giovedì 29 marzo 2012

Crisi ...


Malattia, veleno e medicina


La crisi economica attanaglia l'Europa unita, e tale Unione rischia di collassare. I paesi più deboli, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna vedono di fronte a loro, più o meno lontano, lo spettro del fallimento (default), e il rischio è quello di un "effetto domino"; di un contagio che raggiungerebbe anche i paesi economicamente più sani. La risposta delle élites sovrane, raccolte attorno ai due organi fondamentali di governo, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, è stata questa: misure di austerità (austerity), liberalizzazioni-privatizzazioni e riforma del mercato del lavoro.
L'austerità è l'aumento programmato delle tasse e delle imposte, la diminuzione di stipendi e pensioni, il taglio generalizzato della spesa pubblica. La liberalizzazione è intesa come la cancellazione delle restrizioni di mercato per le categorie di mestiere, in modo da istituire un sistema di concorrenza aperto anche ai non appartenenti a tali categorie; la conseguenza più ovvia è l'accesso dei privati a quella produzione di beni e servizi che prima gli era preclusa, per causa della tutela statale che cautelava e preservava i gruppi chiusi. Chiaramente, l'obiettivo è uno soltanto: favorire la creazione di monopoli privati e quindi la privatizzazione dei settori lavorativi non ancora privatizzati. La privatizzazione si definisce come lo spostamento della proprietà di un ente o di un'impresa dal controllo statale a quello privato, e, infine, la riforma del mercato del lavoro non è altro che un'introduzione di flessibilità che porta a una maggiore facilità di licenziamenti (e quindi, di assunzioni) e a una prevalenza dei contratti di lavoro a tempo determinato (il cosiddetto precariato).  
Le cause della crisi ci vegono indicate nel debito (deficit) pubblico giunto a livelli insostenibili e nella capacità di produzione dei singoli paesi (indicata dal Prodotto Interno Lordo), insufficiente a garantire entrate per il pagamento degli elevati interessi sul debito. Per tale motivo vengono imposti il risanamento dei conti pubblici e il pareggio del bilancio. Come se non bastasse, le Agenzie di rating, che forniscono una valutazione sulla solidità finanziaria degli Stati analizzando la loro capacità di far fronte al proprio debito, declassano inesorabilmente le nazioni europee, e pertanto gli investitori tengono lontani i propri capitali, in quanto gli investimenti in tali paesi sono considerati troppo rischiosi. 

