacciando via la luna; la luna si solleva sostituendosi al sole), e così le stagioni, primavera ed estate da un lato, autunno e inverno dall'altro (qui sono il caldo e il freddo a vincersi periodicamente). 
La crosta terrestre vien fuori da lava incandescente raffreddatasi in superficie, per poi tornare nelle profondità più calde e tramutarsi nuovamente in lava. Le acque surriscaldate ascendono, come vapore, al cielo, precipitano poi dalle nubi e ritornano infine nella forma iniziale. La lotta tra gli elementi è ciclica e perenne. 
I vegetali gareggiano tra di loro per conquistarsi uno spazio vitale; gli animali si contendono il nutrimento e i maschi le femmine. Gli uomini competono inoltre nello sport, nel lavoro e nella guerra. La vita intera è un campo di battaglia dove forze innumerevoli e diverse concorrono per gli scopi più vari.
Tutto si oppone inevitabilmente. Elettroni e protoni provano avversione gli uni verso gli altri; particelle e anti-particelle si annichiliscono. Al piacere e alla gioia succedono il dolore e la sofferenza, e viceversa a questi quelli, e così via in progressione infinita. Ovunque si guardi, in lungo e in largo, si troverà, sotto forma più o meno violenta, la rivalità dei contrari. 

Eppure tale conflittualità onnipresente non impedisce la sussistenza dell'armonia: ogni cosa, mediante l'ostilità e la negazione dell'altro, mediante la contrapposizione con il proprio opposto, trova il modo di esistere e svilupparsi, e il tutto permane misteriosamente in equilibrio. Paradossalmente, la distruzione genera il legame, il disordine l'ordine; inimicizia e amicizia convivono e la prima fonda la possibilità della seconda. Da un principio di divisione emerge spontanea l'unione, affinché si possa dire: "Eros è signore di tutte le cose".  
  

sabato 12 maggio 2012

Baratro ...


(Forma metrica: distico di decasillabi in rima baciata)


La guerra irruente


Ecco un rombo s'ode di lontano
cupo, ma fuggir risulta vano:

ovunque ci si diriga infatti
tal suoni, frutto di mentecatti

raggiri, ed azioni nefande
presso vaste, sterminate lande

rimbomberanno oltre ogni misura
empiendo di concreta paura

l'animo mite dell'innocente.
Così vile è la guerra irruente

da spegnere incolpevoli vite
e gioie certe, speranze ardite

nonché dolori e angosce profonde
di lui che grida nell'aria effonde

della propria vita disperando.
A me stesso chiedo: sino a quando?

Non siano degne di proseguire
l'arduo cammino dell'avvenire

anche'esse, anime martoriate?
Non potranno, poiché armi affilate

perforeranno le loro membra.
E ora, soldato, con me rimembra

le notti insonni, a pregar Dio
in attesa di pagare il fio

d'un conflitto privo di morale;
a domandar motivo del male

su scomodi letti in dura pietra
scuri presagi di mente tetra.

venerdì 4 maggio 2012

Velocità ...


