sabato 19 maggio 2012

Welfare ...


Libertà, ricchezza, assistenza


La libertà politica occidentale si delinea come libertà di pensiero, di espressione e di azione nei limiti della legge, nonché come partecipazione in massa alla Cosa pubblica attraverso il voto. Eppure, il Potere occidentale controlla le coscienze pensanti, esprimenti e agenti, oltre alle modalità di partecipazione politica, e non ha quindi bisogno di impedire nulla se non quelle piccole deviazioni che farebbero tremare le proprie fondamenta, rischiando di farle crollare. 
Ora, l'Occidente va fiero della propria libertà e la contrappone orgogliosamente alla minore libertà concessa, invece, dai paesi non-occidentali. Eppure in molti paesi non-occidentali, dove non vi è cultura libertaria, il grado di benessere sociale della popolazione pare essere di gran lunga più alto di quello presente nei pesi d'Occidente (si pensi alla Cuba di Castro, dove neppure vi è una elevata prosperità economica, o alla Libia di Gheddafi, regimi in cui la libertà politica è fortemente limitata dall'autorità sovrana). Ci si deve chiedere, pertanto, se la libertà sia realmente un fattore primario per la vivibilità di una nazione, o se sia invece qualche altro fattore a essere essenziale.
Posto che un occidentale, abituato com'è alla propria libertà, che seppure illusoria appare alquanto vasta, non sopporterebbe mai di vivere all'interno di uno Stato autoritario, ciò che può essere considerato imprescindibile per il benessere sociale e per la vivibilità di una nazione non è la libertà politica, né tantomeno la ricchezza economica (il che, si badi bene, non significa che libertà e ricchezza non siano importanti), quanto piuttosto l'assistenza statale: gli Stati in cui il Welfare è più presente sono quelli in cui le moltitudini si trovano a essere maggiormente soddisfatte e gratificate. 
Uno Stato assistenziale forte ed efficente significa istruzione e sanità di livello assicurate per tutti e gratuite, accesso generalizzato alle risorse culturali, aiuti economici ai cittadini nell'ambito dello studio, della maternità e del lavoro, sussidi per la disoccupazione e per le famiglia indigenti, pensioni e salari adeguati al costo della vita, cura degli anziani, degli invalidi e dei malati, difesa dell'ambiente naturale. Quando vi siano questi impegni da parte dell'autorità, la persona sarà appagata e disposta anche a sopportare un grado più alto di schiavitù, o un grado più alto di povertà.
Il pieno Stato sociale deve essere dunque l'obiettivo primario di ogni Stato, giacché lo Stato è prima di tutto un servizio donato alla collettività. Tale modello, unito a una libertà e a una ricchezza congrue, è l'ideale statale perfetto, in atto oggi esclusivamente nei paesi nordici della Svezia e della Norvegia.

Fallacia ...


Riduzioni moderne del concetto di libertà e suo significato reale


La libertà è dai moderni intesa in un duplice senso: da un lato come libero arbitrio (retaggio del Cristianesimo), dall'altro come indipendenza (retaggio del Capitalismo). 
Il libero arbitrio è la libertà di scelta, la possibilità di decidere liberamente delle proprie azioni. Potendo il soggetto indirizzarsi ugualmente verso una direzione o verso un'altra, di fronte a un orizzonte di opzioni egli preferirà l'una o l'altra a seconda di ciò che ritiene essere buono e giusto; a seconda di quel che, nel suo giudizio, risulterà essere migliore e più conveniente per sé stesso o per gli altri, o insieme per sé stesso e per gli altri. Ciò significa che ogni individuo, agendo, si addossa non soltanto la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze, ma anche la colpa di eventuali mali compiuti direttamente o indirettamente, volontariamente o meno. 
L'indipendenza è libertà di pensare, esprimersi e agire senza interferenze esterne, senza dover rendere conto ad alcuno dei propri pensieri, delle proprie espressioni, delle proprie azioni; libertà di vivere l'esistenza secondo la propria volontà e non secondo la volontà di un altro. Questo "altro" che può impedire noi di essere ciò che vogliamo è un "potere", una forza esterna capace di surclassare la nostra propria forza individuale: tale potere non può che essere il potere dello Stato. Ciò significa che ogni uomo deve, per realizzare sé stesso, poter vivere a proprio piacimento, fuoriuscendo dalle maglie di quell'autorità sovrana che può volgerne l'esistenza singola a suo favore. 
L'essere umano, si crede, è libero nell'arbitrio e indipendente per natura intrinseca. Per questo motivo la libertà assurge a idolo sacro e incontrastato nell'Occidente cristiano-capitalista.

