domenica 8 dicembre 2013

Telos ...


Finalità prima e ultima dell'operato statale e dell'agire politico


Qual è il bene dello Stato? Il bene di qualcosa è ciò verso cui quella cosa si volge come al proprio fine. Il fine dell'operato statale non può che essere lo scopo ultimo che guida tutte le iniziative pubbliche. Ogni iniziativa si dirige in effetti a uno scopo particolare, ma qui si intende delineare - o meglio, rammentare, in quanto pare essere caduto nell'oblio - il proposito generale che sta, o dovrebbe stare, dietro a qualsiasi agire politico e ne determina, o dovrebbe determinare, il valore. 
Giacché la politica è materia di uomini, occorre partire dall'essere umano. Il fine dell'essere umano è la conservazione, l'affermazione e l'accrescimento della vita dell'individuo e della specie, come principalmente vuole l'istinto. Quando lo Stato, ovvero la sola forma della sovranità, nacque assieme alla comunità umana (ogni raggruppamento sociale ha infatti bisogno di uno Stato che amministri e governi per far sì che sia realizzabile la convivenza civile e non si produca il caos dell'anarchia. Il termine "Stato" va ovviamente tradotto non in senso di Stato moderno, Stato-nazione, Stato occidentale, e simili, ma come "qualsivoglia forma di sovranità di qualsivoglia società", sia essa primitiva o sviluppata, antica o recente), il suo scopo non poteva che essere quello condiviso da tutti gli uomini al di là delle loro distinzioni di personalità, carattere, intelligenza e forza, cioè creare una struttura di ordine nella quale fosse possibile conservare, affermare e accrescere la vita umana al meglio. Tale obiettivo esprime l'essenza della politica.
Se ciò è vero, allora quella struttura stessa e quell'ordine devono essere conservati, affermati e accresciuti, affinché si mantenga, imponga ed elevi la sua efficienza. Da questo consegue che il fine e il bene dello Stato è: conservare, affermare e accrescere sé stesso, in vista della conservazione, dell'affermazione e dell'accrescimento della vita dell'essere umano, e tutti i fini e i beni secondari sono compresi in codesto fine e bene primario e debbono servirlo, tanto che, se ciò non avviene, la politica si corrompe e decade immiserendosi.

Adamo ...


Passaggio dai beni relativi al Bene assoluto


Il termine "bene", posto come soggetto - il Bene ... - o come predicato - ... è bene -, designa, in filosofia, il concetto morale sommo. Essendovi un riferimento alla morale, esso non può che riferirsi all'essere umano, solo esecutore, e a volte artefice, di imperativi morali, nonché alla Divinità, origine diretta o indiretta di quelli (e in quest'ultimo caso l'uomo non è altri che un mediatore). Ora, qual è mai il Bene, ovvero ciò che è bene in assoluto, e quali invece i beni relativi?
Si dice bene ciò che appaga lo spirito o il corpo, oppure entrambi spirito e corpo, recando loro piacere e gioia. Ma ogni persona, ed ogni civiltà, possiede determinate idee di ciò che può essere considerato buono e di ciò che non può esserlo, e tali idee differiscono spesso tra loro, tanto che ciò che una persona, o una comunità di persone aventi la medesima cultura, reputa buono, può sembrare a un'altra persona o comunità qualcosa di malvagio. Ad esempio, si può considerare buona la ricchezza e cattiva la povertà, buono l'essere sensuali e cattivo l'esser casti, e, a seconda dei propri giudizi e pregiudizi - i quali essenzialmente dipendono dalla presenza o meno, nei comportamenti altrui, di un accordo con i precetti della morale personale e della morale collettiva -, buona una persona o una civiltà, e cattiva la persona o la civiltà avversa; ma anche viceversa, in un'inversione di valori della quale vi è ampia manifestazione nella vita quotidiana e nella storia dell'umanità. Di qui la relatività dei singoli beni. 
Nondimeno sussistono dei beni stabili, che sono tali per tutte le persone, di qualsiasi civiltà si tratti. L'assennatezza e la pietà sono beni di codesto tipo, di contro alla pazzia sconsiderata e alla crudeltà bieca, sempre e comunque dei mali. Ciò vuol dire che sussistono basi certe, i cosiddetti beni assoluti, sulle quali potersi costruire una morale universale, a partire da tutte le morali particolari preesistenti. Detto ciò non si è però ancora giunti a identificare il Bene assoluto. Con Bene assoluto noi indichiamo Dio e con egli il suo volere, che non può essere se non volto al meglio, come si addice al Divino. Può l'uomo scorgere un tale Bene? Se ci sono dati messaggi a riguardo, se vi sono segnali a indicarlo, questi non possono che trovarsi nell'interiorità umana innanzitutto, e secondariamente nei prodotti di questa interiorità (tradizioni, dottrine tramandate, testi sacri, eccetera). Cosa ci insegna allora l'anima?
L'anima insegna che vi è un istinto che preme, mediante pulsioni inconsce e desideri consapevoli, per essere appagato. Codesto istinto mira in ogni modo, non meramente alla conservazione dell'individuo e della specie, bensì all'affermazione e all'accrescimento della "vita", e ciò anche a costo della repressione o sublimazione di numerose tendenze particolari in vista della ben più importante tendenza generale. La vita personale e collettiva, e la vita collettiva più di quella personale in quanto la preservazione di quella è condizione della preservazione di questa, deve essere conservata, affermata, accresciuta. Così la Natura vuole per mezzo dell'istinto e con ciò ella indica noi il Bene assoluto; di conseguenza qualsiasi altro bene che sia riconosciuto al di fuori di questo unico risulta essere un bene relativo.  

Sole ...


(Forma metrica: madrigale)


Il baleno


Riluce il Bene come astro del cielo
e lo spazio dell'anima riflette
il suo baleno; d'erba un verde stelo

si leva, e docile si rimette
al giudizio del giorno. Sicché l'uomo
se dentro è prato vasto, alle vette

più alte giunge, retto essere mai domo
e in tal modo espia la colpa del pomo.

domenica 3 novembre 2013

Unione ...


Per il principio dell'unità dello Stato


Circa centocinquant'anni fa si compié quel processo che oggi denominiamo unità d'Italia (la data convenzionale è il 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, ma in verità l'unificazione fu portata a termine solamente nel 1919, con l'annessione di tutti i territori della penisola). La Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore nel 1948, sanciva codesta unità quale uno dei fondamenti dello Stato. Tuttavia, nel 2001 venne approvata, mediante referendum, una riforma che introduceva principi di federalismo nel testo costituzionale.
Le modifiche riguardarono alcuni articoli relativi all'ordinamento territoriale italiano: risulta innanzitutto ampliata la funzione legislativa attribuita alle regioni; se in precedenza erano espressamente indicate le competenze regionali e la potestà su tutte le materie non indicate era dello Stato, ora al contrario sono indicate, e dunque limitate, le competenze statali, mentre la potestà su tutte le altre materie viene assegnata alle Regioni. Risultano poi ampliate anche le funzioni amministrative, organizzative e finanziare degli enti locali - Regioni, Province e Comuni - aventi adesso maggiori poteri, autonomie e responsabilità rispetto al passato. Infine, nei rapporti tra lo Stato e gli enti locali, risultano diminuite le possibilità di intervento normativo del primo nei confronti dei secondi e aumentate invece quelle dei secondi nei confronti del primo. 
Gli emendamenti suddetti minano il principio dell'unità, conquistato con il sudore e con il sangue del popolo italiano durante il Risorgimento. Oltre a ciò, i risultati a cui essi hanno portato sono sotto gli occhi di tutti: dal 2001 a oggi la corruzione all'interno degli organismi locali, privati del controllo statale, ha raggiunto gradi esorbitanti; numerosi enti si ritrovano a essere ostaggio delle mafie e delle criminalità organizzate, certamente più forti e influenti a livello locale piuttosto che a quello statale; la tassazione ha ricevuto un'impennata consistente a causa delle delibere regionali, provinciali e comunali; interi servizi, quali la sanità e l'istruzione, sono in rovina anche per via della cattiva gestione da parte degli organi preposti. Il quadro generale (che non potrà se non peggiorare nel caso di un effettivo completamento della forma federalista, struttura culturalmente e materialmente non adatta alla realtà italiana) è quello di una Stato incapace di far fronte ai problemi e alle esigenze istituzionali e collettive, non solo perché colpito dall'inettitudine del personale politico, o in quanto subisce la mancanza degli strumenti necessari, bensì pure per l'assenza di una base legislativa adeguata, che riconoscendo l'unione, non soltanto del territorio in sé, ma delle funzioni di conduzione degli organi territoriali, permetta l'imporsi di una determinata efficienza nell'azione degli enti locali e di una conseguente stabilità in tale campo governativo.

Unità ...