Questi, dunque, sono i fatti. La crisi si traduce in lacrime e sangue per i cittadini europei, in virtù di sacrifici che vengono definiti necessari in vista di una crescita futura che assume, però, coordinate spazio-temporali vaghe e incerte. Sono realmente tali?
Tutte le nazioni occidentali, ed anche e soprattutto le nazioni economicamente all'avanguardia, possiedono un debito pubblico che spesso raggiunge elevazioni stratosferiche. L'intera economia neocapitalistica si fonda sull'indebitamento, e ciò significa che nessun paese può giungere ad annullare il proprio debito, il quale è destinato a crescere a dismisura per via del fatto che le spese di uno Stato sono sempre maggiori delle sue entrate. Ciò dimostra che il debito in sé non è un problema: che senso ha, allora, l'imposizione del pareggio di bilancio?
Il problema maggiore sembra essere il Prodotto Interno Lordo, e il rapporto tra il deficit pubblico e il Prodotto Interno Lordo. Eppure, le riforme d'austerità producono un aumento del costo della vita dato dall'impoverimento generale della massa della popolazione (oltre che, cosa ancor più grave, un radicale annullamento del benessere sociale, portato unicamente dalla potenza del Welfare State, o Stato assistenziale); se la massa della popolazione è più povera, allora compra di meno, e la domanda di consumo cala considerevolmente; con il calo della domanda vi è un calo speculare dell'offerta di beni e servizi, giacché sul mercato l'offerta si adegua, appunto, alla domanda; la diminuzione dell'offerta è una diminuzione della produzione (a cui le aziende devono far fronte risparmiando sulla sicurezza degli impiegati e sui loro contratti, moltiplicando l'orario lavorativo, sospendendo in generale i diritti dei lavoratori, e poi anche liquidando manodopera in massa, trasferendo all'estero la produzione e, nel peggiore dei casi, chiudendo l'attività nell'impossibilità di portarla avanti), e quindi una diminuzione del P.I.L.; la diminuzione del P.I.L. è una decrescita, ovvero una recessione (vero è che le liberalizzazioni producono un certo aumento del Prodotto Interno Lordo, eppure tale aumento, limitato, non riesce a colmare i numerosi punti-percentuale perduti), cosicché la crisi finisce paradossalmente per essere esacerbata dai rimedi impostici. Inoltre, vi sono paesi economicamente forti nei quali il rapporto deficit / P.I.L. è enormemente negativo, e non per questo tali paesi rischiano di fallire (emblematico è il caso del Giappone, terza economia del mondo). Da ciò deriva che il risanamento e l'austerità risultano essere addirittura dannosi, e che neanche il Prodotto Interno Lordo e il rapporto tra il deficit pubblico e il Prodotto Interno Lordo, seppur termini essenziali nell'andamento economico di un paese, possono essere considerati come cause fondamentali della crisi economica europea.
Per quanto riguarda le privatizzazioni selvagge, esse sono il peggior veleno dell'economia, spacciato per la migliore medicina. Uno Stato che non riesca a pagare gli interessi sul proprio debito è uno Stato le cui entrate non sono abbastanza elevate; le entrate dello Stato dipendono da due fattori: le tasse e le imposte innanzitutto, e poi i guadagni che gli derivano dai suoi possedimenti, ovvero dalle proprietà pubbliche; privatizzare tali proprietà rendendole private porta, sì, un guadagno immediato sul breve termine per via della vendita, ma anche una perdita incalcolabile sul lungo termine (se prima infatti il profitto dello Stato coincideva con l'intero guadagno derivato dalle proprietà in questione, ora esso sarà solamente una minima parte di quel guadagno, precisamente quella che verrà spesa in tributi), senza contare il fatto che in un regime di mercato neoliberista com'è quello occidentale, essenzialmente deregolamentato, la cessione di possedimenti è anche una cessione di sovranità, giacché lo Stato perde il controllo dei propri enti e delle proprie imprese. 
Se poi è vero, come è vero, che l'aumento del tasso di occupazione e la diminuzione del tasso di precarietà inducono a una minor spesa da parte dello Stato (in quanto esso deve versare la cassa integrazione a un minor numero di persone improduttive) e a una maggiore capacità di consumo da parte del lavoratore (in quanto grazie alla sicurezza di un contratto fisso di lavoro si possono effettuare grandi spese usufruendo dei mutui), allora non si comprende come la flessibilità possa contribuire a migliorare una situazione già di per sé critica.