Eppure tali visioni della libertà non sono altro che riduzioni o, peggio ancora, fraintendimenti.
Innanzitutto: non esiste alcun libero arbitrio. Si ha effettivamente l'impressione di essere liberi nella scelta, di poter decidere liberamente delle proprie azioni, ma una tale impressione è un'illusione derivante dal fatto di essere coscienti delle proprie scelte e delle proprie azioni, ma di ignorare al contempo le cause di tali scelte e di tali azioni. Ovvero: il soggetto, nel momento in cui si trova di fronte a un orizzonte di opzioni possibili, è consapevole di star decidendo tra tali opzioni. In lui vi è una lotta di motivazioni, alcune delle quali premono verso una direzione, altre verso una direzione diversa, e così via. In questa lotta, soltanto alcune motivazioni, in quanto più forti, usciranno vincitrici, stabilendo la scelta e, di conseguenza, l'azione. Ma nessun soggetto conosce, né può affatto conoscere, la concatenazione infinita di cause precedenti che hanno portato casualmente alla comparsa di quella motivazione vittoriosa in quel preciso momento. Da questa relazione tra coscienza e ignoranza procede l'impressione di una libertà dell'arbitrio. Ma l'arbitrio è, come detto, determinato (e non pre-determinato) dalla necessità delle concatenazioni causali precedenti, e la necessità è guidata dalla casualità dell'incrociarsi di quelle concatenazioni: si ha, pertanto, un necessario arbitrio nato da accidentalità fatali. La verità è, dunque, questa: nel momento in cui scelgo e agisco, tale scelta e azione particolare non poteva non venire alla luce; nel momento in cui decido, non avrei mai potuto, date le medesime condizioni, decidere altrimenti. Si è dunque incolpevoli, in quanto schiavi della necessità e del caso, ma anche consapevoli, e, perciò, responsabili. 
Infine: non è possibile alcuna indipendenza. Si crede fermamente di essere nati liberi da qualsivoglia influenza, e di dover quindi salvaguardare tale libertà fondamentale, ma una tale convinzione è del tutto infondata. Da sempre l'uomo vive, infatti, in una condizione imprescindibile di dipendenza da fattori esterni: egli è sottoposto all'autorità dei genitori all'interno dell'ambito familiare, e a quella dei detentori del potere (insegnanti, datori di lavoro, sacerdoti, governanti, eccetera) all'interno dell'ambito sociale. I suoi pensieri e le sue azioni sono inevitabilmente determinati dall'educazione impostagli dall'ambiente in cui si trova inserito, cosicché egli è, in un certo senso, schiavo in ogni momento di forze estrinseche che modellano la sua propria interiorità. La volontà del singolo è, di fatto, la volontà del Potere, la quale non necessariamente si identifica con lo Stato; la differenza sta, piuttosto, nel grado più o meno alto di schiavitù, e nella quantità maggiore o minore di libertà concessa da tale Potere. Pertanto, credere di poter conquistare, all'interno dell'unione sociale, un'indipendenza che non è mai esistita, né può esistere in alcun modo, in quanto la dipendenza è la condizione stessa di possibilità dell'unione sociale in genere e senza di essa l'individuo, lasciato a sé stesso, non potrebbe nemmeno sopravvivere, risulta essere quantomeno ingenuo, utopico, e addirittura assurdo. L'auto-realizzazione non dipende certo da una libertà così intesa, che altrimenti sarebbe impossibile realizzare sé stessi. 

