martedì 15 aprile 2014

Cura ...


Estremismo della compassione. Idee radicali e attuazioni per una pietà politica


I sentimenti umani possiedono un ruolo sociale. Se i sentimenti negativi (odio, invidia, gelosia, eccetera) contribuiscono a rompere i legami tra le persone e a far emergere fra di loro il contrasto, i sentimenti positivi (amore, ammirazione, fiducia, eccetera), al contrario, non fanno che sancire quei legami personali e destare concordia. Essendo la concordia il fondamento di ogni società, lo Stato ha il dovere di favorire quei sentimenti che sigillano l'unione e l'ordine e, viceversa, di osteggiare quelli che possono provocare un principio di disgregazione e di disordine nel tessuto comunitario. 
La compassione risulta essere, a questo riguardo, uno dei maggiori e più benefici sentimenti positivi, di contro all'apatia quale sentimento negativo tra i peggiori e più deleteri. Essa, generando sovente degli atti di pietà, fa sì che si producano e mantengano l'equilibrio e l'armonia tra i cittadini, quell'equilibrio e quell'armonia che incarnano il bene di una nazione. Pertanto, una politica sana non potrà che essere una politica compassionevole - giacché è il governo, in primo luogo, a dover dare l'esempio ai governati -, ovverosia una politica assistenziale rivolta alle minoranze emarginate e alle classi disagiate, e cioè agli strati della popolazione che più di tutti avvertono la necessità di un concreto soccorso statale. In tal senso, sarebbe utile e conveniente inserire, ad esempio, all'interno delle legislazioni nazionali una elemosina obbligatoria al fianco di quella facoltativa, sul modello dei paesi islamici.

Certamente, è merito delle religioni, e soprattutto di quelle religioni che sulla compassione fondano l'intera loro dottrina pratica, quali il Cristianesimo e il Buddismo, l'aver introdotto nella civiltà e radicato nelle coscienze morali la pietà verso i miseri - siano essi i poveri, gli oppressi o in generale i disgraziati - la quale prima era prerogativa esclusiva dei soli eroi magnanimi e dei grandi uomini nobili; in breve, la preoccupazione per le vittime. Ma quel che ancora non è stato raggiunto è un traguardo di gran lunga più difficile, un azzardo che renderebbe la comunità che lo attuasse la più avanzata tra le numerose comunità presenti nel mondo, la più perfetta dal punto di vista etico. Codesto traguardo si delinea come preoccupazione nei confronti dei carnefici, pietà verso coloro che fanno il male (essi pure, in verità, nient'altro che dei miseri), compassione piena e completa che include l'umanità infelice tutta. Lo Stato che arrivasse a comprendere il giovamento che deriverebbe da ciò sarebbe allora il più lungimirante, la società da lui governata la più equilibrata ed armonica, i cittadini a lui sottoposti i migliori in assoluto nella loro virtù. 
    

Beneficenza ...