Bisogna, dunque, individuare le cause reali e i rimedi adeguati: la prospettiva del default investe esclusivamente la zona-Euro, ovvero quegli Stati dell'Europa che hanno adottato la moneta unica. Tali Stati risultano vulnerabili in quanto non hanno il potere di ottenere moneta semplicemente richiedendola alla Banca Centrale Europea, che non può prestare denaro agli Stati bensì soltanto alle Banche centrali nazionali, le quali possono, a loro volta, prestarlo solo alle Banche commerciali, e queste ultime infine esclusivamente alle imprese e ai cittadini; gli Stati, in definitiva, rimangono fuori dal sistema del prestito di moneta. Tutte le nazioni non adottanti l'Euro possono acquisire moneta direttamente da una Banca Centrale, emettendo titoli di Stato e scambiandoli con denaro, promettendo il pagamento di interessi stabiliti dallo Stato stesso; le nazioni adottanti l'Euro devono invece richiedere in prestito il denaro mettendo all'asta i propri titoli di Stato e vendendoli sul mercato dei capitali, dove gli acquirenti (che possono essere Fondi sovrani, Fondi comuni, Hedge funds di singoli speculatori finanziari, Fondi pensione, Fondi immobiliari, Assicurazioni, Banche d'affari, Società d'investimento, eccetera) stabiliscono il tasso d'interesse a proprio piacimento. Il fatto di non poter emettere da sé la moneta è l'aspetto che fa emergere la possibilità di non poter ripagare gli interessi in caso di crisi, mentre uno Stato a moneta sovrana può sempre ripagare i propri interessi indebitandosi ulteriormente, mentre il debito, essendo periodicamente rinnovato, non deve invece essere restituito; per questo motivo e per questo soltanto l'attacco dei mercati si dirige verso i paesi dell'Euro e non verso gli altri paesi. Ciò significa che l'unico modo per salvarsi dalla crisi sembra essere quello di rendere la Banca Centrale Europea un istituto simile alla Federal Reserve (Fed) americana, e cioè una banca federale prestatrice di ultima istanza.
Ci si accorgerà allora che per stimolare la crescita economica, in una situazione in cui la domanda di investimenti privati è minima, v'è una maniera opposta a quella che ci viene indicata: la spesa a deficit dello Stato. Il debito pubblico, infatti, non è la povertà, bensì la ricchezza dei cittadini: nel momento in cui lo Stato spende denaro indebitandosi, esso accredita i Conti Correnti di coloro che hanno beneficiato della sua spesa (se viene comprato un bene, ne beneficia il venditore; se viene pagato uno stipendio o una pensione, ne beneficia la persona stipendiata o pensionata; se si finanzia un progetto di costruzione, ne beneficiano le ditte incaricate e gli operai; se si investe nella ricerca o nella produzione aziendale, ne beneficiano gli istituti di ricerca o le aziende produttrici, e così via) e può generare un aumento, un'ottimizzazione e un ampliamento della produzione che portano automaticamente a una crescita del P.I.L., a un miglioramento delle condizioni economiche generali e alla creazione di posti di lavoro, con evidente profitto della massa della popolazione, il cui costo della vita tenderebbe ad abbassarsi. Attraverso la spesa a deficit, infatti, lo Stato può garantire in ogni momento investimenti illimitati in qualsivoglia settore valorizzando enti ed imprese, e potenziare a dismusura il proprio Welfare generando un benessere diffuso derivato dall'attuazione del pieno Stato sociale e della piena occupazione.
L'unico limite alla spesa di uno Stato sarebbe l'inflazione, che si definisce come l'eccesso di moneta a fronte della penuria di prodotti circolanti; eppure tale fenomeno inflattivo, che porta a un'ascesa generalizzata dei prezzi di beni e servizi e una conseguente erosione del potere d'acquisto della moneta, può essere controllato e impedito mediante gli stessi metodi con i quali è, di fatto, controllato e impedito in tutti gli Stati del mondo, ovverosia riducendo la quantità di moneta in circolazione drenando il denaro in eccesso attraverso la tassazione per poi distruggerlo, e incrementando la produttività attraverso investimenti mirati.

Che le élites sovrane non siano consapevoli di tutto ciò? Questo non importa. Volenti o nolenti esse ci guidano verso la rovina, costringendoci a imboccare una via di miseria.

mercoledì 28 marzo 2012

Ideologia ...


Condanna dell'ideologia neocapitalistica e apologia dell'inutile e dell'inefficace


Utilitarismo e pragmatismo sono le due facce, a livello sociale, dell'ideologia contemporanea chiamata Neoliberismo: solamente ciò che è utile ha valore; solamente ciò che ha efficacia pratica è vero. 
Simile a una malattia epidemica, tale concezione si è diffusa in ogni angolo della società umana, corrompendo gli animi ed erodendo come un tarlo le fondamenta dello spirito: l'animo infatti si nutre di inutili sentimenti e passioni, e lo spirito è teoria inefficace prima di ogni altra cosa. 
Nei domini del Neocapitalismo l'utile è il profitto materiale immediato, ed efficace è l'azione che porta a un successo altrettanto materiale e immediato. Da tale definizione dell'utile e dell'efficace vengono tagliati fuori la percezione interiore e il pensiero intellettivo: l'amore e l'amicizia non possiedono valore; le idee e i pensieri non contengono verità. 
Che cosa rimane? L'uomo viene ridotto ad automa puramente razionale, inanime ente meccanico privo di energie vitali; la cultura viene ridotta a mera Scienza, e l'Arte, la Religione, la Filosofia sono pertanto bandite. Non si sfugge alle conseguenze: l'infelicità e la miseria.

