giovedì 29 marzo 2012

Crisi ...


Malattia, veleno e medicina


La crisi economica attanaglia l'Europa unita, e tale Unione rischia di collassare. I paesi più deboli, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna vedono di fronte a loro, più o meno lontano, lo spettro del fallimento (default), e il rischio è quello di un "effetto domino"; di un contagio che raggiungerebbe anche i paesi economicamente più sani. La risposta delle élites sovrane, raccolte attorno ai due organi fondamentali di governo, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, è stata questa: misure di austerità (austerity), liberalizzazioni-privatizzazioni e riforma del mercato del lavoro.
L'austerità è l'aumento programmato delle tasse e delle imposte, la diminuzione di stipendi e pensioni, il taglio generalizzato della spesa pubblica. La liberalizzazione è intesa come la cancellazione delle restrizioni di mercato per le categorie di mestiere, in modo da istituire un sistema di concorrenza aperto anche ai non appartenenti a tali categorie; la conseguenza più ovvia è l'accesso dei privati a quella produzione di beni e servizi che prima gli era preclusa, per causa della tutela statale che cautelava e preservava i gruppi chiusi. Chiaramente, l'obiettivo è uno soltanto: favorire la creazione di monopoli privati e quindi la privatizzazione dei settori lavorativi non ancora privatizzati. La privatizzazione si definisce come lo spostamento della proprietà di un ente o di un'impresa dal controllo statale a quello privato, e, infine, la riforma del mercato del lavoro non è altro che un'introduzione di flessibilità che porta a una maggiore facilità di licenziamenti (e quindi, di assunzioni) e a una prevalenza dei contratti di lavoro a tempo determinato (il cosiddetto precariato).  
Le cause della crisi ci vegono indicate nel debito (deficit) pubblico giunto a livelli insostenibili e nella capacità di produzione dei singoli paesi (indicata dal Prodotto Interno Lordo), insufficiente a garantire entrate per il pagamento degli elevati interessi sul debito. Per tale motivo vengono imposti il risanamento dei conti pubblici e il pareggio del bilancio. Come se non bastasse, le Agenzie di rating, che forniscono una valutazione sulla solidità finanziaria degli Stati analizzando la loro capacità di far fronte al proprio debito, declassano inesorabilmente le nazioni europee, e pertanto gli investitori tengono lontani i propri capitali, in quanto gli investimenti in tali paesi sono considerati troppo rischiosi. 

Questi, dunque, sono i fatti. La crisi si traduce in lacrime e sangue per i cittadini europei, in virtù di sacrifici che vengono definiti necessari in vista di una crescita futura che assume, però, coordinate spazio-temporali vaghe e incerte. Sono realmente tali?
Tutte le nazioni occidentali, ed anche e soprattutto le nazioni economicamente all'avanguardia, possiedono un debito pubblico che spesso raggiunge elevazioni stratosferiche. L'intera economia neocapitalistica si fonda sull'indebitamento, e ciò significa che nessun paese può giungere ad annullare il proprio debito, il quale è destinato a crescere a dismisura per via del fatto che le spese di uno Stato sono sempre maggiori delle sue entrate. Ciò dimostra che il debito in sé non è un problema: che senso ha, allora, l'imposizione del pareggio di bilancio?
Il problema maggiore sembra essere il Prodotto Interno Lordo, e il rapporto tra il deficit pubblico e il Prodotto Interno Lordo. Eppure, le riforme d'austerità producono un aumento del costo della vita dato dall'impoverimento generale della massa della popolazione (oltre che, cosa ancor più grave, un radicale annullamento del benessere sociale, portato unicamente dalla potenza del Welfare State, o Stato assistenziale); se la massa della popolazione è più povera, allora compra di meno, e la domanda di consumo cala considerevolmente; con il calo della domanda vi è un calo speculare dell'offerta di beni e servizi, giacché sul mercato l'offerta si adegua, appunto, alla domanda; la diminuzione dell'offerta è una diminuzione della produzione (a cui le aziende devono far fronte risparmiando sulla sicurezza degli impiegati e sui loro contratti, moltiplicando l'orario lavorativo, sospendendo in generale i diritti dei lavoratori, e poi anche liquidando manodopera in massa, trasferendo all'estero la produzione e, nel peggiore dei casi, chiudendo l'attività nell'impossibilità di portarla avanti), e quindi una diminuzione del P.I.L.; la diminuzione del P.I.L. è una decrescita, ovvero una recessione (vero è che le liberalizzazioni producono un certo aumento del Prodotto Interno Lordo, eppure tale aumento, limitato, non riesce a colmare i numerosi punti-percentuale perduti), cosicché la crisi finisce paradossalmente per essere esacerbata dai rimedi impostici. Inoltre, vi sono paesi economicamente forti nei quali il rapporto deficit / P.I.L. è enormemente negativo, e non per questo tali paesi rischiano di fallire (emblematico è il caso del Giappone, terza economia del mondo). Da ciò deriva che il risanamento e l'austerità risultano essere addirittura dannosi, e che neanche il Prodotto Interno Lordo e il rapporto tra il deficit pubblico e il Prodotto Interno Lordo, seppur termini essenziali nell'andamento economico di un paese, possono essere considerati come cause fondamentali della crisi economica europea.
Per quanto riguarda le privatizzazioni selvagge, esse sono il peggior veleno dell'economia, spacciato per la migliore medicina. Uno Stato che non riesca a pagare gli interessi sul proprio debito è uno Stato le cui entrate non sono abbastanza elevate; le entrate dello Stato dipendono da due fattori: le tasse e le imposte innanzitutto, e poi i guadagni che gli derivano dai suoi possedimenti, ovvero dalle proprietà pubbliche; privatizzare tali proprietà rendendole private porta, sì, un guadagno immediato sul breve termine per via della vendita, ma anche una perdita incalcolabile sul lungo termine (se prima infatti il profitto dello Stato coincideva con l'intero guadagno derivato dalle proprietà in questione, ora esso sarà solamente una minima parte di quel guadagno, precisamente quella che verrà spesa in tributi), senza contare il fatto che in un regime di mercato neoliberista com'è quello occidentale, essenzialmente deregolamentato, la cessione di possedimenti è anche una cessione di sovranità, giacché lo Stato perde il controllo dei propri enti e delle proprie imprese. 
Se poi è vero, come è vero, che l'aumento del tasso di occupazione e la diminuzione del tasso di precarietà inducono a una minor spesa da parte dello Stato (in quanto esso deve versare la cassa integrazione a un minor numero di persone improduttive) e a una maggiore capacità di consumo da parte del lavoratore (in quanto grazie alla sicurezza di un contratto fisso di lavoro si possono effettuare grandi spese usufruendo dei mutui), allora non si comprende come la flessibilità possa contribuire a migliorare una situazione già di per sé critica.