Discorso sopra la categoria dell'Uno


La Filosofia non ricerca la verità in quanto esatta certezza, come fa invece la Scienza; piuttosto essa ricerca l'unità, che si identifica di fatto con la verità intesa come illatenza e svelamento. L'Uno - non il Vero - è la categoria che guida la disciplina filosofica nel suo peregrinare, e questo processo si delinea pertanto come un processo di comprensione. Comprendere significa appunto racchiudere il molteplice delle idee e dei pensieri, il quale corrisponde al molteplice che è proprio delle cose, in una visione generale o pensiero unitario, che rispecchi la generalità e unitarietà del Tutto. 
D'altronde, Uno e Tutto si identificano l'uno con l'altro. Se il Tutto ci appare diviso nelle sue molte parti, di cui noi facciamo esperienza continua, ricondurre queste molte parti all'Uno è il compito ultimo della Filosofia. Come potrebbero infatti le parti singole presentarsi in maniera separata? Come potrebbero sussistere se non fossero, al fondo, legate vicendevolmente? Sapere è aver scovato tali legami a partire dai molti, ed esser poi risaliti all'insieme che li raccoglie. Tutto ciò che appare distinto al senso comune va quindi ricongiunto attraverso l'individuazione di un elemento sostanziale o causa prima, e questa opera si compie mediante l'intelletto e l'intuizione, facoltà somme del filosofo. 
Ma l'Uno si compone della Diade. Con il termine Diade mi riferisco genericamente alle opposizioni di contrari ovunque ravvisabili nei domini del mondo e del pensiero, e in complesso rappresentabili nel simbolo cinese Tao (che può essere tradotto con "la Via"), unione armonica dei principi yin e yang. Secondo la tradizione, yin si mostra quale elemento negativo e passivo: il buio, l'odio, il male, il freddo, la notte, la luna, l'inverno e l'autunno, la terra e l'acqua, la morte e la guerra, la materia e il corpo, la passione, la natura, la femmina, eccetera; al contrario, yang si mostra quale elemento positivo e attivo: la luce, l'amore, il bene, il caldo, il giorno, il sole, l'estate e la primavera, il cielo e il fuoco, la vita e la pace, lo spirito e la mente, la ragione, la cultura, il maschio, eccetera. Tutte le polarità possono essere ridotte a questi due elementi, che perennemente lottano l'uno contro l'altro eppure permangono assieme nella quiete. Ebbene, comprendere il Tutto è in primo luogo scorgere le contrarietà opposizionali e in secondo luogo riportarle nell'integrità dell'Uno.  
 

Panteismo ...


(Forma metrica: rondò)


Hen kai Pan


In lungo e in largo ho voltato lo sguardo
e ti ho cercato, qui e pure altrove.
T'immaginavo simile a vegliardo
Signore che ogni cosa fissa e muove.

Ma io dell'esistenza tua le prove
non riuscii a vedere: come oscurato
 il mio sguardo, sotto un cielo che piove
lacrime d'abbandono, estenuato.

E vagava l'animo malandato
in aridi deserti camminando
e l'eco del respiro mio affannato
nell'aria volteggiava sperso. Quando

 un giorno d'improvviso ridestando
dal torpore la coscienza sopita
allontanai il ragionare nefando
e risvegliai la mente annichilita.

Ricco di nuova salute e di vita
finalmente compresi: non tra i molti
t'avrei trovato, conoscenza ambita
'ché tu sei Uno; l'ignoran gli stolti.

 Il sacro intuito degli uomini colti
ci insegna che Egli, nostro baluardo
coincide col Tutto, ne siamo avvolti
e in questo abbraccio di fiamma, io ardo.


giovedì 3 ottobre 2013

Costi ...


Teorie dell'inflazione: una sintesi


Vi è molta incertezza, all'interno della scienza economica, riguardo al fenomeno dell'inflazione e alla sua interpretazione. Si ha in effetti difficoltà a scorgere una teoria adeguata, avente pieno riscontro nell'oggettività dei fatti, e che ponga in accordo le opposte fazioni. Il motivo di ciò è presto detto: l'inflazione è un caso sociale estremamente complesso, che come tale si sottrae alle spiegazioni unilaterali, sin troppo semplicistiche.
Innanzitutto va data una definizione del termine: in economia si dice "inflazione" l'aumento complessivo del livello medio generale dei prezzi, o la diminuzione progressiva del potere d'acquisto della moneta. Tale definizione è condivisa da tutte le scuole economiche, le quali però si dividono su quelle che dovrebbero essere le cause del fenomeno. Per i cosiddetti monetaristi, seguaci dell'economista e premio Nobel Milton Friedman, l'inflazione risulta essere causata da un aumento eccessivo della quantità di moneta circolante a fronte di una penuria di merci prodotte. Codesta spiegazione, che è fondamentale ma non tiene conto di tutte le sfacettature del caso, è divenuta oggi, nella volgarizzazione del senso comune, ancor più ristretta: l'inflazione si genererebbe automaticamente come effetto dell'immissione di moneta nella circolazione. Diverso il parere dei keynesiani, aventi come maestro e ispiratore l'economista John Maynard Keynes: per essi l'inflazione nasce da un eccesso della domanda globale sull'offerta globale, a prescindere dalla quantità di moneta immessa nel sistema. Anche questa spiegazione, sebbene più ampia della precedente, si mostra insufficiente.
La versione monetarista e quella keynesiana sono le principali teorie concorrenti. Il loro problema è che entrambe edificano la propria tesi ipotizzando una condizione di piena occupazione, ovvero di assenza di disoccupazione, che non ha validità concreta in quanto non si dà nella realtà, e ciò vuol dire che il fenomeno non dovrebbe affatto presentarsi in un regime di occupazione normale, in quanto l'eccesso di moneta o di domanda sarebbe qui equilibrato da una cospicua presenza di disoccupati che, una volta assunti, andrebbero a rimpolpare la produzione e l'offerta. Inoltre riconducono erroneamente l'intera questione a una cagione unitaria non tenendo in considerazione le ulteriori sorgenti inflattive. Ma se si desidera porre le basi per una politica di contenimento e di risoluzione del problema, giacché tale è appunto la presenza d'inflazione all'interno della società, occorre operare una chiarificazione.
Vi sono altri due modi in cui i prezzi dei prodotti possono subire un innalzamento: con l'aumento del valore del prodotto, cioè dei costi per la sua produzione - prezzi dei macchinari e delle materie prime, trasporti, salari, eccetera -, oppure con la diminuzione del valore della moneta, in caso di svalutazione. Va inoltre considerata sia una situazione di concorrenza di mercato, sia una situazione di oligopolio, sia una di monopolio, che influiscono diversamente sul rapporto tra la domanda e l'offerta: nel primo caso infatti i prezzi tenderanno sempre a ridursi, nel secondo tenderanno alla stabilità, ossia a salire e a scendere moderatamente permanendo entro un certo livello, e nell'ultimo a impennarsi. Infine, l'azione della finanza speculativa può influire, attraverso la compravendita di strumenti derivati over the counter, pesantemente sul rialzo dei prezzi.
Sintetizzando i vari elementi elencati si può azzardare una spiegazione che renda conto di tutte le cause in atto: l'origine dell'inflazione va individuata, in definitiva, in un aumento della domanda di merci e servizi, nonché di titoli derivati, all'interno di un sistema economico a bassa produttività aziendale, oppure in mancanza di concorrenza sul mercato dei beni, e in cui sussistano mercati finanziari non regolamentati. 

Uroboro ...


Delineamento della pulsazione cosmica nel suo svolgimento perenne e destino dell'Universo


L'Universo, originato da un'esplosione primordiale denominata Big Bang, si espande inesorabilmente. La sua espansione non è un fatto accidentale, bensì un fenomeno necessario, il cui accadere è dettato dall'intima natura ed essenza profonda del cosmo medesimo (con tale termine non si intende l'Universo, bensì piuttosto l'ordine e l'armonia che lo caratterizzano, dalla parola greca "kosmos", che sta a significare appunto "ordine, armonia"), che è poi la natura e l'essenza di quell'elemento che lo compone in lungo e in largo: l'energia, ovvero l'anima del mondo.
La grande esplosione iniziale fu solo una scintilla che diede l'avvio al movimento, ma che non poteva far sì che esso continuasse a perdurare e aumentare; pertanto la Scienza ha scovato, a spiegazione di ciò, un ulteriore ampliarsi, e ne ha determinato la causa. Questo processo fu detto inflazione cosmica, e cioè quella fase, seguita al Big Bang, di espansione rapidissima dovuta all'azione della cosiddetta energia del vuoto, o energia oscura. Nei pressi di questa energia, la quale pervade l'intero spazio-tempo, ma era in principio compressa in uno spazio minuto e dunque aveva densità estremamente elevata, si verificano delle fluttuazioni quantistiche o vortici che generano coppie di corpuscoli materiali del tipo particella-antiparticella, i quali subito, nella loro contrarietà, si attraggono e scontrano annichilandosi l'un l'altro e tornando di nuovo nella condizione energetica precedente la loro creazione. Codeste micro-esplosioni, numerose e frequenti ai primordi, più rade oggi in seguito all'allargamento delle dimensioni dello spazio-tempo e alla conseguente rarefazione dell'energia, fanno da propulsore per il moto di espansione continuo. Tutt'ora infatti, com'è stato osservato, l'Universo accelera la propria espansione, seppure tale accelerazione è di gran lunga meno intensa che in passato. La proprietà naturale ed essenziale dell'Universo e dell'energia, la loro caratteristica più propria, risulta allora essere l'incremento senza limiti, il potenziamento assiduo e la crescita costante.  
Eppure anche questo movimento è destinato ad esaurirsi. Una opposta forza lotta contro la forza espansiva per il sopravvento, e aumenta la sua portata man mano che l'Universo si riempie di materia, la cui creazione a partire dall'energia non si arresta. La gravità, che ha nascita dalla deformazione spazio-temporale provocata dalla presenza dei corpi di materia sul tessuto energetico universale, attrae ogni corpo verso i corpi dotati di massa maggiore, e tutti i corpi in genere verso il centro ultramassiccio dell'cosmo, un buco nero sorto dalla grande esplosione. L'Universo allora non potrà che contrarsi e collassare, nel momento in cui codesta forza gravitazionale avrà superato e vinto la forza espansiva rivale, tendente, al contrario dell'altra, a ridursi fino a stabilizzarsi in un livello costante. Si avrà quindi il cosiddetto Big Crunch, o grande implosione, in un cammino a ritroso verso l'inizio. Ma proprio l'implosione dell'Universo, una volta compiuta, non potrà che causare nuovamente, con la sua violenza, una esplosione, e con essa un'espansione, e così via all'infinito in un un andamento ciclico e oscillatorio che in molte visioni cosmologiche assume il nome di eterno ritorno, e che si mostra come la prova più evidente dell'immortalità dell'Essere e della Natura.
  