La domanda che ci si pone di fronte a una qualsiasi opzione, quando si deve decidere del proprio agire, è: a che cosa serve? Ed ecco che trionfa l'opportunismo su ogni altro atteggiamento pur di gran lunga più dignitoso. L'utilità e l'efficacia pratica limitano in tal modo la portata del desiderio, e le innumerevoli possibilità si riducono a una, ovvero alla scelta peggiore, quella non voluta. La domanda dovrebbe invece essere: lo desidero realmente? Così viene cancellato l'errore, giacché la volontà non mente e, soprattutto, apre alla relazione con l'altro.
L'utilitarista-pragmatista vede l'altro esclusivamente come mezzo per raggiungere uno scopo, che il più delle volte si delinea come ricchezza e potere (la ricchezza porta con sé il potere); la persona diviene cosa, e come tale viene usata. L'inessenziale rapporto con la cosa fa a meno di qualsiasi attaccamento affettivo; la relazione è invece una persona che si rapporta a un'altra persona e tale relazione essenziale è già un fine in sé stessa. 

Soltanto la volontà e il desiderio, e non l'utile e l'efficacia pratica, portano al benessere. Il profitto e il successo non sono niente: il primo si esaurisce in fretta, il secondo non insegna nulla (l'apprendimento avviene, piuttosto, mediante gli insuccessi). Le cose di maggior valore sono quelle che non possono essere comprate e la verità esula dall'azione, in quanto si raggiunge mediante la contemplazione concentrata. 
La ricchezza e il potere spirituali sono, in definitiva, l'autentica ricchezza e l'autentico potere. 

Idolo ...


(Forma metrica: quartina di dodecasillabi in rima alternata)


Il dio Denaro, ovvero il mezzo e il fine
 

Prostrati, uomo, di fronte al dio Denaro
come dinanzi ad esso ognun s'inginocchia
l'animo sino a rendere vieppiù avaro
e livide e malandate le ginocchia;

prostrati, e non alzar mai il capo al cielo
sicché ricchezze tu possa sulla terra
accumulare, coprendo con un velo
la dignità e l'orgoglio periti in guerra.

Una guerra fratricida è infatti quella
che tra gli'idolatri 'sì furente esplode
condannando a un'esistenza che cancella
ogni relazione che non sia di frode

ma in verità ti dico: non ha valore
la moneta che le vuote tasche riempie
se non come strumento benefattore
che il desiderio nostro e l'altrui adempie.

lunedì 26 marzo 2012

Rivoluzione ...