Bisogna, dunque, individuare le cause reali e i rimedi adeguati: la prospettiva del default investe esclusivamente la zona-Euro, ovvero quegli Stati dell'Europa che hanno adottato la moneta unica. Tali Stati risultano vulnerabili in quanto non hanno il potere di ottenere moneta semplicemente richiedendola alla Banca Centrale Europea, che non può prestare denaro agli Stati bensì soltanto alle Banche centrali nazionali, le quali possono, a loro volta, prestarlo solo alle Banche commerciali, e queste ultime infine esclusivamente alle imprese e ai cittadini; gli Stati, in definitiva, rimangono fuori dal sistema del prestito di moneta. Tutte le nazioni non adottanti l'Euro possono acquisire moneta direttamente da una Banca Centrale, emettendo titoli di Stato e scambiandoli con denaro, promettendo il pagamento di interessi stabiliti dallo Stato stesso; le nazioni adottanti l'Euro devono invece richiedere in prestito il denaro mettendo all'asta i propri titoli di Stato e vendendoli sul mercato dei capitali, dove gli acquirenti (che possono essere Fondi sovrani, Fondi comuni, Hedge funds di singoli speculatori finanziari, Fondi pensione, Fondi immobiliari, Assicurazioni, Banche d'affari, Società d'investimento, eccetera) stabiliscono il tasso d'interesse a proprio piacimento. Il fatto di non poter emettere da sé la moneta è l'aspetto che fa emergere la possibilità di non poter ripagare gli interessi in caso di crisi, mentre uno Stato a moneta sovrana può sempre ripagare i propri interessi indebitandosi ulteriormente, mentre il debito, essendo periodicamente rinnovato, non deve invece essere restituito; per questo motivo e per questo soltanto l'attacco dei mercati si dirige verso i paesi dell'Euro e non verso gli altri paesi. Ciò significa che l'unico modo per salvarsi dalla crisi sembra essere quello di rendere la Banca Centrale Europea un istituto simile alla Federal Reserve (Fed) americana, e cioè una banca federale prestatrice di ultima istanza.
Ci si accorgerà allora che per stimolare la crescita economica, in una situazione in cui la domanda di investimenti privati è minima, v'è una maniera opposta a quella che ci viene indicata: la spesa a deficit dello Stato. Il debito pubblico, infatti, non è la povertà, bensì la ricchezza dei cittadini: nel momento in cui lo Stato spende denaro indebitandosi, esso accredita i Conti Correnti di coloro che hanno beneficiato della sua spesa (se viene comprato un bene, ne beneficia il venditore; se viene pagato uno stipendio o una pensione, ne beneficia la persona stipendiata o pensionata; se si finanzia un progetto di costruzione, ne beneficiano le ditte incaricate e gli operai; se si investe nella ricerca o nella produzione aziendale, ne beneficiano gli istituti di ricerca o le aziende produttrici, e così via) e può generare un aumento, un'ottimizzazione e un ampliamento della produzione che portano automaticamente a una crescita del P.I.L., a un miglioramento delle condizioni economiche generali e alla creazione di posti di lavoro, con evidente profitto della massa della popolazione, il cui costo della vita tenderebbe ad abbassarsi. Attraverso la spesa a deficit, infatti, lo Stato può garantire in ogni momento investimenti illimitati in qualsivoglia settore valorizzando enti ed imprese, e potenziare a dismusura il proprio Welfare generando un benessere diffuso derivato dall'attuazione del pieno Stato sociale e della piena occupazione.
L'unico limite alla spesa di uno Stato sarebbe l'inflazione, che si definisce come l'eccesso di moneta a fronte della penuria di prodotti circolanti; eppure tale fenomeno inflattivo, che porta a un'ascesa generalizzata dei prezzi di beni e servizi e una conseguente erosione del potere d'acquisto della moneta, può essere controllato e impedito mediante gli stessi metodi con i quali è, di fatto, controllato e impedito in tutti gli Stati del mondo, ovverosia riducendo la quantità di moneta in circolazione drenando il denaro in eccesso attraverso la tassazione per poi distruggerlo, e incrementando la produttività attraverso investimenti mirati.

Che le élites sovrane non siano consapevoli di tutto ciò? Questo non importa. Volenti o nolenti esse ci guidano verso la rovina, costringendoci a imboccare una via di miseria.