Recupero del tempo perduto


La società contemporanea ruba il nostro tempo, e conseguentemente l'essere umano percepisce un'intima mancanza. 
La durata di una giornata è di ventiquattro ore, di cui otto si esauriscono nel sonno. Delle sedici ore effettive di vita concreta, la metà vengono spese nell'attività scolastica (frequentazione delle lezioni e studio delle materie) o in quella lavorativa, oppure in entrambe. Sottraendo oltre un'ora necessaria agli spostamenti giornalieri, un'ora per il consumo dei pasti e un'altra ora almeno per la cura di sé e l'igiene, restano circa quattro ore in tutto di cosiddetto "tempo libero". Questo tempo è ciò che ci viene concesso per dedicarci a quelle attività che non vengono considerate fondamentali dal senso comune, ma che sono altrettanto essenziali delle precedenti per il mantenimento della salute corporea e mentale: parlo del riposo e dei passatempi, dell'attività sportiva, della coltivazione dell'amicizia e dell'amore, della compagnia familiare, della fruizione e creazione di cultura. 
Si ha sempre l'impressione di non aver tempo a sufficienza per fare tutto ciò che ci si propone di fare; per soddisfare ogni proprio desiderio. La vita è breve, si dice, come se ottant'anni non fossero abbastanza, e come se la morte, pronta a interrompere il flusso dell'esistenza, fosse a ogni momento imminente. Ciò che ne deriva è una sensazione di angoscia, e un impaziente e precipitoso isterismo della fretta che ci porta ad abbracciare la celerità frenetica. Angoscia e frenesia significano sovraccarico delle energie e malessere perenne. 
Una tale situazione invivibile può essere risolta dal singolo soltanto attraverso una migliore organizzazione delle proprie giornate, per far fuoriuscire da esse frammenti di tempo da riempire, o mediante l'attività assolutamente rilassatrice della meditazione. Eppure l'ambiente circostante, e in particolare il caotico ambiente cittadino, tornerà inesorabilmente a divorare i nostri minuti preziosi, richiamandoci alle esigenze quotidiane e ai doveri. 
L'unica soluzione durevole sembra essere allora quella che procede dall'alto, e che investe la sfera della politica: si deve incominciare a pensare di ridurre e comprimere le ore obbligatorie investite nell'attività scolastica, in particolare quella universitaria, e, soprattutto, in quella lavorativa (precisamente, i sindacati dovrebbero premere per ottenere la riduzione della giornata lavorativa dalle 8 alle 6 ore), in modo da lasciare finalmente spazio al tempo libero. Vi è, infatti, il bisogno impellente di una rivalutazione della quiete e di un ritorno alla lentezza, affinché si possa, come in un passato lontano, dilatare di nuovo il tempo vissuto. 

Flusso ...


Brevi riflessioni sul tempo

  1. Il tempo è il modello matematico del divenire, divenuto concetto comune. L'esistenza di enti ed esseri è immersa nel divenire e, pertanto, non è altro che un essere-nel-tempo. 
  2. Il divenire-tempo, da un lato, fa dischiudere e maturare tutte le cose; dall'altro, le consuma portandole alla rovina: questa è la sua contraddizione.
  3. Il mutamento è l'essenza del tempo, che è divenire-altro-da-sé. Dalla percezione del mutamento a partire dai sensi esterni (coscienza delle modificazioni esteriori) e dal senso interno (coscienza delle modificazioni interiori) la mente produce lo schema numerico "tempo", e la categoria filosofica "divenire".
  4. Come ogni cosa possiede il proprio opposto, l'opposto del tempo è l'eternità: l'eternità è l'essere-senza-tempo, o il divenire imperituro. Il tempo, infatti, ha come risultato nelle cose un inizio, uno sviluppo e una fine, ovvero una nascita, una crescita/decrescita e una morte. Ma l'eternità è assenza di inizio, di sviluppo e di fine; di nascita, di crescita/decrescita e di morte, oppure inizio, sviluppo e fine; nascita, crescita/decrescita e morte continui, succedentisi in ripetizione incessante.
  5. Il mondo esperito dall'interno è sottomesso alla legge del tempo; il mondo intuito dall'esterno è, al contrario, eternità in movimento. Il tempo (kronos) è dunque l'eternità (aion) che si dispiega.                                                                                                                                                                                  

    giovedì 3 maggio 2012

    Impermanenza ...


    (Forma metrica: terzina incatenata)


    Il tarlo roditore


    Andante verso la fine, il Tempo
    simile a un tarlo roditore morde
    la carne di colui che sull'Olimpo

    smagliante sede di divine orde
    non vive, creatura bella e mortale
    vittima d'accidentalità sorde.

     Egli è amante dell'essere spaziale
    e lo consuma in amplesso coatto
    spazzando via come vento autunnale

    preziosi semi di potenza e atto
    nel passato lasciandoli svanire
    e nascondendo poi il proprio misfatto.

    Ma è nel futuro e nel quieto apparire
    del presente, successione di istanti
    che s'apre la bontà del divenire

    che l'esistenza sacra porta avanti.

    martedì 17 aprile 2012

    Allarme ...


    Rifiuto del nucleare


    • Aprile 1986: disastro di Cernobyl, Ucraina.
    • Marzo 2011: disastro di Fukushima, Giappone.