Grandezza e martirio


Muammar Gheddafi, militare e capo di Stato libico: un despota sanguinario e un mostro spietato, un buffone lussurioso e un idiota farsesco, un pazzo e un demente. Questo il giudizio dei media occidentali e, di riflesso, del senso comune; un giudizio che sa di pre-giudizio. Come rivalutare la sua immagine martoriata?
Figlio di beduini analfabeti, impara a leggere e scrivere grazie all'educazione coranica impartitagli. La Libia di quegli anni è un paese povero e asservito ad americani e inglesi, dove ancora permangono i segni della colonizzazione italiana di stampo fascista. Il governo monarchico è corrotto e risponde agli interessi delle compagnie estere; le risorse del territorio, prima tra tutte il petrolio, sono nelle mani straniere, mentre il territorio stesso è manchevole delle infrastrutture fondamentali. 
Da tale fanghiglia si erige il colonnello (aveva infatti intrapreso la carriera militare), che assicuratosi con la sua intraprendenza la fiducia dei militari attua un colpo di Stato incruento a cui i libici donano il proprio sostegno, stremati dalle miserabili condizioni in cui erano costretti a vivere nella propria terra, indignati dal contrasto con l'agiatezza delle comunità non-libiche, entusiasti e speranzosi per il cambiamento repentino promesso da questo carismatico personaggio. Nasce la Jamahiriya (Stato alle masse), e le idee presenti nel "Libro verde", da lui stesso concepito e scritto, sono attuate, seppur sotto l'egida della dittatura.
Il suo modello ideologico è la repubblica panaraba socialista di Nasser l'egiziano; eppure il regime di Nasser durò quattordici anni soltanto, quello di Gheddafi ben quarantadue anni. In politica interna egli donò un'identità nazionale comune alle numerose tribù nomadi che formavano il popolo libico, trasformandoli in cittadini e garantendo con la propria mediazione, attraverso doni e incarichi prestigiosi e, quando necessario, attraverso la forza militare, l'ordine sociale. Espulse gli stranieri, italiani soprattutto, dal paese, espropriando i loro beni e donandoli alla popolazione, vendicando le usurpazioni e i torti decennali da essa sopportati; in cambio di ciò fece dell'Italia il partner commerciale privilegiato della Libia. Costruì abitazioni, monumenti, ospedali, scuole, strade, acquedotti e industrie, alfabetizzando, abbellendo e sviluppando finalmente un paese prima d'allora invivibile. Nazionalizzò le aziende petrolifere e annullò i contratti con le compagnie occidentali, riappropriandosi di ciò che di diritto apparteneva alla Libia. Promosse la partecipazione dei lavoratori alle gestione delle imprese; raddoppiò i salari minimi e dimezzò i compensi dei ministri; abolì le tasse e le imposte, nonché gli interessi sui prestiti; istituì istruzione, sanità, alloggi ed energia gratuiti e pose sotto controllo i prezzi dei prodotti di prima necessità. Mise in atto una nuova costituzione e impose la Sharia (legge islamica), sottraendo però il potere dalle mani dei dottori di teologia e creando di fatto uno Stato laico. Evacuò le basi militari statunitensi e inglesi riconvertendole in basi militari libiche, assicurando in tal modo alla nazione l'indipendenza. Le numerose riforme che resero la Libia uno Stato ricco (il reddito pro capite fu altissimo, il costo della vita basso, enorme il surplus pubblico) e influente a livello internazionale furono rese possibili dai guadagni derivati dal commercio del petrolio, di cui il paese è uno dei maggiori produttori mondiali, guadagni che il colonnello riversò sulla popolazione prima di tutto, e poi su di sé e sulla propria famiglia. 
In politica estera Gheddafi tentò di unificare gli Stati arabi sotto una politica comune, e di rendere economicamente autosufficiente l'intero continente africano, ma il progetto era troppo ampio e radicale e non ebbe successo (è finora l'unico passo concreto che sia mai stato compiuto in questa direzione). Sostenne i gruppi di resistenza basca, irlandese e palestinese nella loro causa. 
Per via della sua politica anti-occidentale e anti-capitalista egli fu dipinto, in Occidente, come il nemico per eccellenza, e fu l'obiettivo di numerosi attentati, a cui sopravvisse come un predestinato, mentre la nazione libica divenne vittima di un embargo. Gli Stati Uniti giunsero persino a bombardare la sua abitazione, e in tale occasione morì la figlia adottiva di Gheddafi, di pochi mesi (già l'esplosione di una bomba, in giovinezza, aveva ucciso due suoi cugini, lasciando una ferita profonda sul suo braccio e nel suo animo). La reazione, irrazionale e sconsiderata, fu la strage di Lockerbie: la vendetta di un padre a cui hanno ucciso una figlia. Eppure il colonnello rinsavì, ed ebbe la forza di anteporre il bene comune al proprio risentimento: si riappacificò con la comunità internazionale impegnandosi nella lotta contro il terrorismo, e i rapporti commerciali della Libia ripresero vigore. 
Muammar Gheddafi è morto due anni orsono, al termine di una sanguinosa guerra civile che ha visto opporsi da un lato le forze governative, appoggiate dalla maggioranza della popolazione, e dall'altro una minoranza di tribù armate dalle potenze occidentali e filo-occidentali, tra le cui file militavano membri riconosciuti del terrorismo islamico, monarchici nostalgici del vecchio regime e truppe inglesi e francesi, e che si è conclusa con la caduta del suo potere e la sua uccisione brutale, grazie soprattutto all'appoggio dell'aviazione della Nato e ai bombardamenti a tappeto, che dietro la maschera della "missione umanitaria in difesa dei civili" hanno devastato intere città, evitando una sicura disfatta delle forze ribelli. Innumerevoli sono state le morti innocenti in tre mesi di intervento militare. Egli, personalmente, non ha mai ceduto, lottando e persino tentando di scendere a compromessi per evitare la rovina; restando all'interno del suo paese sino alla fine, nonostante potesse fuggire e salvarsi; continuando a incitare i suoi uomini e affrontando una morte certa. 
Oggi la Libia è un paese distrutto, in quanto Gheddafi era l'anima della Libia: la sua famiglia è stata menomata, molti dei suoi membri essendo rimasti uccisi; le sue ricchezze, ricchezze dello Stato libico, sono state confiscate e rubate dalle potenze estere; le compagnie straniere si spartiscono di nuovo le risorse del territorio; la nazione è divisa e si dirige verso la secessione, con intere regioni che si dichiarano indipendenti dal potere centrale, e altre nelle quali affiora il fondamentalismo; il nuovo governo, colpevole d'aver destato l'insurrezione armata, non riesce a mantenere l'ordine all'interno, dove vige l'anarchia più totale: le singole tribù e le molteplici forze che hanno partecipato alla rivoluzione si oppongono l'una contro l'altra in lotte intestine per il potere accompagnate da episodi di vendetta e giustizia sommaria; i lealisti veri e presunti vengono perseguitati e condannati per aver sostenuto il vecchio regime, così come i neri sub-sahariani accusati di aver combattuto come mercenari per il tiranno. Le associazioni internazionali denunciano violenze, torture, assassinii e illegalità diffusa.
A noi rimangono le menzogne e le diffamazioni mediatiche propinateci a reti unificate per ottenere il consenso dell'opinione pubblica (talora producendo informazioni del tutto inventate e assurde che parlavano di condizioni di sottomissione e povertà da Terzo Mondo; di massacri ingiustificati nei confronti della popolazione inerme; di stupri insensati, fosse comuni ed eventi riprovevoli mai avvenuti; di lotta popolare per la democrazia e la libertà) e la certezza degli atroci crimini di guerra commessi non dal regime, bensì dai suoi oppositori.