Accrescimento ...


(Forma metrica: verso di quattordici sillabe)


Prolifera e cresce


Prolifera e cresce la volontà di Potenza
e sale, amplia il suo orizzonte, larghe vedute
mai s'esaurisce, mai si fa intimidire, mai
dinanzi a ciottoli e montagne, minuti ostacoli
ed enormi; non s'arresta, piena straripante.
Dismisura è sua misura che aumenta continua
e ella dietro fulgide e sacrosante creazioni
opera invitta, istinto di Vita e di Morte.
E qui senz'altro si intravede, come allo specchio
l'impulso, il desiderio, l'anima soave:
qui sta l'essenza loro, la natura profonda
che in alto le porta e beate le fa lievitare.
Non è tale l'essenza e la natura dell'uomo?
non è tale l'essenza e la natura del mondo?
Giacciono, uomo e mondo, nei meandri del Dio
e l'uno e l'altro si schiudono, fiori silvestri
e appassiscono per poi nuovamente sbocciare.
Ma d'Eternità è strumento questo inaridire.


venerdì 13 settembre 2013

Diavolo ...


Momenti estatici socialmente negativi e cerimoniali risanatori 


Può essere individuata, nelle società antiche e moderne, una forma d'estasi volgare e impura, che si presenta come impossessamento della mente e del corpo, e dominio dell'inconscio sulla persona. Si può notare codesta forma estatica in tutti i fenomeni isterici compulsivi, ovvero in tutte quelle occasioni in cui l'uomo perde, per un motivo o per un'altro, il senno, e agisce quindi in maniera incosciente, mostrando impetuosi e a tratti sconvolgenti segni di follia: si va dal semplice raptus o accesso di collera nel caso di uomini comuni affetti da debolezza psichica, alla violenza brutale e insensata nel caso dei crimini di guerra commessi dai soldati; dal singolo che per un momento annulla la propria capacità di intendere e di volere compiendo un atto empio - l'assassino, lo stupratore patologici -, al collettivo che, per un tempo più o meno lungo, annichilisce la propria ragione finendo per appoggiare e commettere idee ed azioni sconsiderate e irrazionali - i più accesi sostenitori di un Hitler, di uno Stalin, oppure di un Mao. In siffatte situazioni si ha come un allentamento dei freni inibitori e una regressione al rango di mero animale, o anzi, peggio ancora, di bestia bruta. Come può uno Stato limitare cotali espressioni sub-umane? Di certo l'origine di questi fenomeni sta in quell'elemento profondo, fautore in egual modo anche delle più grandi e meravigliose espressioni dell'umano, che risponde al nome di istinto: esso può infatti essere rivolto verso l'alto come verso il basso, e sta allora al Potere incoraggiare la prima direzione e fiaccare invece la seconda per il bene dell'unione civile. 
Vi sono state, e vi sono tuttora, delle ritualizzazioni periodiche che permettono di dirigere le espressioni estatiche negative, lasciando sfogare le pulsioni aggressive che vi sono celate, e non permettendo che esse si accumulino per poi esplodere in un depredamento della coscienza che assume, inevitabilmente, contorni ostili. Rituali di questo tipo possono essere, ad esempio, i baccanali nelle società greca e romana, ma anche il tarantismo salentino e, oggi, l'encierro in Spagna, sorta di rituale secolarizzato. Attraverso cerimoniali tradizionali del genere, legali e sottoposti a regole, si limitano i danni in cui si incorrerebbe se si lasciasse l'istinto libero di esprimersi come vuole, senza vincoli di sorta. In tal modo un evento negativo incontrollabile al livello della persona singola e del raggruppamento di persone singole può essere sottoposto a controllo e reso in certa misura più innocuo, tramutando in bene ciò che era volto al male. Pertanto, è giunta l'ora di pensare alla possibilità di creare nuovi accorgimenti analoghi (seppure in molti, non comprendendone l'utilità, li condannano duramente) per accrescere il benessere degli uomini e migliorare la convivenza tra di essi.       

Comunione ...


Descrizione sommaria dell'esperienza estatica


Il termine "estasi" significa, letteralmente, lo star-fuori-di-sé, ed è riferito a rare e particolari esperienze personali, tipiche soprattutto dei santi e dei religiosi più appassionati, verificantisi in ogni parte del mondo e in ogni epoca. 
Per poter stare fuori sé stessa, la persona deve necessariamente uscir fuori da sé stessa. Ma com'è mai possibile che ciò accada? Innanzitutto, la qualità fondamentale che deve possedersi per poter raggiungere uno stato altro, ovvero uno stato mistico contrapposto allo stato normale, è la fede, e precisamente la fede in una Divinità, in qualunque modo la si concepisca: solo chi creda in un Principio divino, infatti, è in grado di immergersi mente e corpo in tale Principio, giacché di questo e di nient'altro si tratta; l'estasi è, appunto, un annullamento temporaneo del proprio sé nella congiunzione con un Sé di diverso tipo, l'abbandono della propria essenza individuale in favore di una essenza universale che la ricomprenda senza distinzioni.
Un evento siffatto può essere vissuto e descritto in molti e differenti modi, e pertanto la seconda caratteristica necessaria alla persona è una fervida immaginazione, sia per poter percepire in pieno ciò che, di fatto, è difficilmente percepibile, sia per poter esprimere con le giuste parole - quasi sempre parole poetiche - codeste percezioni propriamente uniche. Una persona priva di immaginazione non può rappresentarsi ciò che sente, e non può quindi amplificare la sensazione e il sentimento sino ai limiti possibili e oltre ancora, per dare a questi un corpo e donargli statuto di realtà (in tal caso la condizione estatica, comunque esperibile nel caso in cui tutti i sensi siano eccezionalmente fini, può al massimo permanere in uno stato virtuale, manchevole di consistenza corporea); inoltre, così come non si potrà avere immagine di ciò che accade, non si potrà farne discorso, risultando, essa, cosa talmente vaga da mostrarsi confusa e inesprimibile.
Non è affatto possibile uscir fuori da sé stessi se non per mano propria, attraverso uno sforzo interiore. Nessun'altro, dall'esterno, può penetrare interamente nell'interiorità di una persona e imprimervi la sua azione. Dunque ci si concentra in sé medesimi per trarre sé stessi fuori da sé medesimi e congiungersi con il Sé di Dio, o della Natura, facendoci tutt'uno con Lui o con Lei; uomini non-ordinari possono raggiungere tale disposizione privilegiata, che infonde nell'animo una gioia altrettanto non-ordinaria. Si approda così alla consapevolezza che il Divino è presente attorno a noi e dentro di noi, e che noi stessi si può divenire divini partecipando ardentemente della Sua sostanza, una volta che ci si sia rinchiusi nella propria intimità, lontano dagli altri e dal mondo, per aprirci ad accogliere l'Altro, permettendo ai sensi di percepire l'Altro accoglierci a sua volta nel proprio seno. Qui sta certamente custodito un grande segreto per chi voglia e sia capace di portarlo alla luce.
  

Estasi ...


(Forma metrica: verso di tredici sillabe)


In te m'inoltrai


In te, Madre, m'inoltrai timoroso e inquieto
un giorno, quando già Fede m'aveva empito
il cuore bramoso del tuo amoroso tocco:
mai sino allora avevo percepito il corpo
della Dea che tutto avvolge in abbraccio ampio
sul mio giovane corpo gagliardo di figlio
ma della tua voce i sussurri mi giungevano
all'orecchio, e della tua piena esistenza
avevo saputo dal mio ricco intelletto
l'Inizio indagando di Cosmo, Vita e Mente.

Eccomi dunque in vaste lande inabitate
tra verdi monti costeggianti il mio paese
- lì dove la madre di mia madre abitava
col marito in umile dimora - d'estate;
il fiume, protettore delle rade case
dei paesani (ma loro ai santi danno omaggio
e non invece agli Dèi) m'accompagnava
nel tragitto fluendo fedele al mio fianco
e quand'anche non lo scorgevo, occultato
da grovigli d'arbusti spinosi e da alberi
il suo procedere udivo rasserenante
e l'animo mio eremita allora trovava
la compagnia che mai prima aveva trovato
nella civiltà, tra uomini camminando.
E la selva lontano dalla via sterrata
mi chiamava, e io alla chiamata risposi
senza esitare. Fra alti e freddi cespugli
m'addentravo, in mano un bastone di legno
alla ricerca d'un luogo che fosse adatto
ad intenso e religioso raccoglimento;
non supplice preghiera, bensì concentrata
meditazione, al modo di saggio asceta.
Ed ecco diradandosi la macchia informe
un isolotto minuto e sassoso vidi
adagiato nel mezzo del comodo letto
nel quale il corso d'acqua trasparente scorre
e ai lati due rami di fiume lo cingevano:
lì volli accomodarmi, e i miei piedi immersi
sin'oltre le caviglie, nel gelido liquido
a traversarlo, poiché quello era l'altare
e l'incontaminata Natura il santuario
e il cielo azzurro il soffitto del sacro tempio.