    I due maggiori incidenti nucleari della storia (intervallati da numerosi, seppur taciuti, incidenti minori, più o meno gravi, verificantesi ogni anno in maniera regolare nelle centrali e nei siti di stoccaggio) sono qui a insegnarci la percolosità di questo tipo di energia.
    Gli Stati hanno indirizzato la propria politica energetica in direzione del nucleare, e ne hanno subito le conseguenze. Nulla, infatti, vi è di più pericoloso in natura: una esposizione prolungata ai fenomeni radioattivi ha sull'organismo effetti nefasti che vanno dall'invecchiamento precoce, correlato alla quantità di radiazioni assorbite, alle patologie tumorali, dal malfunzionamento degli apparati corporei ai danni cellulari, dalla sterilità all'emergere di malattie leucemiche, fino alle mutazioni genetiche, peraltro ereditarie, e alle malformazioni somatiche. Inoltre, le radiazioni si diffondono nei luoghi naturali, inquinando l'atmosfera, le acque e i terreni. Nonostante i passi avanti compiuti in materia di sicurezza, va compreso che le centrali nucleari, essendo gestite da uomini, permangono sempre nella possibilità di un fatale errore umano, ed essendo costruite in territori naturali, subiscono costantemente la minaccia di danneggiamenti alle strutture causati da catastrofi naturali. 
    Il controllo, nel maneggiare un'energia così pericolosa, è essenziale, ma la casualità degli accadimenti non ci permette di possedere un pieno controllo delle situazioni. I rischi sulla nostra salute sono maggiori dei benefici ottenuti in termini economici ed energetici: chi potrebbe affermare il contrario? La vita nostra e dei nostri figli conta, certamente, più di qualsiasi profitto materiale, eppure la prospettiva di quest'ultimo è il motivo primario dell'aver abbracciato una politica energetica siffatta.
    Ai costi biologici si aggiungono però anche quelli economici. L'energia nucleare non risulta più essere conveniente in termini di spesa, giacché per la costruzione e il mantenimento delle centrali si è costretti all'esborso di cifre esorbitanti; oltre a ciò, la loro operatività può essere mantenuta solamente per pochi decenni, in quanto i materiali che le compongono, esposti a radiazioni, alterano la propria composizione chimica perdendo col tempo caratteristiche essenziali, cosicché vi è la necessità dello smantellamento, anch'esso dispendioso. Si ha, di fatto, un investimento continuo destinato alla perdita. 
    Riflettendo poi sulla rarità dell'Uranio, elemento indispensabile senza il quale la produzione di energia nucleare non può avvenire (secondo i calcoli esso si esaurirà entro trent'anni circa, e ciò fa sì che anche il prezzo di tale elemento, non rinnovabile, aumenti), e sul problema irrisolto e probabilmente irrisolvibile dello smaltimento delle scorie radioattive (la radioattività di questi scarti, altamente tossici, prodotti dalla combustione nucleare, può sussistere anche per secoli, e attualmente non si conosce alcun metodo sicuro di isolamento, tantomeno di eliminazione), si giunge a un'unica decisione ragionevole: il secco no al nucleare.
    Tale tipo di energia può infatti essere sostituito dalle energie rinnovabili, ovvero idroelettrico, marino (o oceanico, o pelagico), eolico, solare, geotermico e biomasse; energie pressoché pulite, sicure e del tutto inesauribili, e questa è, difatti, la via che molti Stati d'Europa stanno finalmente intraprendendo con coscienza.

    lunedì 16 aprile 2012

    Physis ...