Citazioni:

"La scienza, nonostante le sue meravigliose realizzazioni, non ha dato tutte le risposte al significato della vita. Il Corano dà queste risposte. [...] Che tutti i popoli venerino Dio, invece che creature mortali come Lenin e Stalin in Russia, oppure vacche e idoli come in India, oppure macchine e ricchezze, come in molte parti d'Oriente e d'Occidente" 

"Il punto di arrivo è costituito dall'avvento della nuova società socialista, quando spariranno lucro e denaro, mediante la trasformazione della società in una società di piena produzione e mediante il raggiungimento della soddisfazione delle necessità materiali dei membri di questa società"

"Noi non siamo animali rinchiusi in una fattoria, dove veniamo immolati durante le feste secondo i loro desideri. Noi siamo esseri umani che hanno il diritto di vivere con onore su questa terra e sotto il sole che illumina questa terra. Se non abbiamo questo diritto, dobbiamo combattere per averlo"

"Non esiste uno Stato che si chiama Libia, non esiste uno Stato che si chiama Tunisia, non esiste uno Stato che si chiama Algeria, non esiste uno Stato che si chiama Marocco, non esiste uno Stato che si chiama Egitto. Esiste il mondo arabo, tutti questi Stati sono il frutto dell'imperialismo coloniale, creati per renderci loro schiavi"

"La malattia dell'Africa è soprattutto la solitudine e l'isolamento. [...] L'Africa non ha bisogno di democrazia, ma di pompe d'acqua. La popolazione ha bisogno di cibo e medicine"

domenica 25 marzo 2012

Eternità ...


Descrizione dell'uomo eroico


Eroe, da eros (amore, passione carnale), è appunto un amante; un uomo immensamente passionale. Egli è, propriamente, colui che dona anima, spirito e corpo all'affermazione di sé stesso, compiendo atti straordinari per amore di sé stesso. 
L'atto straordinario si traduce nella grande impresa, ovvero l'impresa inconcepibile e inattuabile per qualsiasi altro uomo, giacché richiede forza, coraggio, intelligenza e abilità superiori. L'eroe, sovrumano, si distacca dunque dalla norma dell'uomo comune, con le sue capacità più o meno mediocri.
La grande impresa non può che essere un'impresa volta alla gloria, oppure alla protezione degli uomini, giacché lo scopo di tale azione benefica derivante da passione esuberante è mostrare la propria elevatezza di fronte alla massa dei non-elevati, manifestando così l'infinita potenza ed eccellenza della propria persona. In tal modo, al contempo, si dimostra a sé stessi di essere grandi, e si diviene consapevoli di sé stessi e della propria grandezza.
Da un tale sano e fiero egoismo, colmo di superbia ma non di arroganza, deriva, in definitiva, l'eroismo di chi pone a sé stesso sempre nuove sfide, dirigendosi oltre i propri limiti; superandosi continuamente e sacrificandosi; ardendo, consumando e rinnovando interamente le energie in nome del proprio Ego sconfinato, sino a esaurirle tutte con la morte; alimentando la sorgente impetuosa del proprio orgoglio altero.
L'eroe non possiede modestia, non è mai umile: la sua caratteristica essenziale è la tracotanza; l'eroe non è mai un virtuoso, e non possiede senso del dovere: egli è, piuttosto, legato inscindibilmente al vizio, cui crede di avere diritto, e al senso del volere, suo unico padrone. L'incarnazione di ciò che l'uomo medio non può mai essere, per pavidità, per debolezza o anche per responsabilità.
Dimostrando una fede incrollabile nel proprio essere, nella propria natura e in null'altro, con le proprie mani egli forgia sé stesso, affrontando le vicissitudini del fato nel godimento e nella sofferenza senza misura del desiderio, scegliendo per sé un destino terribile e vitale che lascerà un segno indelebile nei secoli dei secoli.
  