E lì seduto, le gambe incrociate, ritto
simile a un fiore di loto, Ella distese
la mano, e mi carezzò il volto abbronzato
e tra le braccia prese il mio torace nudo.
Il Sole di mezzodì era il vigile occhio
caldo di luce a far erompere sudore
dai vulcani pori del derma; il brillante
prodigio dei bagliori riflessi sull'acque
era magia, e gli insetti multiformi
che ora innocui sulla pelle mia si posavano
solleticando l'anima, erano brivido
di meraviglia; radiosa energia investiva
possente, mia coscienza, e l'unificava
con l'onnipervadente Coscienza di Dio.
Ed io più non ero, poiché l'Essere era.
E aperta la radura, essa si richiuse
quando i socchiusi occhi furono riaperti
infine, e di gioia traboccante andai
a vivere fiammeggiante ulteriore vita.

Mai scorderò la sana e incantevole ebbrezza
la mistica evasione che fu rapimento
la contemplazione del divino Miracolo
che eretici e miscredenti fa impallidire
l'esperienza delle esperienze, e il piacere
soltanto a orgasmo indomito paragonabile
in verità e bellezza, spontaneità e pace.

martedì 6 agosto 2013

Elezione ...


Sistemi elettorali e suffragio universale


Ciò che contrassegna la democrazia rappresentativa è il sistema elettorale, mediante il quale i cittadini possono esercitare quel potere che da un secolo a questa parte gli è dato. Il presupposto è il suffragio universale, ovvero il diritto di voto per ogni cittadino che abbia raggiunto la maggiore età. Detto questo, bisogna in primo luogo riflettere su quale sia il miglior metodo elettivo, e in secondo luogo chiedersi in che modo un suffragio allargato e senza restrizioni possa avere ripercussioni positive sulla politica di un paese.

Due sono le tipologie di sistema elettorale: il maggioritario e il proporzionale, ma sono anche possibili strutture miste che amalgamino insieme entrambi i sistemi di votazione, come ad esempio avviene in Germania e in Giappone. Il sistema maggioritario, in vigore in paesi quali Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, India, Australia e Francia, prevede la suddivisione, salvo casi speciali, del territorio in collegi elettorali uninominali (in cui viene eletto un solo candidato), tanti quanti sono i seggi parlamentari da assegnare; in ogni collegio il candidato è scelto a maggioranza relativa oppure assoluta, e pertanto si avrà, rispettivamente, uno o due turni di votazione. Il governo spetta invece, o al candidato del partito che abbia così ottenuto la maggioranza dei seggi, o al candidato vincitore di una separata elezione. Il sistema proporzionale, in vigore in Brasile, Spagna, Italia, Svizzera, Paesi Bassi, Scandinavia, Russia e altri, si basa sull'uso di una o più circoscrizioni plurinominali, nelle quali vengono presentate, da parte dei partiti, liste aperte o chiuse di candidati che saranno poi votate dagli elettori; i seggi parlamentari risultano qui ripartiti in proporzione alla percentuale di voti ottenuti e il governo è assegnato alla coalizione maggiore.
Il sistema maggioritario possiede, in genere, i vantaggi derivanti da una forte solidità dell'esecutivo, il che corrisponde a una maggiore governabilità - ad esso si associa infatti, di norma, il bipolarismo. Tuttavia può accadere che il partito e il candidato ai quali è affidato il governo non siano quelli che hanno ricevuto i voti della maggioranza dei cittadini. Può addirittura accadere che un partito e un candidato eletti si trovino a dover governare assieme a camere parlamentari nelle quali la maggioranza è in mano alle opposizioni, e ciò si traduce inevitabilmente in uno stallo. Altro problema non tralasciabile è la mancanza di rappresentanza effettiva per ampi strati della popolazione in un modello bipolare, tanto più se bipartitico. A tutto ciò si aggiunge la difficile correggibilità del sistema in sé, che non può essere reso più democratico.
Diverso è il caso del sistema proporzionale, che ha appunto il vantaggio della democraticità, in quanto la quasi totalità della popolazione risulta essere rappresentata in parlamento, e il governo è assegnato ai partiti e ai candidati votati dalla maggioranza reale dei cittadini. Inoltre, nei sistemi del genere solitamente si possono apportare, e si apportano, correzioni come la soglia di sbarramento e il premio di maggioranza per ovviare agli inconvenienti dell'eccessiva frammentazione partitica e della possibile instabilità dell'esecutivo. Unico difetto, se tale si può definire, è l'obbligo per il partito e il candidato che abbiano ricevuto il maggior numero di voti di coalizzarsi con altre formazioni in vista dell'ottenimento della maggioranza alle camere, cosa che implica il dover conciliare il proprio programma elettorale con quello delle altre formazioni, mediando tra le loro richieste. Quest'obbligo ha però anche il merito di incoraggiare il governante ad acquisire una maggiore abilità e intelligenza nelle questioni politiche. 
Appare allora evidente la superiorità del sistema elettorale proporzionale su quello maggioritario (con la sola eccezione della situazione italiana, in cui i diversi metodi d'assegnazione del premio di maggioranza - di un'ampiezza peraltro eccessiva - per ognuna delle due camere fanno sì che, se anche in una di queste si ottiene la maggioranza dei seggi, nell'altra non si è invece certi di ottenerla, con il conseguente rischio di ingovernabilità. Tale è l'anomalia nostrana, che non intacca il valore del sistema proporzionale).

Ora si può rispondere al secondo quesito che, all'inizio, è stato posto: davvero il suffragio universale fu un progresso per la politica? Se tutti i cittadini devono poter eleggere i propri rappresentanti, allora bisogna anche assicurarsi che essi possiedano un'indipendenza confacente, una buona cultura storica, una comprensione adeguata delle vicende politiche e un'opportuna visione d'insieme che gli permettano di votare non secondo una moda, né abbandonandosi all'intensità di un sentimento o impulso irrazionale destato da qualsivoglia personaggio carismatico, e neppure sotto l'influsso delle opinioni e dei pregiudizi di persone assieme alle quali si vive, o anche di una propaganda mediatica faziosa. E se così non fosse, allora la politica di un paese sarebbe più di tutto determinata da codesta serie di variabili, le quali possono facilmente concorrere contro quello che è il vantaggio pubblico e collettivo.
 

Democrazia ...


Caratterizzazione dei poteri in un regime democratico e principio della loro separazione


Il regime democratico si presenta quale la forma politica dominante dell'età odierna. La storia contemporanea non è altro che la storia dell'imporsi, tra gli Stati occidentali, degli organismi democratici sopra agli altri tipi di organismo non-democratici. E come il capitalismo si è affermato per mezzo della divisione del lavoro, che ha consentito una produzione di ricchezza senza eguali per le comunità umane, così la democrazia si affermò per mezzo della divisione dei poteri, la quale permise l'ottenimento di tutele per i cittadini mai sperimentate in passato.
I poteri dello Stato sono quattro, e accanto a essi vi sono poi un potere appartenente alla società nel suo insieme e un'altro appartenente invece alla cittadinanza; sei in tutto.
I quattro poteri statali sono il potere esecutivo, il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere monetario. Il primo, prerogativa del governo, si occupa di far rispettare l'ordine e le leggi, di dirigere le forze militari e i servizi per la collettività, di gestire la politica interna ed estera, e di amministrare le funzioni pubbliche. Il secondo, prerogativa del parlamento, si occupa di legiferare e produrre, approvare, respingere le norme della vita associata, stabilendo i diritti e i doveri di tutti i membri. Il terzo, prerogativa della magistratura, si occupa di risolvere le controversie civili e penali mediante l'applicazione della legge e l'arbitrato di giudici imparziali. Il quarto, prerogativa della banca centrale, si occupa dell'emissione di moneta per assicurare il denaro necessario alla spesa pubblica e salvaguardare, così, la salute dell'economia.
Il potere che appartiene, per così dire, alla società nel suo insieme è il potere mediatico. Esso si delinea come un potere impersonale generato dall'azione congiunta di tutte le istituzioni, pubbliche e private, dedicantisi all'informazione e alla comunicazione delle notizie, siano esse vere oppure false. Attraverso questa azione di produzione e diffusione si genera quindi una opinione pubblica capace di influire sulla pratica politica. Il potere che appartiene invece alla cittadinanza è il potere elettivo, con il quale si intende sia la facoltà di nominare attraverso il voto i propri rappresentanti al governo e in parlamento, sia la facoltà di proporre e svolgere referendum grazie ai quali i singoli si appropriano direttamente del potere legislativo senza la mediazione dei rappresentanti eletti.
Va precisato che si devono definire "poteri" solamente quelle potenzialità che appartengono all'ambito del pubblico e alla sua intima costituzione: i cosiddetti poteri privati infatti (banche, imprese, finanza e l'insieme delle loro attività, ovverosia il mercato) risultano tali esclusivamente per via delle mancanze e dei difetti, intenzionali o non, nell'operato dei poteri pubblici.
La netta separazione tra i sei poteri garantisce un controllo incrociato che ostacola a ogni potere il superamento dei propri limiti stabiliti, preservando in tal modo da qualsiasi forma di abuso, e il loro pieno agire impedisce, in ultimo, l'insorgere di poteri alternativi che non abbiano come fine l'interesse collettivo.