Disamina del fenomeno della compassione


Compassione, ovvero condividere una passione; compatire, ossia patire insieme a qualcuno. Con tali parole indichiamo un sentimento che sorge nell'animo dell'uomo quando egli scorge, nell'aspetto altrui, i segni della sofferenza e dell'afflizione. Non appena compaia alla percezione, e primariamente alla vista e all'udito, il dolore di un essere, sia esso dolore di tipo fisico oppure di tipo psichico - quel dolore che deforma le pieghe del corpo e dell'anima martoriandoli impietoso sino al limite della sopportazione - ecco che allora anche il percipiente s'immagina di esperire il medesimo stato, e pertanto vien preso dall'angoscia e diviene così partecipe, in sé, del dolore dell'altro. Si tratta di un fenomeno spontaneo, involontario: dunque di un fenomeno naturale, il quale è spesso seguito, se abbastanza intenso, da una opportuna azione di assistenza nei confronti del bisognoso. 
Cotale dono - giacché con ciò invero si ha a che fare, con un dare, un concedere qualcosa nel limite delle proprie possibilità - non può dirsi un dono totalmente gratuito, né tale azione un'azione integralmente altruistica: anch'essi, il dono e l'azione in questione, muovono da una forma di egoismo, e precisamente dal voler liberarsi di quella situazione penosa condivisa, dal voler pacificare in tal modo la propria coscienza morale attraverso l'esecuzione di un dovere che non sempre coincide con un piacere, dal voler evitare o scacciar via il senso di colpa che deriva o deriverebbe dal caso di un mancato intervento. Senonché si ha qui a che fare con una forma di sano egoismo, di contro alle forme di egoismo malsano, quali sono, per esempio, il cinico disinteressarsi e fregarsene le mani, e il sorvolare sulla condizione di miseria esperita pascendosi nella propria indifferenza.
Vi è chi crede o ha creduto (e, parimenti, chi crederà) che il sentimento di compassione (e, con esso, l'opera pietosa) sia oltremodo dannoso: dannoso per sé stessi in quanto distoglie l'attenzione dall'esistenza del proprio Io verso l'esistenza di un qualsiasi non-Io, e di conseguenza fa sì che si rivolga a questo le cure che dovrebbero essere elargite primariamente o addirittura esclusivamente a quello; dannoso per gli altri in quanto offende l'orgoglio e il pudore del compatito aggiungendo lui una ulteriore ferita e lasciandolo nella vergogna di dover essere stato aiutato, cioè di non aver avuto la forza di aiutarsi da sé, e di aver dovuto esporre la propria intima debolezza per giustificare quell'ausilio richiesto o non richiesto. Può accadere, a questo proposito, che l'uomo che nella sua impotenza subisce il compatire possa anche non desiderare affatto l'ausilio altrui, e quindi possa trovarsi ad essere assistito contro la propria volontà, il che farebbe nascere in lui sdegno e rabbia e ingratitudine, oltre a esacerbare l'impotenza stessa che è causa principale della sua pena.
Ma se si osserva il fenomeno da una posizione più alta, si può comprendere che: ciò che si mostra come spontaneo e naturale, ciò che avviene nella propria interiorità senza il concorso del volere consapevole, è anche qualcosa di necessario. Ma ciò che è necessario, da un lato, non può essere contrastato nel suo presentarsi, dall'altro, genera infelicità se vien represso una volta che si sia presentato; ciò che dona un aiuto, se l'aiutato lo richiede o se, pure non richiedendolo, manifesta di averne bisogno, allevia o addirittura fa cessare la sofferenza e l'afflizione proprie e altrui. L'alleviamento o la cessazione dei patimenti, però, risultano essere evidentemente benefici per sé stessi come pure per gli altri; l'assistenza pietosa, se rende felici e se porta il bene, non può che unire, introducendo una comunanza d'amore, coloro che prima erano divisi. Il compatente e il compatito infatti ora condividono una passione e un debito reciproco, i quali li legano indissolubilmente l'uno all'altro. 
Compatire è, esattamente e in senso proprio, un rafforzarsi vicendevole per cui un soggetto accorda parte della propria energia a un altro soggetto, affinché entrambi possano acquietare sé stessi e trascorrere una vita più paga.

Agape ...


(Forma metrica: ode)


Bonaria compassione


Lode a te, che sei simile
bonaria compassione
a colomba mirevole
e a singolar tenzone:
odiosa infatti e amabile
ti mostri in verità.

Divino rendi l'animo
dell'animale umano
quando appari, ché adito
mai non dai a malsano
egoismo, e a rigida
funesta aridità.

E così dunque uomini
unisci in stretti lacci;
Cristo e Budda l'insegnano
ammantati di stracci:
amate il vostro prossimo
spargendo carità.

Ché non sarà mai saturo
d'amore il cuore altrui
che si dimena misero
solo, in antri bui;
tu lo renderai madido
d'abbagliante pietà.

Ma in vasti mari naviga
- mari d'indifferenza
placidi - mente cinica
e non coglierà lenza
egli, quando uno spasimo
dolente avvertirà.