Lode ...


(Forma metrica: ode in settenari)


Rare stelle comete


All'eccezioni dedico
tal versi giubilanti
coloro che tra gli uomini
s'elevan come nobili
emergendo superbi
dai mari del volgare.

D'oro le vostre mani
saldi e giusti i princìpi;
lontano il vostro sguardo
si dirige, intrepido
voi come cavalieri
che agognano il trionfo.

Orsù spiriti liberi
rare stelle comete
nascere oggi possiate
nell'epoca dei deboli
eroici esempi e guide
pei viandanti smarriti.

giovedì 22 marzo 2012

Legame ...


Contro di lei, contro noi stessi


Oggi, la politica pone in atto un attacco senza eguali contro la natura.
Non si contano, nell'ultimo secolo, le azioni compiute in questa direzione e i danni a livello ambientale provocati, siano essi volontari o involontari. La deforestazione, volontaria, che ha colpito la Foresta Amazzonica in Sud America, polmone verde della Terra, ha dell'incredibile: ben un quinto di ciò che essa era è stato distrutto, e l'area continua tuttora a ridursi. La "marea nera", involontaria, nel Golfo del Messico, avvenuta due anni orsono, è il disastro petrolifero più imponente della storia dell'America, con versamento in mare di oltre ottocentomila tonnellate di greggio. Solo due esempi, ma eloquenti.
Il motivo fondamentale di questa volontà di annientamento più o meno velata, sta nell'interesse economico: la deforestazione ha portato profitti inimmaginabili agli Stati della zona e alle aziende implicate attraverso lo sfruttamento delle risorse forestali, così come sono inimmaginabili i profitti derivati dall'estrazione e dalla vendita dell'oro nero. Così dev'essere; il legno è infatti materiale essenziale per la vita degli uomini, con il quale si costruiscono gli oggetti più vari e dal quale viene prodotta la carta che tanto spazio ha nella vita delle persone, e allo stesso modo è essenziale anche il petrolio come carburante per le nostre macchine, delle quali abbisognamo. Eppure vi è un limite non scritto e non legittimato che gli Stati e le aziende, guidati da uomini che si suppone dotati di coscienza e di ragione, dovrebbero prendere in considerazione prima di agire: tale limite non è altro che la sussistenza degli esseri umani. Ecco dunque il paradosso: si violenta la natura per sfruttarne le risorse in vista della sopravvivenza, e facendo ciò si mette a repentaglio quella stessa sopravvivenza che si voleva salvaguardare.
Il problema non è dunque la natura. Ella non ha bisogno di essere protetta, giacché è immensamente più potente di noi e nessun'azione umana potrebbe scalfire questa sua forza prima che avvenga l'estinzione della specie. Il problema è dato piuttosto dal fatto che noi, colpendo lei, colpiamo noi stessi rischiando di perire, tanto è inscindibile il nostro legame con l'ambiente e totale la nostra dipendenza da esso: la deforestazione implica il surriscaldamento globale e una diminuzione della quantità di ossigeno nell'aria, e il rischio dell'estrazione di petrolio in luoghi in cui non si può intervenire prontamente in caso di incidente è il rischio dell'inquinamento delle acque e della fine di ogni attività produttiva che si serva del mare come risorsa alimentare. Valgono forse, tali pericoli, l'utile guadagnato in termini di denaro? Ebbene, non lo valgono.
Sarebbe allora cosa giusta rendere scritto e legittimo quel limite, codificandolo sotto forma di legge internazionale; così soltanto si può infatti rendere la semplice pretesa un "potere" in senso proprio, e impedire quindi la distruzione sconsiderata e il conseguente auto-annientamento che la contemporaneità ha reso più che mai evidenti, nell'incuranza del senso comune.

lunedì 19 marzo 2012

Sacer ...