Bisogna allora ri-definire il concetto di libertà per scorgerne il senso autentico.
Se una libertà esiste, essa deve mostrarsi all'interno delle circostanze fattuali ineliminabili del necessario arbitrio e della dipendenza. Il primo punto è quindi l'accettazione della necessità: il nostro arbitrio è determinato; noi dipendiamo da un Potere. 
Il secondo punto è l'accettazione di quella componente di casualità che guida gli eventi, ovverosia il fato. Sia quando io mi trovi ad esperire il piacere e la gioia, sia quando mi trovi ad esperire il dolore e la sofferenza; sia che io viva la buona oppure la cattiva sorte, questo è il destino, e così è giusto che sia.
A partire da qui, bisogna altresì chiedersi: cosa è che imprigiona gli esseri umani rendendoli impotenti? La risposta è: la servitù del corpo e della mente. E che cosa asservisce il corpo e la mente? Le passioni disordinate da un lato, i dogmi e i pregiudizi dall'altro.
Ma ciò che imprigiona e rende impotenti più di ogni altra cosa è l'infelicità, che si genera dalla repressione della propria natura intrinseca, in qualsiasi modo si compia.
Libertà è quindi, in conclusione, abbracciare la necessità e il caso che fanno parte dell'esistenza, ordinare le passioni mediante la ragione, ripulire il proprio pensiero dai dogmi e dai pregiudizi, e, soprattutto, seguire i dettami della natura, che equivale a vivere con spontaneità.
Dalla libertà così intesa emerge impetuosa la volontà, e con essa la possibilità della realizzazione di sé.

venerdì 18 maggio 2012

Fraintendimento ...


(Forma metrica: ottava di ottonari)


La Libertà e il suo non-essere


Donna è la Libertà santa
e forte la chiaman gli uomini
d'Occidente, a gran voce:
lei solenne e ben vestita
si mostra agli occhi del volgo
ammiccando vanitosa;
eppure mai si concede
ma le spalle sempre volta.

Tal di noi prendersi gioco
l'ingenuità nostra espone
e palesa, poiché servi
da trasparenti catene
gambe e mani imprigionati
siam noi tutti e dobbiam essere:
nei giardini della legge
infatti, ella fiorisce.

E bendisposta altrettanto
la moral dai piedi lievi
lega con tela di ragno
le inconsapevoli prede
ma non lei di noi si nutre
bensì noi di lei; forse
che umana natura sia
l'obbedire silenziosi?

Miele infine, seppur miele 
spesso amaro e avvelenato
sono l'ambiente e il sapere
acqua sostanziosa il primo
terra coltivata l'altro
e la necessità dura
che alle cause effetti lega.
No, certo ella non è questo.
 

giovedì 17 maggio 2012

Educazione ...