    Identificazione dell'essenza del mondo


    Qual è l'arché, il principio; qual è l'elemento fondamentale, la ragione ultima, l'essere in sommo grado, la sostanza prima delle cose che sono? Da una tale origine devono scaturire tutti gli enti ed esseri naturali, e anche le entità incorporee, ed essa deve essere inoltre ciò di cui tutti gli enti ed esseri naturali, e tutte le entità incorporee, si costituiscono, cioè la condizione della loro esistenza. Infine, essa deve essere al contempo la causa di tutti i mutamenti, del movimento e del divenire.
    Vi sono, innanzitutto, due sole categorie di cose (con "cosa" intendo qualsiasi ente, essere o entità. Un ente è una cosa corporea non-vivente; un essere è una cosa corporea vivente; un'entità è una cosa incorporea prodotta da un corpo): i corpi e gli in-corpi. Ad esempio, l'uomo e il pianeta sono corpi, il pensiero e il calore sono in-corpi. Sia i corpi che gli in-corpi esistono, dunque chiamo entrambi col nome di materia. Materia è ciò che esiste. Si hanno allora una materia corporea e una materia in-corporea. 
    Tutte le cose sono fatte di materia, corporea o incorporea. La materia corporea è inorganica oppure organica: la prima compone gli enti, la seconda gli esseri, perciò detti organismi. Le entità sono invece composte di materia sottile, inestesa e inconsistente, contrapposta alla materia spessa, estesa e consistente propria degli enti e degli esseri. Ma da che cosa è composta a sua volta la materia?
    La materia è un aggregato di molecole, la molecola è un aggregato di atomi, l'atomo è un aggregato di quanti. Il quanto è l'indivisibile, giacché non ha parti. Dunque tutte le cose si costituiscono di quanti, e i quanti costituiscono tutte le cose. Eppure non è dal quanto che ha origine il Tutto: l'origine infatti non può che essere unica per tutte le cose, dimodoché il Tutto deriva dall'Uno. L'Uno è singolarità puntiforme che esplode e si espande. Quindi, se il quanto fosse l'origine, esso sarebbe l'Uno, e vi sarebbe un solo quanto a comporre tutte le cose. Ma le cose sono aggregati di quanti, e i quanti sono particelle elementari molteplici e distinte.
    Bisogna allora trovare ciò che i diversi quanti hanno in comune tra di loro, e che sia allo stesso tempo comune anche agli altri aggregati. I quanti si uniscono a formare atomi, gli atomi si uniscono a formare molecole, le molecole si uniscono a formare materia. Tali composizioni unitarie sono costituite da parti legate in qualche modo tra loro. Ciò che lega le parti è sempre l'energia. L'energia è l'elemento comune a tutte le cose, in quanto è ciò che tiene insieme le parti che compongono le cose, mantenendo queste ultime nell'unità. 
    La singolarità puntiforme iniziale è energia concentrata. Le particelle elementari si generano dall'energia espansa come emergendo da essa. Anche le particelle quindi nascono, mentre l'energia è da sempre, ingenerata. Ciò significa che non soltanto l'energia è ciò che unisce le particelle le une alle altre a formare gli aggregati, bensì essa è anche ciò che compone tali particelle aggregate; la loro "materia". I quanti sono vortici minuti e compatti d'energia, cumulatasi a formare un minimum di estensione e consistenza: è il primo spessore corporeo. Gli in-corpi, invece, sono nient'altro che le variegate forme dell'energia pura. 
    Tutte le forze o interazioni avvenenti nel dominio della natura sono forze o interazioni energetiche. Il cangiamento di luogo e di posizione, la trasformazione, la generazione, la crescita, eccetera sono effetti dell'azione dell'energia, la quale è, pertanto, oltre che causa formale e materiale di ogni cosa, causa efficiente di ogni fenomeno chimico-fisico-psichico.
    Tutto dunque è energia, talvolta manifestantesi come materia corporea, talvolta come materia incorporea, talvolta come fenomeno dinamico che include i corpi e gli in-corpi come soggetti attivi o passivi. La materia corporea è energia imprigionata in vortici e legami; la materia incorporea è energia pura indirizzata da un corpo a una funzione particolare; il fenomeno è l'agire determinato dell'energia.
       
    La materia è energia; l'energia è anima. L'anima è il soffio o alito che dona la vita agli esseri, i quali si distinguono dagli enti proprio per il fatto di essere "animati", cioè viv-enti, o enti vivi. Essendo un fenomeno dinamico, la vita non può che essere causata dall'energia. Precisamente, si ha vita quando si hanno organi corporei capaci di raccogliere e sfruttare energia per generare processi chimico-fisico-psichici. La vita è la somma di tali processi, dunque l'energia coincide con l'anima, e conseguentemente con la materia.
    Tutta la materia è animata, persino la materia corporea inanimata. Tale materia è inanimata non in quanto non possiede anima, bensì in quanto la possiede ma non ha sviluppato alcun organo capace di usufruirne. Le anime individuali sono allora frammenti dell'anima che pervade il mondo intero; anima del mondo che fluisce nei singoli esseri senzienti.
    La materia-anima-energia è, in conclusione, l'arché, il principio; l'elemento fondamentale, la ragione ultima, l'essere in sommo grado, la sostanza prima delle cose che sono. Essa è l'origine da cui scaturiscono tutti gli enti ed esseri naturali, e anche le entità incorporee, e ciò di cui tutti gli enti ed esseri naturali, e tutte le entità incorporee, si costituiscono, cioè la condizione della loro esistenza, e la causa di tutti i mutamenti, del movimento e del divenire. In definitiva, l'essenza del mondo.