giovedì 22 marzo 2012

Legame ...


Contro di lei, contro noi stessi


Oggi, la politica pone in atto un attacco senza eguali contro la natura.
Non si contano, nell'ultimo secolo, le azioni compiute in questa direzione e i danni a livello ambientale provocati, siano essi volontari o involontari. La deforestazione, volontaria, che ha colpito la Foresta Amazzonica in Sud America, polmone verde della Terra, ha dell'incredibile: ben un quinto di ciò che essa era è stato distrutto, e l'area continua tuttora a ridursi. La "marea nera", involontaria, nel Golfo del Messico, avvenuta due anni orsono, è il disastro petrolifero più imponente della storia dell'America, con versamento in mare di oltre ottocentomila tonnellate di greggio. Solo due esempi, ma eloquenti.
Il motivo fondamentale di questa volontà di annientamento più o meno velata, sta nell'interesse economico: la deforestazione ha portato profitti inimmaginabili agli Stati della zona e alle aziende implicate attraverso lo sfruttamento delle risorse forestali, così come sono inimmaginabili i profitti derivati dall'estrazione e dalla vendita dell'oro nero. Così dev'essere; il legno è infatti materiale essenziale per la vita degli uomini, con il quale si costruiscono gli oggetti più vari e dal quale viene prodotta la carta che tanto spazio ha nella vita delle persone, e allo stesso modo è essenziale anche il petrolio come carburante per le nostre macchine, delle quali abbisognamo. Eppure vi è un limite non scritto e non legittimato che gli Stati e le aziende, guidati da uomini che si suppone dotati di coscienza e di ragione, dovrebbero prendere in considerazione prima di agire: tale limite non è altro che la sussistenza degli esseri umani. Ecco dunque il paradosso: si violenta la natura per sfruttarne le risorse in vista della sopravvivenza, e facendo ciò si mette a repentaglio quella stessa sopravvivenza che si voleva salvaguardare.
Il problema non è dunque la natura. Ella non ha bisogno di essere protetta, giacché è immensamente più potente di noi e nessun'azione umana potrebbe scalfire questa sua forza prima che avvenga l'estinzione della specie. Il problema è dato piuttosto dal fatto che noi, colpendo lei, colpiamo noi stessi rischiando di perire, tanto è inscindibile il nostro legame con l'ambiente e totale la nostra dipendenza da esso: la deforestazione implica il surriscaldamento globale e una diminuzione della quantità di ossigeno nell'aria, e il rischio dell'estrazione di petrolio in luoghi in cui non si può intervenire prontamente in caso di incidente è il rischio dell'inquinamento delle acque e della fine di ogni attività produttiva che si serva del mare come risorsa alimentare. Valgono forse, tali pericoli, l'utile guadagnato in termini di denaro? Ebbene, non lo valgono.
Sarebbe allora cosa giusta rendere scritto e legittimo quel limite, codificandolo sotto forma di legge internazionale; così soltanto si può infatti rendere la semplice pretesa un "potere" in senso proprio, e impedire quindi la distruzione sconsiderata e il conseguente auto-annientamento che la contemporaneità ha reso più che mai evidenti, nell'incuranza del senso comune.