Suicidio ...


(Forma metrica: canzone)


Democrazia, ovvero la meta elettiva


Generata dal ventre della storia
Democrazia, sorta
da semenza greca in fertile suolo
spazzata via come ignobile scoria
per poi rinascer morta
quando ormai l'uomo era già nudo e solo;
il tuo corp'io sorvolo
sovrana d'Occidente, come uccello
che nido sicuro voglia innalzare
ma, ospite novello
non scorge luogo alcuno ove abitare.
Ella somiglia a un mare
turbato, tempestoso
e i popolani navi alla deriva
mosse da moto ondoso
verso duri scogli, meta elettiva.

E fiero il cittadino il proprio voto
ai conterranei dona
regalo di fanciullo inappagato
 ma la politica vien messa in moto
dai figli di Mammona
e dal denaro loro insanguinato
- sangue dello sfruttato
che di rosso tinse la sua bandiera
anni orsono, quando speranza ancora
più che mai viva era.
Sigillato nelle vene, or ora
in angusta dimora
rapidamente fluisce
e certo non strariperà, stavolta
'ché illusione inibisce
chi realtà del Potere non ha colta.

'Sì la fine ogni volta
per volontà di popolo è precorsa
accordo steso a larga maggioranza
e non frena la corsa
tal volere, ma mantiene costanza.
S'andrà allora ad oltranza
oppur s'avrà l'ardire
di voltare il capo e invertir la rotta?
No: s'attende imbrunire
invece che capitanar la flotta.

lunedì 8 luglio 2013

Patto ...


Amicizie, alleanze


Uno dei fraintendimenti più frequenti dell'opinione pubblica è quello di considerare l'amicizia politica un legame affettivo tra uomini, ovverosia di considerarla così come si considera, nei normali rapporti sociali, l'amicizia ordinaria. Va pertanto chiarita la differenza tra le due, soprattutto allo scopo di non cadere in errore nel momento in cui si voglia giudicare un governante su questo argomento. 
L'amicizia politica, innanzitutto, è un legame amorale, ed anzi è la politica in genere a porsi sempre al di là, o al disopra, del bene, del male e di qualsivoglia concetto morale. L'unico scopo dell'agire politico è infatti governare in vista del vantaggio collettivo, cioè del vantaggio concreto dello Stato e di tutti - o perlomeno la stragrande maggioranza - i suoi cittadini, e ciò può implicare, a volte, il dover operare immoralmente, avendo come fine codesto vantaggio. Dal punto di vista politico, quindi, un mezzo immorale è comunque un mezzo lecito, essendo spesso non soltanto inevitabile ma bensì persino necessario al raggiungimento dello scopo. L'amicizia politica è, per l'appunto, uno di questi mezzi.
Ma più che "amicizia", termine che di fatto genera il fraintendimento, la parola che si rivela maggiormente adeguata a denominare tale legame è quella di "alleanza". L'alleanza è un'unione temporanea tra due o più individui o gruppi di individui, i quali si trovano a perseguire degli intenti comuni. La temporaneità del legame va sottolineata: un'alleanza dura solamente finché l'interesse delle parti resta il medesimo e non oltre, e questa radice utilitaristica è estranea all'amicizia, la quale si basa, invece, sul sentimento. Se ciò è vero, allora un politico che instauri un'alleanza con un personaggio reputato spregevole o disprezzabile lo farà esclusivamente per un interesse, sia esso interesse personale e privato (e in tal caso si avrà un cattivo politico) oppure impersonale e pubblico (e si avrà allora il buon politico), e in quest'ultimo caso non si dovrà, dunque, condannarlo né tantomeno averne vergogna.
Da questo tipo di collaborazione nascono, ad esempio, le coalizioni di governo tra i partiti e gli accordi commerciali tra i capi di Stato, cose essenziali alla vita di ogni società. 

Philia ...


Disquisizione sull'amicizia e sulle tipologie dei rapporti amichevoli


Che cos'è l'amicizia? Nient'altro che una tra le molteplici forme dell'amore. L'amore infatti è legame affettivo tra uomo e uomo, o tra uomo e animale, o tra uomo e attività, o tra uomo e cosa. L'amicizia rientra quindi nell'ambito della prima di queste quattro categorie.
Vi sono due modi in cui può instaurarsi un legame di tal fatta tra esseri umani: il primo è l'attrazione fisica culminante nell'amplesso sessuale, la quale si presenta tra persone di sesso opposto maschile e femminile, siano esse un uomo e una donna, o entrambe uomini, o entrambe donne; il secondo è invece l'affinità caratteriale, che di norma si mostra tra persone del medesimo sesso - ed eccezionalmente tra quelle di sesso opposto -, e il risultato è qui il rapporto amichevole e non invece la relazione amorosa in senso proprio. 
Tra le tipologie di amicizia si hanno tre possibilità: il rapporto amichevole nei confronti di una persona percepita come di valore superiore, il rapporto amichevole nei confronti di una persona percepita come di valore inferiore, e il rapporto amichevole nei confronti di una persona percepita come di pari valore (non conta il fatto che la persona in questione sia realmente superiore, inferiore o pari, bensì solamente il giudizio che, nella propria idealità, si dà di essa). 
Nell'amicizia del primo tipo si percepisce l'altro come superiore a sé in quanto si ha, di contro, una percezione di sé stessi come inferiori all'altro; un tale complesso di inferiorità è allora alla base del rapporto, che si sviluppa inevitabilmente in rapporto non-paritario. Il comportamento tipico è quello di genere emulativo, laddove si compensa la propria mancanza di sicurezza attraverso la presenza rassicurante dell'altro, del quale si seguono i passi in una cornice di dipendenza. Nell'amicizia del secondo tipo si percepisce, all'inverso, l'altro come inferiore a sé in quanto si ha una percezione di sé stessi come superiori all'altro; alla base del rapporto vi è dunque il complesso di superiorità e il rapporto è di nuovo non-paritario (i due tipi, a ben vedere, sono semplicemente i due lati opposti di uno stesso rapporto amichevole, visto prima dalla prospettiva dell'inferiore e poi da quella del superiore). Il comportamento tipico è di genere innovativo, non essendovi la necessità di emulare qualcuno, e si è inoltre in una condizione di relativa indipendenza data dal coscienza della propria forza interiore, coscienza a sua volta ricavata dalla fede che si possiede nelle proprie possibilità; eppure si ha amicizia, ovvero bisogno dell'altro, giacché mediante l'inferiore il superiore soddisfa comunque un desiderio di riconoscimento e di affermazione. Nell'amicizia del terzo tipo infine si percepisce l'altro come eguale a sé, e cioè quale persona altrettanto valida; solo in codesto caso si può parlare di amicizia autentica, essendo entrambi i termini posti su di uno stesso livello comportamentale - emulativo e innovativo assieme -, in una condizione, paritaria, di indipendenza/dipendenza reciproca. Ora il legame, seppur meno solido rispetto al precedente, risulta essere più maturo e fecondo, gravido dei frutti migliori.  

Fratellanza ...


(Forma metrica: sonetto)


Sangue contro sangue


Sangue contro sangue vien suggellato
sodalizio durevole di uomini
affini: ch'io sia per sempre legato
all'amico, che non commetta crimini

nei suoi confronti, poiché smisurato
sarebbe il mio e il suo dolore; culmini
invece la ricca unione in beato
accordo che le nostre menti illumini.

Triste è la vita di chi non ha amici
e ancor più triste quella di colui
che non è amico: invero i miei auspici

a chi mai li confiderei? Lui
è rimarginator di cicatrici
e l'amor che ci lega è causa sui. 
 

giovedì 20 giugno 2013

Paradigma ...