Disciplinamento e repressione
 

Ogni uomo è ciò che viene educato a essere. La coscienza degli individui è infatti in principio una massa informe e malleabile, che assume una forma definita durante i primi dieci anni di vita, e giunge a solidificarsi una volta trascorsi i venti anni di età. Precisamente, l'educazione edifica all'interno della mente umana la coscienza morale. La coscienza morale è l'unico aspetto propriamente artificiale della psiche, in quanto è prodotta dall'uomo e non deriva necessariamente dalla natura intrinseca o dalla realtà esteriore. L'educazione è, in questo senso, un fatto politico, o meglio, bio-politico.
L'educazione che forma le coscienze degli individui occidentali è marcata a fuoco da due dottrine fondamentali, ovverosia il Cristianesimo e il Capitalismo, la cui azione congiunta genera l'uomo borghese. A tale tipologia di uomo appartengono la stragrande maggioranza delle persone e, precisamente, coloro che fanno parte della cosiddetta "classe media", categoria trasversale ormai slegata dalle distinzioni di mestiere e di censo, che ha colonizzato la quasi totalità dei cittadini appartenenti alla società civile. 
L'effetto principale dell'educazione cristiana è la repressione dei desideri "carnali" procedenti dall'istinto. L'istinto, che nell'uomo diviene desiderio, è la voce della natura, ma la natura è male, giacché porta l'uomo alla perdizione. Peccato e desiderio si equivalgono, e viene così sancita l'interdizione dell'appagamento. Se è vero che un animo appagato è un animo sereno (e tale verità è empiricamente provabile), allora quel che viene proibita è la vita serena, che coincide con il benessere, mentre, invece, viene valorizzata la vita ascetica e rinunciataria, segnata dal sacrificio e dall'afflizione che consegue al sacrificio. Il risultato di tutto ciò è la coscienza inibita, la quale è coscienza infelice perché incapace di vivere il piacere carnale. 
L'effetto principale dell'educazione capitalistica è la repressione dei desideri "spirituali" procedenti dalla ragione, la quale sublima l'energia dei desideri carnali indirizzandola verso oggetti e scopi di altro livello. La ragione è la voce del pensiero, ma il pensiero è male, giacché si presenta come astrazione, forma puramente teoretica, quindi materialmente inutile e inefficace. Si ha allora, anche in questo ambito, l'interdizione dell'appagamento, della serenità, del benessere in genere, e un obbligo a scegliere esclusivamente le cose utili ed efficaci, che sono però inessenziali. Il risultato di tutto ciò è la coscienza calcolatrice, la quale è, anch'essa, coscienza infelice perché incapace di abbandonarsi al piacere spirituale. 
Paradossalmente, i principi del Capitalismo rinnegano quelli del Cristianesimo, e il Cristianesimo, nell'era del Capitalismo, sopravvive soltanto come uno spettro atavico (soprattutto all'interno della psiche femminile). Anche la pratica religiosa e il desiderio di Dio sono infatti catalogati tra le cose inutili e inefficaci, e ciò significa che l'uomo borghese ha allentato le corde che tenevano legata la sua mano, ma ha perduto, inoltre, ciò che di buono v'era nella dedizione ai valori ultraterreni, ossia l'anelito spirituale. 
Rifondare l'educazione in favore del desiderio deve essere l'obiettivo di ogni (bio)politica che voglia, in futuro, generare un esemplare di uomo più sano, che sia, dunque, coscientemente felice.  
  

Persona ...


Unità e trinità della persona. Conseguenze


L'uomo è uno e trino, giacché la sua persona è unione di tre persone distinte: Es, ovvero il Sé; Ego, ovvero l'Io; Super-Ego, ovvero l'Altro-sopra-all'Io.

L'Es, o Sé, è l'anima concupiscibile, il non-luogo del desiderio, la voluttà. Qui si esprime la totalità dei desideri, da quelli più reconditi e inconsci a quelli più accessibili e coscienti; desideri di vita e desideri di morte, desideri sessuali risultanti da pulsioni erotiche e desideri aggressivi risultanti da pulsioni violente, desideri di creazione e di distruzione. Qui si manifesta il bisogno ineluttabile, ciò che non può essere evitato o fuggito in alcun modo, bensì soltanto direttamente o indirettamente represso o soddisfatto. La sua lingua è quella della fantasia e del sogno. La sua legge è il principio di piacere. La sua incarnazione è il bambino.   

L'Ego, o Io, è l'anima razionale, il non-luogo della ragione, l'intelligenza. Qui si esprimono le facoltà del pensiero raziocinante, la rappresentazione, la riflessione e il giudizio, cioè la coscienza che si affaccia sul mondo mediando tra interno ed esterno. Qui si manifesta la necessità, e si producono, attraverso l'azione, le funzioni essenziali di sopravvivenza, adattamento, affermazione e apprendimento; in definitiva l'intera vita consapevole. La sua lingua è il linguaggio comune, la parola detta e scritta. La sua legge è il principio di realtà. La sua incarnazione è l'adulto.      

