venerdì 14 febbraio 2014

Diritto ...


Sull'appellativo di giusto riguardo alla legislazione e alla politica


Se si definisce la giustizia come l'essere conforme alla legge, allora si può pensare che tutte le leggi, quali che siano, siano giuste. Come può, ci si chiederà a questo punto, una cattiva legge - una legge repressiva di qualche libertà fondamentale oppure una legge iniqua - essere, nonostante ciò, detta giusta? Ma la questione, in verità, non è così posta nel modo più appropriato. 
Si dovrebbe piuttosto pensare alla legge come a un qualcosa che può essere o non essere conforme a una legge superiore. Si consideri ad esempio il diritto nazionale e il diritto internazionale: se le direttive del primo si mostreranno in accordo con le direttive del secondo, ciò vorrà dire che il primo si sarà guadagnato l'appellativo di giusto. Una legge inferiore è quindi giusta se concorda con una legge superiore. E la legge superiore, quand'è che sarà dichiarata giusta? 
La risposta a codesta domanda è semplice: se non vi è nessun'altra legge al di sopra di quella ad aver valore maggiore, quella legge non sarà né giusta né tantomeno ingiusta. Infatti, è la politica a fare le leggi e a rendere tutto quel che cade sotto il dominio delle leggi giusto oppure ingiusto, a seconda che si accordi o meno con esse, e da ciò consegue che, essendo gli uomini a fare la politica, la legislazione e la giustizia si rivelano come produzioni esclusivamente umane, aventi un carattere relativo e non invece assoluto.
Se poi determinate leggi siano utili o inutili alla comunità, adeguate o inadeguate a risolvere una certa problematica sociale, è oggetto di discussione. Una legge, essendo produzione umana, e potendo gli uomini sempre ingannarsi e commettere errori; potendo addirittura intenzionalmente recar danno allo Stato e ai cittadini per perseguire indegni fini personali, può risultare controproducente e nociva. Eppure questo non ha nulla a che vedere con il suo essere giusta o ingiusta: giusto è infatti nient'altro che ciò che è legittimo, ciò che è giustificato dal diritto e dalla politica che genera il diritto.

Norma ...


Critica dei concetti di giustizia e di bontà e fusione di legalità e moralità


Il senso comune confonde sovente la giustizia con la bontà, eppure i due concetti non si equivalgono. Giustizia è giudicare e agire secondo la legge - giudicare, nel caso in cui il soggetto incarni il mestiere di giudice; agire, nel caso in cui il soggetto si presenti come un cittadino ordinario (colui al quale non sia concessa la cittadinanza non è obbligato a seguire le norme della città, e la pretesa che debba farlo pur non ricevendone in cambio i diritti è assurda) - bontà è, invece, giudicare e agire secondo la morale - giudicare, nel caso del possessore di autorità spirituale, ovvero il sacerdote; agire, nel caso del laico, sia esso credente o meno (infatti le categorie mentali mediante le quali decidiamo e agiamo sono le stesse, date a priori, e la coscienza di ogni uomo si erige su una struttura trascendentale di base edificatasi attraverso l'educazione e l'influsso della cultura di appartenenza). Pertanto, il giusto e il buono si distinguono, e l'uno e l'altro possono presentarsi isolatamente. 
Il giusto, per essere tale, non ha bisogno di essere buono: gli basta obbedire ai codici e alle regole scritte del proprio Stato. Anzi, se si è giudici, occorrerà possedere una certa dose di malvagità per condannare e punire l'ingiusto, cioè colui che ha violato la legge, e maggiormente severa sarà la pena, maggiore sarà la cattiveria di cui il giudice dovrà essere munito affinché egli stesso sopporti il male recato. Il principio di qualsiasi legislazione è infatti: sia dato il male ai malvagi, e tanto più male quanto più se ne è compiuto. Persino il Giudice supremo non potrà allora essere al contempo infinitamente buono e infinitamente giusto.
Il buono, viceversa, non ha bisogno di essere giusto, giacché gli basta obbedire ai principi e ai doveri impostigli dalla sua religione. Qui si nota una potenziale contraddizione tra legislazione e morale, data dal fatto che il buono, per salvaguardare la propria bontà, potrebbe risultare impossibilitato ad agire giustamente. Ma tale antinomia trova risoluzione nell'integrazione della morale all'interno della legge, dimodoché le norme morali coincidano con le norme legali, e nell'inserimento del principio di obbedienza alla legge nell'insieme dei precetti morali, cosicché l'azione giusta si delinei anche come azione buona.

Dike ...


(Forma metrica: verso pari)


Il verdetto


Tribunale della Ragione, giudicami
come un tempo giudicasti
i miei padri, e severo li punisti
(Ragione infatti è ogni norma
da mani umane scritta o non scritta);
pondera
saggio i pro e i contra
e emetti fermo verdetto.
Sulla bilancia tua dorata il mio torto
sia pesato:
possa essere piuma d'uccello! Pena altrimenti
e castigo cadranno sul capo mio lordato
a mondarlo
dai suoi crimini meschini;
a ripulirlo da macchia infame.
'Ché tale è l'Inferno
sofferenza, e condanna
ma invero anche dolce sollievo e pieno riscatto.
Espiata la colpa, vedrò infine
la luce. Sarà Giustizia.
E con essa verrà duratura pace.