Destra e sinistra oggi


Dinanzi alla frequente insinuazione per cui non vi sarebbero più, oggi, né destra né sinistra in ambito politico; di fronte al crescente qualunquismo dell'opinione pubblica, la quale percepisce gli atti dello Stato come neutri, o meglio semplicemente quali volti al bene dei cittadini e della nazione oppure, al contrario, quali volti al loro male - come se non esistessero idee storiche di base su cui questi atti si fondano e istituiscono - occorre indicare quali siano, nell'era contemporanea, le posizioni di destra e quali invece quelle di sinistra in senso globale. Dichiararsi infatti di destra o di sinistra, oppure militare in un partito che si dichiari di destra o di sinistra, non è sufficiente a porre la distinzione, distinzione che in tal caso risulterebbe essere meramente nominale e non essenziale.
Si ritrovano innanzitutto i cosiddetti estremismi, che si incarnano, da un lato, nel neo-fascismo/neo-nazismo e simili, e, dall'altro, nel neo-comunismo/neo-anarchismo e formazioni analoghe. Quel che codeste formazioni possiedono in comune è il fatto di essere anti-capitaliste, laddove il capitalismo (nella sua forma rinnovata di neo-capitalismo), si mostra quale paradigma dominante della nostra epoca. Il loro vizio, anch'esso comune, è l'assenza di una visione alternativa concreta e plausibile del potere, e il loro essere perciò volti alla mera distruzione dei sistemi economico-politici esistenti, nella mancanza di una pars construens adeguata.
Di contro a ciò vi sono poi i ben più realistici, e quindi maggioritari, schieramenti moderati, cioè i gruppi, entrambi compresi all'interno del paradigma dominante suddetto, neo-liberista/monetarista e neo-keynesiano/socialista. Non è un caso che si tratti di raggruppamenti ideologici di stampo economico innanzitutto: nel nostro tempo infatti la categoria politica si è vista surclassata, in rilevanza, dalla categoria economica, e pertanto è l'economia a presentarsi come egemone e, di conseguenza, a determinare la politica, e non viceversa, come fu in un passato neanche troppo lontano.
Nella mancanza di concretezza dei primi due termini presentati (di cui il secondo risulta comunque immensamente utile nell'individuare, da una prospettiva esterna, le storture sociali altrimenti non individuabili e nel contribuire con forza al loro raddrizzamento mediante lotta di classe), la destra e la sinistra coincidono propriamente, e rispettivamente, con il movimento neo-liberista e monetarista, e con quello neo-keynesiano e socialista. Si ha poi l'eccezione nordica, ovvero la via di mezzo tra le due opposte configurazioni precedenti.
La destra neo-liberista e monetarista è la via prevalente in Nord-America, Europa e Giappone, ed ha come suoi principi la proprietà privata, lo Stato minimo, la deregulation, la sorveglianza sul debito pubblico e sull'inflazione. Ciò vuol dire: economia in mano ai privati, non-interferenza del settore pubblico, politiche di limitazione e di controllo dell'offerta di moneta. Suo vizio: una visione elitaria e ipocrita del potere.
La sinistra neo-keynesiana e socialista è la via prevalente nell'area dei B.R.I.C.S. (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ovverosia dei paesi emergenti, ed ha come principi cardine la proprietà pubblica, lo statalismo, la regolamentazione del mercato, gli investimenti produttivi. Il che significa: economia in mano allo Stato, settore pubblico dominante, politiche monetarie espansive. Suo vizio: una visione autoritaria e dispotica del potere.
Si hanno dunque due modi diversi di intendere il libero mercato e la concorrenza, i quali restano gli elementi essenziali del paradigma capitalistico, assieme all'export quale sorgente primaria di ricchezza.
L'eccezione nordica, così definita in quanto via prevalente nei paesi scandinavi: Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, si presenta infine come un socialismo liberale, laddove principi sono, da un lato, la proprietà privata e la deregolamentazione; dall'altro, lo statalismo - soprattutto per quanto riguarda il Welfare - e gli investimenti produttivi. In definitiva una mediazione virtuosa di cultura Nord-Occidentale e cultura Sud-Orientale, di destra e sinistra nelle loro espressioni migliori.

Non vi è altra via percorribile oltre queste tre, e occorre pertanto schierarsi da una parte o dall'altra.  

Costanti ...


Categorizzazione degli schieramenti politici nell'invarianza delle loro manifestazioni storiche


Storicamente, per quanto riguarda gli schieramenti politici, vi sono sempre una destra e una sinistra all'interno di ogni società umana - non soltanto in quelle società che adottano il sistema partitico - le quali poi si suddividono a loro volta ognuna in una formazione radicale e una invece moderata. La distinzione è data dalla natura delle idee animanti i movimenti in questione.
La destra radicale è reazionaria, ovvero il suo scopo è quello di ripristinare uno stato di cose precedente, andato oramai perduto. Essa è dunque essenzialmente una formazione anacronistica, e il suo perno, in quanto destra estrema, è la violenza, giacché solamente mediante violenza si può sperare di ricostituire ciò che di fatto non si dà più in quanto struttura superata dal trascorrere del tempo e dall'evolvere delle organizzazioni pubbliche.
La destra moderata è conservatrice, ovvero suo fine ultimo è il mantenimento dello stato di cose vigente. Lo strumento per la salvaguardia dell'assetto attuale, che si dà nel presente, è la riforma, intesa come svolgimento e approfondimento di ciò che già è, espansione di tale assetto in ogni angolo dell'esistente, anche laddove non sia ancora giunto a compimento, sino a che esso non pervada interamente la struttura sociale. 
Di contro a codeste formazioni ideologiche vi sono movimenti opposti e speculari, che si contendono con le precedenti il dominio dello Stato in un dato periodo e luogo.
La sinistra moderata è progressista, ovvero il suo fine è il mutamento dello stato di cose vigente, essendo tale mutamento inteso come scardinamento e miglioramento della struttura sociale. Anche qui si ha la riforma quale strumento privilegiato d'azione, in vista però di un superamento di ciò che si dà nel presente, in una prospettiva innovativa e sperimentale, ricercante il nuovo (a costo di affrontare un rischio di peggioramento e di fallimento) e volta dunque al futuro. 
La sinistra radicale è rivoluzionaria, ovvero suo scopo dichiarato è abbattere la forma vigente per poi riedificare dalle fondamenta una forma altra che si presuppone ottima e pertanto preferibile rispetto alla precedente, concepita all'inverso come pessima. Qui pure la violenza risulta necessaria: preliminare alla creazione è infatti la distruzione. Una tale visione è, per essenza, utopica, in quanto muove verso qualcosa che, in determinate condizioni, ancora non si è mai dato, se non nell'immaginazione del rivoluzionario. 
Assieme a queste formazioni possono inoltre presentarsi schieramenti che si definiscono di centro, ma che in realtà risultano essere indissolubilmente legati all'una o all'altra fazione. 
Non importa, infine, chi sia, alternativamente, a dominare le istituzioni: sia le formazioni di destra, sia quelle di sinistra, mediante le idee di cui sono portatrici - le quali si declinano in un modo o nell'altro a seconda dell'epoca di riferimento e delle configurazioni politiche in essa sussistenti - influenzano inevitabilmente la cultura in cui si trovano ad agire, seminando germi di sé nel tessuto sociale, pronti a germogliare quando se ne diano le condizioni. 
  

Fazioni ...


(Forma metrica: verso di quindici sillabe)


La Regola mediatrice


Ottimati e Popolari si fronteggiano ostili
e incolmabile è in verità la lontananza loro;
simili a particelle d'opposta carica, mai
s'uniscono, se non sottoposti a forza maggiore.
Necessità è delle idee la disuguaglianza estrema
la Politica ne vive, e tale è la sua legge:
che v'è una Destra e una Sinistra in ogni società
e nient'altro che la scissura è fondamento certo
dello Stato e del suo procedere spedito. Dico:
 da un lato e dall'altro si mostran valori, intrisi
di senso, e come pendolo oscilla ciò ch'è stabile
tracciati irregolari eternamente disegnando
inquieto, a generar la Regola mediatrice.

sabato 11 maggio 2013

Bruttezza ...


Politiche infrastrutturali e imbruttimento dei paesaggi


Le scellerate politiche infrastrutturali delle nazioni del mondo hanno come risultato il deturpamento della bellezza del paesaggio. Laddove la natura viene sostituita dall'artificio umano si ha, infatti, in pari tempo un imbruttimento, ovverosia una perdita di grazia, armonia e perfezione; tutto ciò che vien fuori dalla mano dell'uomo è sgraziato, disarmonico, imperfetto se non ha come suo modello ciò che vien fuori dalla mano di Dio. I terreni, dunque, vengono cementificati, il cieli e le acque oscurati dai fumi e dai liquami dell'inquinamento, gli alberi sono abbattuti e sostituiti da immensi quanto sgradevoli palazzi, nonché da tetri edifici in metallo, le luci delle stelle sono soppiantate dalle luci dei lampioni, e con la scomparsa del verde dei campi si fa avanti il grigio delle città. Tutto ciò non può che avere un risultato soltanto: la perdita del piacere della percezione. 
Tutto ciò che prima procurava alla vista - ma anche agli altri sensi, odori, sapori e suoni naturali - diletto ora è del tutto scomparso o sta gradualmente scomparendo, e addirittura, nell'abitudine a vivere in un ambiente spiacevole, si è disimparato a riconoscere il bello. Inoltre, se quel diletto aveva come risultato il far sorgere nell'animo serenità e letizia, ora al contrario la presenza del brutto fa sorgere nient'altro che irrequietudine e malinconia (e anche questo, checché se ne dica, contribuisce alla felicità o infelicità di una persona). Pertanto, occorre invertire la rotta se non si vuole giungere a morire prima ancora di arrivare alla fine dei propri giorni: la bellezza paesaggistica è infatti nient'altro che vitalità, in quanto la natura si mostra viva allo sguardo, e una tale vitalità si trasmette agli uomini che in essa e al fianco di essa trascorrono la propria esistenza.
Ciò significa, ad esempio, lasciare ampi spazi naturali all'interno delle città (giardini, parchi, eccetera), costruire fabbricati che siano meno invadenti, usare materiali non inquinanti e, in generale, prendersi cura del mondo in cui si vive, facendo in modo che sia la natura a prevalere e non invece l'artificio umano. E in ultimo, che proliferino i monumenti, giacché essi soltanto, creazioni dello spirito aventi come fine, appunto, la bellezza, riproducono il bello e lo offrono agli occhi degli uomini.
  

Estetica ...