Il Super-Ego, o Altro-sopra-all'Io, è l'anima irascibile, il non-luogo del dovere, la moralità. Qui si esprimono gli insegnamenti dell'educazione, i precetti etici, il senso comune, la moda, nonché le punizioni per la propria condotta quando si violano le norme e le leggi: si hanno allora la censura, il senso di colpa e l'angoscia. Qui si manifestano l'arbitrio e la coazione. La sua lingua è il terrore della condanna e del castigo. La sua legge è il principio di autorità. La sua incarnazione è il Padre (inteso come padre biologico, come maestro, come Dio o come Stato). 

Il nostro Io deve dunque far fronte alle richieste di ben tre padroni: da un lato il Sé, dall'altro il mondo, e infine l'Altro-sopra-all'Io. Ognuno di questi tre padroni desta in noi una determinata volontà. Che accade se tali volontà si contrappongono? L'Io sarà costretto a soddisfare tutte domande per evitare un penoso malessere, derivante sia dal mancato appagamento del desiderio, sia dal pericolo del dolore, della sofferenza o dell'annientamento, sia dall'infrazione delle regole. Si mostrerà, pertanto, l'impossibilità dell'esaudimento totale, e si dovrà quindi scegliere di sacrificare almeno una pretesa. Si avrà una rinuncia, e la rinuncia porterà, a breve termine, all'insoddisfazione, e, a lungo termine, all'infelicità. 
Per evitare ciò occorre instaurare un equilibrio psichico, facendo sì che le tre istanze siano in armonia tra di loro, volgendosi nella medesima direzione: esse devono volere la stessa cosa. Solo in tal modo l'Io potrà assicurare, com'è suo compito, una completa gratificazione e, conseguentemente, un benessere che è sentimento di soddisfazione a breve termine e condizione di felicità a lungo termine.  

Censura ...


(Forma metrica: canzone libera)


Sapevo e più non seppi


Immerso in sonno lieve
gli occhi chiusi e sognanti
greve una voce ascolto negli orecchi:
"questa e non altra è l'immortale via:
rammentala al risveglio".
Ed ecco una donna venirmi incontro
con indosso soltanto il desiderio;
libero la posseggo
e afferrando il collo suo tra le mani
le porto via la vita.
Allora aprii gli occhi
e il Sé, che prima s'era rivelato
di nuovo si velò.

L'avvento celebrai
con parola aitante, della ragione
simile ad alba che vien nella notte
il cielo rischiarando
e a caccia del piacere
mi recai voluttuoso;
la realtà trovavo a sbarrarmi il passo
ma ingegnosamente saltavo il muro
poiché caparbio è l'Io
e ostacoli non teme.

Ma dopo che il volere ebbi compiuto
immensamente pago del mio atto
con furore solenne
mi castigò il tiranno
Altro sopra all'Io, dominatore
gridando: "hai violato il tuo dovere!"
e nella mente risuonò quel monito
sofferenza morale
ancor dopo il tramonto:
come un uomo privato dei ricordi
o nel decidere incerto e dubbioso
o da rimorsi mordaci costretto
sapevo e più non seppi.

martedì 15 maggio 2012

Thanatos ...


