venerdì 3 agosto 2012

Integrazione ...


Emarginazione e razzismo


La politica sociale degli Stati relativa alla popolazione romanì costituisce l'esempio più lampante del fenomeno dell'emarginazione, così come l'atteggiamento dei cittadini nei loro confronti si presenta come il nec plus ultra del razzismo. 
Da un lato, lo Stato raggruppa i gitani in luoghi determinati: i "campi nomadi", sorta di ghetti molto spesso manchevoli dei servizi più basilari, e in tal modo non fa che aumentare la probabilità che in tali zone sorgano fenomeni di criminalità. D'altro lato, i cittadini, vittime di un'ignoranza diffusa relativa alla cultura e allo stile di vita zigani, e di un sospetto ancestrale proprio della natura umana quando si trova di fronte a ciò che non conosce, non fanno che ostacolarne l'integrazione, lasciando mano libera ai propri pregiudizi e alle proprie false credenze (la bestialità naturale, l'ostilità caratteristica verso il lavoro legale e la vita sedentaria, l'irrettificabile cultura della sporcizia e del furto, la consuetudine del rapimento dei bambini, eccetera) invece di limitarne la portata, e condannando i loro atti senza domandarsi quali possano essere le cause che stanno dietro ad essi e li giustificano. I mezzi di comunicazione di massa, inoltre, nel loro ruolo di mediatori tra la Politica e le moltitudini, sembrano veicolare e addirittura istigare una forma di odio, esacerbando una situazione già, di per sé, di difficile soluzione. Il risultato estremo di ciò è una legittimazione della violenza contro gli zingari, i quali reagiscono a questo accanimento mediante l'indifferenza o l'avversione. 
Ora, posto che tutti i cambiamenti procedono dall'alto e non dal basso, è la Politica a dover compiere il primo passo per tramutare l'inimicizia in amicizia. Inanzitutto, occorre portare i gitani tra la popolazione, giacché solo un contatto assiduo può rompere le barriere psichiche che vengono edificate dagli uni e dagli altri. In secondo luogo, occorre donare loro la possibilità di entrare concretamente a far parte della comunità in cui si trovano a vivere, e ciò può darsi soltanto attraverso la cittadinanza, la casa e il lavoro, ovvero i beni fondamentali che a noi sono assicurati di diritto e a loro sono, il più delle volte, interdetti. Infine, è necessario che i media si impegnino ad approfondire e a diffondere la conoscenza delle tradizioni zigane, per mostrare tutto ciò che di bello appartiene a queste etnie. Lo scopo a cui tendere è l'eliminazione dell'idiozia statale e sociale che ha prodotto e produce l'assurdità dell'emarginazione e del razzismo, con i conseguenti effetti nocivi a livello civile.  
  

Relazione ...


Dialettica dell'Io e del Tu


Io e Tu risultano essere unità indissolubile. L'Io infatti non sussiste mai da solo: quand'anche si trovi in solitudine, compagno di sé stesso, egli sa che, al di fuori di un determinato luogo e oltre un determinato periodo di tempo, vi saranno persone con le quali entrerà in contatto; un contatto assiduo, costante e, inoltre, profondo. L'esistenza stessa dell'Io, la sua caratteristica più propria, non è altro che relazione.
L'Io sorge prima ancora della venuta al mondo dell'uomo, e già nel ventre egli percepisce il Tu della madre. Un tale Io è strettamente legato al Tu, e da lui si trova a dover dipendere. Al Tu della madre si aggiunge, in seguito, il Tu del padre, anch'esso altrettanto essenziale per lo sviluppo dell'Io, ed eventualmente quello dei fratelli e delle sorelle, con i quali si condivide la crescita. Anche al di fuori della famiglia ristretta si stabiliscono relazioni più o meno approfondite, con i membri della famiglia allargata: nonni, zii, cugini, eccetera. Vi saranno, poi, le persone con cui si stabilirà una relazione di amicizia, e quelle con cui si costruiranno relazioni amorose; le persone che saranno per l'Io dei maestri e dei secondi padri; il Tu supremo, percepito come più o meno reale, più o meno immaginario, e cioè Dio. La vita sociale nella sua interezza si costituisce di relazioni del tipo Io-Tu che si incrociano e giustappongono fra loro.
Ciò sta a significare una cosa soltanto: l'Io vive della basilare relazione con il Tu, e non può fare a meno di codesta relazione, giacché essa si delinea come suo bisogno o necessità intrinseca. Il Tu è, fondamentalmente, un Altro-Io, oppure addirittura una frammento dell'Io. 
L'uomo è un essere relazionale. Nondimeno, tale relazionalità può essere spezzata, e vi è un unico elemento capace di spezzarla: l'egoismo utilitarista e pragmatista, il quale vede la persona non più come un Tu, bensì come un Esso, ovvero una cosa impersonale, un mezzo e non un fine; tale elemento, in un certo senso artificiale, in quanto estraneo alla natura umana, introdotto dal di fuori e non emergente dal di dentro, rompe infatti il legame, per quanto questo possa esser saldo. Si ha allora, con la rovina del Tu e la rottura della relazione, la conseguente rovina dell'Io, ossia la sua morte anticipata; più precisamente, l'infelicità dell'Io.
   

Alterità ...


(Forma metrica: sestina narrativa)


Diverso eppure identico


Giunga il diverso dinanzi al mio sguardo
ed io con braccia tese gli andrò incontro
con lui rimarrò, colmo di riguardo
'ché certo non siam fatti per lo scontro:
le parole dette e quelle non dette
saran scagliate, simili a saette.

 E l'Io berrà dalla coppa dell'Altro
nettare traboccante e saporito
che nutrirà lo Spirito fin dentro
gli antri più riposti, all'infinito
di scienza imperitura pervadendolo;
da sciocchi pregiudizi liberandolo.

Così simile allora apparirà
la sua natura ed essenza profonda
se non identica: ripulirà
la coscienza, dalla sozzura immonda
gli orecchi cui l'ascolto era precluso
senno infine destando nell'ottuso.