Dissertazione sul concetto di bellezza


Definisco la bellezza una sensazione di piacere associata a un oggetto percepito delineantesi come sua matrice: più precisamente, si dice bella qualunque cosa colpisca in positivo la nostra percezione allietando il corpo e la mente, quale che sia la causa o il motivo per cui ciò si verifica. Il piacere esperito può essere quindi di tipo fisico e sensuale - si dia il caso di gesti singoli come una carezza, un abbraccio, un bacio, e dell'orgasmo considerato in sé -, di tipo psichico e spirituale - ad esempio nel caso della contemplazione di un bel dipinto, di una bella statua, di un bell'edificio -, oppure tutte e due le cose assieme - è il caso, principalmente, dell'amplesso considerato in genere, quale unione con la persona amata e non con una persona qualsiasi. Da questa definizione si deduce il carattere soggettivo della bellezza, ovvero il suo presentarsi o non presentarsi relativamente all'oggetto percepito e soprattutto al gusto della persona percipiente. 
Eppure può essere individuata una bellezza di stampo oggettivo, dunque assoluta, cioè una bellezza che si presenta sempre e comunque come tale indipendentemente dai fattori suddetti: sto parlando di quella bellezza che ha come origine la Natura e non invece l'artificio, a meno che non sia un artificio imitante la Natura. Tra le cose che hanno potenzialità di far sorgere il piacere vi sono infatti cose naturali, prodottesi spontaneamente, e cose artificiali, che sono opera dell'uomo (vi sarebbero, in effetti, anche cose intermedie, prodotte spontaneamente ma per opera degli animali, i quali partecipano non soltanto dell'istinto inconsapevole e inintenzionale, ossia in definitiva della Natura, ma anche di una certa misura di intenzionalità cosciente e di ragione, che costituisce la base dell'artificio). Ebbene, si può dire che l'ambito umano sia l'ambito della soggettività e della relatività, mentre l'ambito naturale sia quello in cui emergono l'oggettività e l'assolutezza; lo dimostra il fatto che chiunque si trovi dinanzi a un paesaggio, sia esso marino o montano, desertico o innevato, o altro ancora, e similmente chiunque si trovi dinanzi a un elemento, terra, acqua, aria, fuoco o fulmine, e così via dicendo, non può che essere preso da piacevole incanto. 
La Natura insomma affascina tutti gli uomini e perciò è bella essenzialmente, e ciò significa inoltre che l'uomo può creare qualcosa di bello solamente facendo ricorso alla propria naturalità interiore, alle proprie pulsioni e ai propri desideri più autentici, all'ispirazione e all'intuizione, oppure avendo il mondo naturale come paradigma e modello di riferimento della propria attività creatrice.

Eidos ...


(Forma metrica: senario sciolto)


Bellezza raggiante


Piacere mi dai
e gioia leggera
quando in una opera
di mano mortale
o immortale, sorgi
per gli occhi degli uomini
che sanno vederti;
non per quelli ciechi
gli iridi incolori
né per menti stanche
cui la pura idea
incessante sfugge;
eppure ti mostri
ovunque, divino
sigillo, impresso
sulle cose autentiche
a rammentar noi
che sia verità. 
Bellezza raggiante
astro luminoso
luce al nostro animo
smarrito concedi
più che mai benigna
come Sole, aureo
celeste regalo:
ora io ti prego
non porre mai fine
al tuo dare, 'ché
il vivo non venga
infine a morire
di disperazione
e di inedia orribile;
'ché amara bruttezza
non pervada il mondo
così tramutandolo
in sudicio avanzo
e turpe immondizia.

domenica 7 aprile 2013

Terrore ...


Terrorismo e conflitti del nostro tempo


L'antagonismo tra Occidente e Medio Oriente ha come prodotto principale quella forma estrema di azione che è il terrorismo islamico. Nato come reazione locale, di stampo prettamente nazionalistico, all'invasione sovietica dell'Afghanistan, il fenomeno delle organizzazioni terroristiche, in principio appoggiate e sostenute dallo stesso Occidente in funzione, appunto, anti-sovietica - era infatti in atto la cosiddetta guerra fredda tra le due super-potenze U.S.A. e U.R.S.S. - si è sempre più ampliato fino ad assumere carattere internazionale. Il culmine di questo processo furono gli attentati terroristici che investirono le Torri Gemelle di New York e il Pentagono nel 2001, i quali delinearono definitivamente il terrorismo come lotta globale. Con la caduta della Russia comunista dunque non sono cessate le operazioni dei gruppi fondamentalisti: perché questo? La risposta è sotto agli occhi di ognuno: non sono mai cessate le politiche neo-colonialiste miranti al dominio dei territori tra Europa e Asia, bensì semplicemente si è avuto una sorta di passaggio di consegne in favore della NATO, che trovò, a un certo momento, spianata la strada agli interventi militari nella regione, frutto di evidenti interessi economici e strategici (sebbene mascherati da libertarismo e umanitarismo). La prima guerra del Golfo, che fu anche in assoluto la prima guerra mediatica, si pone come evento paradigmatico in tal senso.
Il terrorismo è dunque essenzialmente un movimento radicale di resistenza, un movimento partigiano macchiato di odio nei confronti dei paesi occidentali e filo-occidentali colpevoli, con le loro continue e deleterie ingerenze, di tenere un atteggiamento invadente e oppressivo nei confronti delle popolazioni musulmane; pertanto, un movimento politico innanzitutto e solo in secondo luogo un movimento religioso. L'esperienza e la storia mostrano come l'influenza straniera in quei luoghi non abbia fatto altro che portare guerra, disordine e povertà impedendo qualsiasi tentativo di sviluppo; è qui e non altrove che il fondamentalismo islamico ha la sua matrice. Occorre quindi invertire il consueto rapporto di causa ed effetto nella percezione che ordinariamente abbiamo del problema: non è il fondamentalismo a sorgere dal nulla e a costringere l'Occidente ad agire contro di esso con violenza, quanto piuttosto l'azione violenta e illegittima dell'Occidente a generare e nutrire il fondamentalismo, nonché a giustificarlo nella sua azione distruttiva. Solo nel momento in cui gli Stati cristiani (e, non si dimentichi, lo Stato ebraico, con la sua politica di aggressione ai danni dei palestinesi) si pongono di fatto come nemici dell'Islam, agendo come tali, gli islamici cominciano a considerarli "infedeli"; solo nel momento in cui quelli iniziano a inneggiare alla guerra giusta, ponendo in atto le loro "missioni di pace", questi in risposta, e a difesa della propria integrità di popolo - non a caso un altro termine che li definisce è quello di integralisti - proclamano la guerra santa. Se ciò è vero allora l'unica soluzione al terrorismo non può che essere la totale e immediata cessazione di ogni ostilità verso i paesi musulmani, e la fine dell'intromissione straniera all'interno delle loro questioni, dimodoché le tendenze estremiste in breve tempo finirebbero per perdere interamente il consenso che ora possiedono, in quanto il fondamentalismo non avrebbe più alcun motivo per sussistere.

Spontaneità ...


Significato dell'agire e del non-agire


Vi è l'agire e vi è il non-agire. Agire è compiere un atto, ma non-agire non è restare inattivi.  
Nel momento in cui l'uomo agisce, egli non fa che irrompere all'interno di una situazione che prima non lo riguardava essendo a lui esterna, o lo riguardava solo passivamente, e così modificarla e piegarla al proprio volere: si ha qui una forzatura del tessuto mondano ed esistenziale, e perciò tale operare si mostra come un operare artificioso, propriamente d'opposizione rispetto agli enti e agli esseri. 
Colui che invece non-agisce non si rinchiude nell'immobilità: non-agire è in definitiva un agire senza agire, un influire sulle situazioni senza però a esse fare violenza, un evitare di volgere gli avvenimenti a proprio favore in maniera coatta. L'uomo che agisce senza agire accompagna le circostanze nel loro cammino e non per questo rimane inerte, giacché egli si muove seguendo il corso naturale delle cose, perfettamente inserito nel proprio contesto di vita.
La pratica del non-agire è un abbandonarsi, un lasciarsi andare pienamente al flusso degli eventi. Questo sciogliersi e fluidificarsi, questo sradicarsi e allentare le redini presuppongono una completa accettazione di ciò che è così come esso è, e quindi un'affermazione radicale di tutto quel che accade. Codesto atteggiamento non è adottato solamente nei confronti del mondo fuoristante, bensì anche e soprattutto nei confronti del mondo interiore: non-agire significa agire esclusivamente in conformità alla propria natura, ovvero agire spontaneamente, e solo in tal caso l'azione risulterà essere tanto leggera, tanto lieve da sembrare che nessuna azione sia stata in realtà compiuta. Non-agire è pertanto agire con naturalezza, e al contempo agire in accordo agli enti e agli esseri e al loro andamento. 

Si può allora affermare che l'agire è il comportamento proprio di chi lotta contro sé stesso e di chi lotta contro il mondo, e il non-agire, viceversa, il comportamento proprio di chi è in pace con sé stesso e con il mondo; il primo si presenta pertanto come la vocazione degli infelici, mentre il secondo, piuttosto, come il destino dei felici. 
 

Abbandono ...


(Forma metrica: ode anacreontica)


Wu wei


La pietra trasportata
dal fluire dell'acque
fiumane, allor giacque
immobile quel dì

quando morta la vidi;
ed ora corre invece
'ché viva essa si fece
cadendo giù di lì.

Era infatti sui monti
ma giunta è ormai alla foce
del mare, 'sì veloce
la meta conseguì!