Questione bellica  


La storia è maestra, e gli eventi storici dicono molto riguardo alla natura degli uomini e delle società. Se ciò è vero, allora il più grande insegnamento che si può trarre dal passato è: la guerra è necessaria alla politica. 
Tutte le civiltà, antiche o moderne, arretrate o sviluppate che fossero, hanno fatto uso della guerra; questo è un dato di fatto. Ciò è avvenuto in quanto la scelta della guerra è non soltanto ineliminabile, ma addirittura obbligata per la sopravvivenza del consorzio umano. Persino l'instaurazione della pace richiede interventi di guerra: la pace infatti è qualcosa che ha a che vedere con la politica interna di uno Stato, ma per ottenerla e mantenerla c'è bisogno di una forza militare che sia volta all'esterno. La politica estera è di per sé stessa una politica di aggressione, giacché i propri confini e i propri interessi vanno difesi, e spesso l'attacco è la miglior difesa. Si mostra quindi chiaramente, per chi sappia imparare dagli accadimenti, l'utopia dei pacifisti, i quali desiderano un mondo che sia privo di guerre. A rigore, solamente una repubblica mondiale, che distruggesse i confini e che unificasse gli interessi molteplici appianando le differenze specifiche, potrebbe dire di non aver alcun bisogno della guerra come strumento politico, non avendo nemici esterni verso il quale dirigerla; ma anche in codesto caso, per costituire una tale repubblica universale non vi sarebbe altro mezzo che la violenza delle armi, sola in grado di vincere le resistenze particolari.  
D'altronde, la natura umana in genere mostra uno spiccato desiderio di morte che si manifesta come aggressività nei confronti di sé stessi e soprattutto degli altri. Questa tendenza, facente parte, nel bene e nel male, dell'essenza dell'uomo, può essere sicuramente limitata e sublimata, eppure giammai contrastata. La questione allora non è l'eliminazione della guerra, evidentemente impossibile, bensì la riforma della guerra in modo da renderla maggiormente "umana".
Una tale esigenza si manifesta soprattutto nell'epoca contemporanea, dove la guerra, un tempo attività nobile, ha assunto un aspetto meschino. La guerra odierna, oltre a essere una guerra impari, in quanto viene rivolta in esclusivo contro popolazioni nettamente più deboli, è una guerra dannosa, giacché distrugge città e monumenti, e uccide civili inermi (chiaramente, i motivi che spingono gli Stati, e prevalentemente gli Stati occidentali, a muovere guerre così deleterie sono economici e politici). La guerra antica, al contrario, si mostrava quantomai onorevole: gli scontri avvenivano in campo aperto e in mare aperto, perlopiù lontano dai centri abitati, così da riguardare solamente i soldati; non vi erano strumenti di distruzione portentosi e ignobili, come lo sono le mine anti-uomo, le bombe aeree e le armi chimiche e atomiche; le modalità della battaglia facevano sì che il valore dei soldati e dei condottieri prevalesse su ogni altro aspetto; le cause e gli scopi del conflitto, nonché i suoi risultati, erano del tutto trasparenti allo sguardo dell'opinione pubblica, mai mascherati dalla menzogna; infine, vi era un'etica guerresca improntata sul coraggio, sulla lealtà ai patti, sull'abilità e sulla forza effettive, sulla sana rivalità tra i contendenti. La guerra odierna è, invece, sempre una guerra sporca, ipocrita, colma di odio, e vile.
Ci si deve dunque impegnare per ottenere, in questo ambito, un ritorno della legalità oggi abbandonata, guidato da più sani principi morali: solo in tal modo si può infatti sperare di debellare gli orrori indicibili che la guerra, così come si mostra nella nostra epoca, porta inevitabilmente con sé. L'obiettivo della politica è allora donare di nuovo dignità all'attività bellica sul modello di una gloria ormai tramontata, ma che può certamente risorgere. In concreto, va perseguita l'abolizione onnilaterale delle armi sopracitate; vanno inoltre separati nettamente i vari tipi di guerra a seconda degli spazi in cui essa si svolge - guerra marittima, guerra aerea e guerra terrena - impedendo che l'un tipo sconfini nell'altro confondendosi con esso; quindi bisogna spostare l'azione della battaglia nei luoghi deserti, non civilizzati e non popolati; e come ultimo e più importante atto occorre istituire un organo sovranazionale che sia garante, similmente alla NATO, della sicurezza mondiale, ma della quale facciano parte, a differenza di quanto accade per la NATO, tutte le nazioni del mondo, nessuna esclusa, e nella quale egual spazio e influenza abbiano gli Stati non-occidentali rispetto a quelli occidentali. Soltanto allora la guerra potrà incominciare a vestirsi di un abito più umano.   
     

lunedì 14 maggio 2012

Opposizione ...