Dio, il Divino, la Divinità. Prove dell'esistenza


Dio, o meglio: il Divino; meglio ancora: la Divinità, ci dà le prove della sua esistenza. 
Dicendo "Dio" affermiamo una personalizzazione, un essere ingenerato a noi somigliante, ma superiore in quanto possiede attributi umani potenziati all'infinito (una volontà onnipotente, un'intelligenza suprema e onnisciente, una presenza universale o onnipresenza, una durata perenne o eternità, una perfetta facoltà di giudizio e una piena misericordia, a volte addirittura un volto austero e barbuto, dall'aspetto solenne): tale essere superiore antropomorfo non esiste affatto; è un parto della fantasia cui attribuiamo la nostra immagine e le nostre facoltà assolutizzate; l'unico modo in cui l'umanità ha potuto pensare l'impensabile. 
Dicendo "il Divino" compiamo un passo ulteriore, in quanto si ha una spersonalizzazione e si elimina, quindi, la prospettiva antropomorfica: si è ora concentrati sul puro concetto scevro di fantasia. Eppure la declinazione maschile dell'espressione ci confonde, giacché automaticamente provoca nella nostra mente la rappresentazione dell'Uomo, rischiando di farci ricadere nella precedente immagine del Theos-antropos (Dio-uomo).
Dicendo "la Divinità" giungiamo infine all'espressione adeguata. Risulta infatti difficile immaginarsi una Dea, cioè un essere superiore avente sembianze femminili, a causa dei limiti intrinseci della femminilità, e pertanto si taglia definitivamente fuori l'essere umano, aprendo contemporaneamente la strada all'idea originaria di una divinità della Natura, che ha nella Madre, e non più nel Padre, la sua rappresentazione archetipica: questo è il vero concetto.

La Divinità ci dà dunque le prove della sua esistenza: nell'incredibile ordine naturale o Cosmo, in quanto si genera dal disordine o Caos; nella nascita dell'Universo a partire dal mistero della Grande Esplosione (Big Bang), prima della quale è il Nulla ineffabile, e nella sua finitezza, oltre alla quale è ancora il Nulla ineffabile; nelle Forze o Interazioni Fondamentali (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole), delle quali si può spiegare il "come", ma non il "perché", cause incausate dei fenomeni; nella straordinaria fenomenologia delle stelle, in cui si mostra, evidente, un processo vitale; nell'apparizione apparentemente accidentale della vita sulla Terra con l'animarsi spontaneo della materia organica, auto-organizzantesi nell'elemento del codice genetico, ovvero il DNA; nel venir-fuori e svilupparsi degli esseri dal seme e dalla spora, dall'uovo e dalla larva, dal grembo e dal germe; nell'evoluzione dirigentesi da sé verso un fine che nessuno ha stabilito, che è mutazione, affermazione e soprattutto superamento in vista di una maggiore perfezione, cioè manifestazione di un istinto di potenza; nell'avvento evolutivo della Mente e dello Spirito immateriale con le sue innumerevoli capacità espressive (Arte, Religione, Filosofia, Scienza, Politica) all'interno dell'Uomo, a partire da una materia grigia inespressiva; nella mobilità e attività naturale degli elementi: acqua, aria, terra, fuoco e fulmine, quinto elemento ed energia compressa, circondati da un'aura magica. In tutto ciò si esprime il Sacro per coloro che sono capaci di scorgerlo: per i ciechi v'è invece il Nichilismo.

domenica 18 marzo 2012

Cominciamento ...


Da che cosa iniziare se non da colei che a tutto dà l'inizio?


(Forma metrica: endecasillabo sciolto)


Natura Madre insegnami


Natura Madre d'ogni essere nato
scaturigine e profondo principio
i molti scorgono solo il tuo abito
e mai oltre lo sguardo si dirigono.
Potrei forse destare la coscienza
sopita nell'era del nichilismo
di chi coscienza non vuole destare?
Ebbene: lì dietro ai paesaggi splendidi
d'esseri e cose belle costellati;
lì dietro al cielo, alla terra e al mare
dimore di magnifici elementi
si staglia onnipervadente il Divino
mistero indefinibile e vitale
del tutto eterno fuor da cui è il Nulla.