Violenza collettiva e antidoti statali
Che
vi sia un istinto di morte operante a fianco del più evidente istinto
di vita, e forse proprio in funzione di questo, è un dato di fatto
innegabile, di cui si trovano esempi quantomai numerosi e lampanti nei
fenomeni sociali. Che ciò sia un problema politico, di quella politica
che non si rifiuta di amministrare la vita collettiva in tutti i suoi
aspetti molteplici ed anche in quelli che sembrano non riguardarla da
vicino, è cosa che non si deve fare a meno di rimarcare e su cui non si
può non insistere, tanto è importante.
Tra
gli accadimenti in cui è celato il desiderio di morte, che si rivolge
contro gli altri prima di tutto, ma anche contro sé stessi se nell'atto
precedente si è bloccati da una sorta di pudore o timore morale, vanno
citati quelli che risultano essere i più eclatanti e che si verificano a livello della vita associata: il bullismo, la violenza negli stadi e la
violenza di piazza. In tutti e tre questi fenomeni la morte si esprime
come agressività cieca che vuole essere sfogata, e che, se non fosse per
le limitazioni concrete che fanno da ostacolo, si risolverebbe
addirittura nell'annientamento.
Nel
bullismo, manifestazione propriamente giovanile, si ha un raggruppamento
di individui che usano la propria forza per soggiogare individui più
deboli, senza alcuna motivazione o causa effettiva. L'aggressione, che è
psichica e fisica assieme, non avviene per difesa da un pericolo, né
per prevenzione a seguito di una minaccia, ma si mostra come
sostanzialmente gratuita. Qui, attraverso un avvenimento pretestuoso, si
mira semplicemente a estrinsecare una volontà di dominio sottomettendo
l'altro al proprio volere fino a danneggiarlo nella sua integrità.
Questa dimostrazione di violenza autoritaria finisce per fornire un
esempio di vita onorevole sia per i maschi, i quali sogliono imitarla
nel desiderio di conquistarsi rispetto e considerazione, sia per le
femmine, che sembrano prediligere i tipi del genere nella scelta del
partner. Un'educazione siffatta non può che tramutarsi nel culto della
forza bruta, il quale, se mantenuto anche in età adulta, si presenta
come una minaccia per l'ordine sociale.
Negli
scontri verbali e maneschi che avvengono negli stadi durante i giochi
sportivi, tra le tifoserie opposte e tra queste e le forze dell'ordine,
si amplia il numero degli individui interessati. Anche in questo caso le
motivazioni e le cause si mostrano come dei pretesti irragionevoli per
trarre fuori da sé una tensione accumulata. La violenza è
indiscriminata, in quanto le distinzioni settarie su cui si applica non
hanno nulla di logico; è come se un demone si impossessasse uno ad uno
dei componenti della folla portandoli alla follia, in un contagio
difficilmente arrestabile e che coinvolge tutte le parti protagoniste. A
farne le spese è l'immagine di una nazione, che diviene preda degli
altrui giudizi di inciviltà, di fronte al resto del mondo e anche di
fronte a sé stessa, ovvero alla propria cittadinanza.
Negli
avvenimenti conflittuali che riguardano le manifestazioni di piazza,
ancora tra cittadini di diverse fazioni e tra questi e le forze di
polizia, il coinvolgimento della politica è maggiormente visibile; anzi,
al contrario delle due forme precedenti questa forma di espressione
violenta ha delle motivazioni e delle cause generali ponderate. Eppure,
nonostante ciò, e nonostante l'utilità sociale a cui codesto tipo di
violenza si piega (su tale affermazione, che la violenza di piazza
possieda un'utilità sociale, certamente in molti non saranno d'accordo,
ma non sono io, in realtà, a sostenere questa posizione azzardata: è la
storia stessa con i suoi eventi, piuttosto, a sostenerla), il solo fatto
che vi sia un'esigenza popolare di manifestare il proprio dissenso nei
confronti dell'autorità statale è un problema, giacché dimostra la
presenza di un'insofferenza diffusa tra le moltitudini soggette al
potere.
Ora, il compito di una
politica assennata non è quello di reprimere le espressioni sociali
deleterie una volta sorte - così infatti il problema non viene affatto
risolto - bensì quello di prevenire il loro prodursi; se ciò non avviene
la politica non può essere detta politica sana, perché ne va del
mantenimento dell'ordine generale. Alla radice della violenza
sconsiderata degli atti di bullismo, degli scontri negli stadi, degli
scontri di piazza e di qualsiasi altro avvenimento del genere, sta
sempre un malessere interiore del singolo, di stampo prettamente
nichilistico, derivato da condizioni sociali disagiate (dallo stato di
povertà familiare al vivere in un ambiente malfamato; dall'assenza o
disinteresse dei genitori all'influenza delle cattive compagnie, e così
via dicendo): se ciò è vero, allora eliminando questo disagio profondo
si preverrebbe anche l'insorgere della violenza mortifera. Ma il
malessere sociale non può essere eliminato se non in un modo: attraverso
l'assistenza statale rivolgentesi a tutti quei casi speciali che, in
quanto tali, fuoriescono dalla norma dell'esperienza vissuta ordinaria,
in modo da annullarne il potenziale negativo mediante programmi mirati
al riempimento delle mancanze economiche, affettive e valoriali.