Dialettica dei contrari e positività del contrasto


"Polemos è signore di tutte le cose". Il giorno e la notte, la luce e l'oscurità si avvicendano sopraffandosi (il sole sorge scacciando via la luna; la luna si solleva sostituendosi al sole), e così le stagioni, primavera ed estate da un lato, autunno e inverno dall'altro (qui sono il caldo e il freddo a vincersi periodicamente). 
La crosta terrestre vien fuori da lava incandescente raffreddatasi in superficie, per poi tornare nelle profondità più calde e tramutarsi nuovamente in lava. Le acque surriscaldate ascendono, come vapore, al cielo, precipitano poi dalle nubi e ritornano infine nella forma iniziale. La lotta tra gli elementi è ciclica e perenne. 
I vegetali gareggiano tra di loro per conquistarsi uno spazio vitale; gli animali si contendono il nutrimento e i maschi le femmine. Gli uomini competono inoltre nello sport, nel lavoro e nella guerra. La vita intera è un campo di battaglia dove forze innumerevoli e diverse concorrono per gli scopi più vari.
Tutto si oppone inevitabilmente. Elettroni e protoni provano avversione gli uni verso gli altri; particelle e anti-particelle si annichiliscono. Al piacere e alla gioia succedono il dolore e la sofferenza, e viceversa a questi quelli, e così via in progressione infinita. Ovunque si guardi, in lungo e in largo, si troverà, sotto forma più o meno violenta, la rivalità dei contrari. 

Eppure tale conflittualità onnipresente non impedisce la sussistenza dell'armonia: ogni cosa, mediante l'ostilità e la negazione dell'altro, mediante la contrapposizione con il proprio opposto, trova il modo di esistere e svilupparsi, e il tutto permane misteriosamente in equilibrio. Paradossalmente, la distruzione genera il legame, il disordine l'ordine; inimicizia e amicizia convivono e la prima fonda la possibilità della seconda. Da un principio di divisione emerge spontanea l'unione, affinché si possa dire: "Eros è signore di tutte le cose".  
  

sabato 12 maggio 2012

Baratro ...


(Forma metrica: distico di decasillabi in rima baciata)


La guerra irruente


Ecco un rombo s'ode di lontano
cupo, ma fuggir risulta vano:

ovunque ci si diriga infatti
tal suoni, frutto di mentecatti

raggiri, ed azioni nefande
presso vaste, sterminate lande

rimbomberanno oltre ogni misura
empiendo di concreta paura

l'animo mite dell'innocente.
Così vile è la guerra irruente

da spegnere incolpevoli vite
e gioie certe, speranze ardite

nonché dolori e angosce profonde
di lui che grida nell'aria effonde

della propria vita disperando.
A me stesso chiedo: sino a quando?

Non siano degne di proseguire
l'arduo cammino dell'avvenire

anche'esse, anime martoriate?
Non potranno, poiché armi affilate

perforeranno le loro membra.
E ora, soldato, con me rimembra

le notti insonni, a pregar Dio
in attesa di pagare il fio

d'un conflitto privo di morale;
a domandar motivo del male

su scomodi letti in dura pietra
scuri presagi di mente tetra.

venerdì 4 maggio 2012

Velocità ...


Recupero del tempo perduto


La società contemporanea ruba il nostro tempo, e conseguentemente l'essere umano percepisce un'intima mancanza. 
La durata di una giornata è di ventiquattro ore, di cui otto si esauriscono nel sonno. Delle sedici ore effettive di vita concreta, la metà vengono spese nell'attività scolastica (frequentazione delle lezioni e studio delle materie) o in quella lavorativa, oppure in entrambe. Sottraendo oltre un'ora necessaria agli spostamenti giornalieri, un'ora per il consumo dei pasti e un'altra ora almeno per la cura di sé e l'igiene, restano circa quattro ore in tutto di cosiddetto "tempo libero". Questo tempo è ciò che ci viene concesso per dedicarci a quelle attività che non vengono considerate fondamentali dal senso comune, ma che sono altrettanto essenziali delle precedenti per il mantenimento della salute corporea e mentale: parlo del riposo e dei passatempi, dell'attività sportiva, della coltivazione dell'amicizia e dell'amore, della compagnia familiare, della fruizione e creazione di cultura. 
Si ha sempre l'impressione di non aver tempo a sufficienza per fare tutto ciò che ci si propone di fare; per soddisfare ogni proprio desiderio. La vita è breve, si dice, come se ottant'anni non fossero abbastanza, e come se la morte, pronta a interrompere il flusso dell'esistenza, fosse a ogni momento imminente. Ciò che ne deriva è una sensazione di angoscia, e un impaziente e precipitoso isterismo della fretta che ci porta ad abbracciare la celerità frenetica. Angoscia e frenesia significano sovraccarico delle energie e malessere perenne. 
Una tale situazione invivibile può essere risolta dal singolo soltanto attraverso una migliore organizzazione delle proprie giornate, per far fuoriuscire da esse frammenti di tempo da riempire, o mediante l'attività assolutamente rilassatrice della meditazione. Eppure l'ambiente circostante, e in particolare il caotico ambiente cittadino, tornerà inesorabilmente a divorare i nostri minuti preziosi, richiamandoci alle esigenze quotidiane e ai doveri. 
L'unica soluzione durevole sembra essere allora quella che procede dall'alto, e che investe la sfera della politica: si deve incominciare a pensare di ridurre e comprimere le ore obbligatorie investite nell'attività scolastica, in particolare quella universitaria, e, soprattutto, in quella lavorativa (precisamente, i sindacati dovrebbero premere per ottenere la riduzione della giornata lavorativa dalle 8 alle 6 ore), in modo da lasciare finalmente spazio al tempo libero. Vi è, infatti, il bisogno impellente di una rivalutazione della quiete e di un ritorno alla lentezza, affinché si possa, come in un passato lontano, dilatare di nuovo il tempo vissuto. 

Flusso ...


Brevi riflessioni sul tempo

  1. Il tempo è il modello matematico del divenire, divenuto concetto comune. L'esistenza di enti ed esseri è immersa nel divenire e, pertanto, non è altro che un essere-nel-tempo. 
  2. Il divenire-tempo, da un lato, fa dischiudere e maturare tutte le cose; dall'altro, le consuma portandole alla rovina: questa è la sua contraddizione.
  3. Il mutamento è l'essenza del tempo, che è divenire-altro-da-sé. Dalla percezione del mutamento a partire dai sensi esterni (coscienza delle modificazioni esteriori) e dal senso interno (coscienza delle modificazioni interiori) la mente produce lo schema numerico "tempo", e la categoria filosofica "divenire".
  4. Come ogni cosa possiede il proprio opposto, l'opposto del tempo è l'eternità: l'eternità è l'essere-senza-tempo, o il divenire imperituro. Il tempo, infatti, ha come risultato nelle cose un inizio, uno sviluppo e una fine, ovvero una nascita, una crescita/decrescita e una morte. Ma l'eternità è assenza di inizio, di sviluppo e di fine; di nascita, di crescita/decrescita e di morte, oppure inizio, sviluppo e fine; nascita, crescita/decrescita e morte continui, succedentisi in ripetizione incessante.
  5. Il mondo esperito dall'interno è sottomesso alla legge del tempo; il mondo intuito dall'esterno è, al contrario, eternità in movimento. Il tempo (kronos) è dunque l'eternità (aion) che si dispiega.                                                                                                                                                                                  

    giovedì 3 maggio 2012

    Impermanenza ...


    (Forma metrica: terzina incatenata)


    Il tarlo roditore


    Andante verso la fine, il Tempo
    simile a un tarlo roditore morde
    la carne di colui che sull'Olimpo

    smagliante sede di divine orde
    non vive, creatura bella e mortale
    vittima d'accidentalità sorde.

     Egli è amante dell'essere spaziale
    e lo consuma in amplesso coatto
    spazzando via come vento autunnale

    preziosi semi di potenza e atto
    nel passato lasciandoli svanire
    e nascondendo poi il proprio misfatto.

    Ma è nel futuro e nel quieto apparire
    del presente, successione di istanti
    che s'apre la bontà del divenire

    che l'esistenza sacra porta avanti.