In egual modo l'uomo
agir può non agendo
 sincero proferendo
all'Essere il suo sì.


venerdì 8 marzo 2013

Zeitgeist ...


Struttura e origini psicologiche dei cospirazionismi


La politica è un'attività razionale, che pertanto va pensata come tale, pena il suo totale fraintendimento; eppure la nostra epoca vede imporsi in maniera preoccupante la fantasia sopra alla ragione nel modo di pensare politico comune. Effetto di un tale prevalere è la proliferazione delle più varie e illogiche teorie complottistiche tra le moltitudini, teorie il cui luogo di nascita e diffusione sta nella rete, la quale ben si presta, in quanto luogo libero, a ospitare notizie di siffatto genere, prive di fonti o aventi fonti inattendibili. Dalle assurde ricostruzioni alternative dei fatti riguardo a eventi capitali del nostro tempo come l'attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York dell'11 settembre 2001, alle bizzarre elucubrazioni sul signoraggio bancario e il funzionamento dell'economia mondiale; dalle presunte scie chimiche che costellerebbero i cieli al fantomatico progetto H.A.A.R.P. di marca statunitense; dai chip sottocutanei al sionismo mondiale, fino alle improbabili ipotesi su UFO e forme di vita aliene, lo schema permane sempre identico: partendo da elementi reali si afferma una tesi che è palesemente frutto di invenzione, in quanto inverosimile e priva di riscontri oggettivi; dopodiché la si "dimostra" attraverso argomentazioni pseudo-scientifiche, nonché attraverso testimonianze, foto e video intenzionalmente contraffatti per far destare un certo tipo di impressioni nei fruitori e persuadere le loro coscienze a prestar fede a determinate idee; infine codesta informazione falsificata viene venduta o divulgata gratuitamente, oppure divulgata gratuitamente per poi essere venduta. Dal punto di vista dei contenuti si hanno invece, da un lato, uno o più nemici, crudeli burattinai concentranti nelle proprie mani il potere e le sorti del mondo, dall'altro, gli uomini-burattini inconsapevolmente oppressi da quel potere; da un lato la verità tenuta segreta a scopi meschini di dominio e ricchezza, dall'altro la menzogna e l'illusione in cui le masse sarebbero mantenute in funzione del controllo che deve essere su di loro esercitato dall'alto. Il bene e il male dunque, nettamente distinti e definiti, come nelle più classiche narrazioni infantili. 
Superfluo è sottolineare la superficialità e banalità di cotali interpretazioni, la stupidità e la malafede che si nascondono dietro di esse, gli effetti nocivi e diseducativi della visione del mondo che propugnano con forza. Più utile è mostrare il perché tutte queste teorie del complotto vengano così facilmente credute, acriticamente accolte nonostante la loro evidente infondatezza. Al di là delle sempre presenti motivazioni economiche scovabili dietro alla loro nascita, si celano ben più forti motivazioni di carattere psicologico che ne chiariscono anche la diffusione: ogni uomo ama fantasticare di altre realtà per dar sfogo ai propri desideri, che si delineano in questo caso come desideri di conoscenza di contro a una condizione di ignoranza, e come desideri di sicurezza a fronte di un'esistenza precaria e incerta; da qui alla fiducia accordata a visioni che promettono di colmare codeste lacune il passo è breve. I complottismi infatti spiegano con semplicità alcuni fenomeni complessi del mondo e così donano agli uomini una sorta di strumento di difesa contro le vicissitudini del caso (seppure poi quelle spiegazioni si rivelano false e quegli strumenti fittizi). Vi è anche una indubbia componente d'odio nei confronti dei governanti, ai quali sono attribuite le colpe della propria infelicità e insoddisfazione, e della propria miseria e povertà, ma più in generale si può individuare alla base un desiderio narcisistico di potenza, che finisce per riempire l'animo di vanità: il complottista è convinto di aver svelato un inganno, e da quel momento si percepisce come un privilegiato rispetto agli altri suoi simili, uno dei pochi uomini svegli in un mondo popolato di dormienti. Questa presunzione offre in definitiva un piacevole appagamento, che deriva dalla certezza immaginaria di essere fuoriusciti, per mezzo della propria intelligenza, da uno stato di impotenza e di minorità.      

Visione ...


Diversificazione delle facoltà di immaginazione e fantasia


Corre una sostanziale differenza tra le facoltà umane dell'immaginazione e della fantasia, spesso confuse in un'unica e medesima facoltà. 
L'immaginazione è la capacità che la mente ha di partorire immagini, ossia rappresentazioni di oggetti e scene virtuali, sulla base delle impressioni sensibili di oggetti e scene reali ritenuti nella memoria; non si ha, in questo processo, una mera imitazione di ciò che è, quanto piuttosto una vera e propria riproduzione dell'essere, e inoltre un'attività creativa in grado di generare nuove e alternative realtà (si tratta chiaramente di realtà soggettive, che da un punto di vista oggettivo si mostrano invece come irreali). Prodotti tipici dell'immaginare sono i cosiddetti "sogni ad occhi aperti" e, a un grado più alto, le produzioni spirituali dell'Arte. 
A partire da codesta capacità mentale sorge una seconda facoltà, cioè la fantasia. La fantasia è un derivato dell'immaginazione, un'immaginazione di gran lunga più radicale, portata alle estreme conseguenze. Gli oggetti e le scene prodotti da quella avevano infatti ancora il carattere della verosimiglianza, carattere dato dal fatto che i materiali usati per la composizione delle immagini si presentavano pur sempre come cose reali, aventi un'esistenza fisica e percepibile; ora invece la fantasia si libera di ogni legame con la realtà fisica e con la percezione sensibile, producendo oggetti e scene del tutto irreali e soprattutto inverosimili, oggetti e scene che non esistono né possono esistere in alcun modo. Si è nell'ambito della virtualità pura, laddove i materiali usati e combinati assieme sono non più le cose, bensì le immagini stesse che provengono dalle cose, a un livello dunque più elevato del precedente. I prodotti tipici del fantasticare risultano qui essere i sogni notturni e le produzioni spirituali della Religione, la quale appunto procede da quella forma d'Arte assoluta che è il mito. 
Pertanto, immaginazione e fantasia esprimono il falso, che sia un falso mascherato da vero oppure un falso palese. Qual è allora la funzione e il senso di queste due attività, e per quale motivo da esse l'umanità trae godimento? La risposta sta nella natura più profonda dell'uomo. Da quando nasce sino a quando muore l'essere umano mira a una cosa soltanto, e tutte le sue facoltà concorrono, ciascuna nel modo che più gli è proprio, ad assecondare tale mira: appagare il desiderio. L'atto immaginativo e l'atto fantasticativo non sono altro che soddisfacimenti diretti del desiderio in genere, qualsiasi forma esso si trovi ad assumere, e precisamente l'atto immaginativo non fa che donare appagamento ai desideri più superficiali, limitati e terreni, mentre l'atto fantasticativo appaga quelli più profondi, illimitati e ultraterreni.

Virtualità ...


(Forma metrica: ottava rima)


Potenza della fantasia (l'Idolo e il Simbolo)


Non ascoltare, uomo, la ragione
che cieca analizza e divide e calcola
e pallida fruttando arida azione
a smacchi e ferite incessante pungola;
piuttosto udienza all'immaginazione
concedi e fa' di te stabile isola
su di un oceano sordido e irrequieto:
che sia lindo paradiso, e lieto.

Poi giungi oltre: forme miracolose
t'attendono al varco lontano, strane
come invenzioni geniali e ingegnose
figure satolle di forza immane
in grado di destar lotte animose;
infatti dal grembo d'esse, mai vane
non può che sorgere ricco pensiero
che ora ghermisce giocondo il mistero

di messaggi sacri, e annunciazioni
con indosso vesti d'idolo o simbolo
a edificar fantastiche visioni
e dividere o unire in ricettacolo
l'umanità tutta; le sue tensioni
in cotale variopinto spettacolo
acuite saranno oppure sanate
dal volere delle anime iniziate.

venerdì 15 febbraio 2013

Deriva ...


Progetto politico su diritto allo studio, diritto al lavoro e speculazione finanziaria


Il diritto allo studio e il diritto al lavoro sono le più grandi conquiste giuridiche della nostra epoca. Assicurare lo studio e il lavoro significa far sì che lo Stato garantisca per legge la loro possibilità, non semplicemente come libertà di, bensì inoltre come dovere di. A ogni diritto infatti corrispondono parimenti una libertà e un dovere del medesimo tipo: la libertà di svolgere determinate attività della mente e della mano in funzione della realizzazione dei propri desideri, la libertà di scegliere tra varie opzioni possibili riguardo a come indirizzare la propria vita a piacimento, non può che essere controbilanciata da un dovere o obbligo di impegnarsi in codeste attività teoretiche e pratiche per il bene della collettività, entro limiti stabiliti; così soltanto possono coniugarsi l'interesse individuale e quello generale. Ciò vuol dire allora che l'analfabetismo e la disoccupazione risultano essere, oltre che piaghe sociali, fenomeni illegali e anticostituzionali, da sopprimere in quanto tali attraverso una politica adeguata (se si crede che questo sia impossibile totalmente in una società dalla popolazione numerosa, si convenga però sul fatto che è certamente possibile in misura quasi totale, e numerosi Stati del mondo stanno lì a dimostrarlo. Portare la percentuale di analfabetizzazione vicino allo 0% e quella di disoccupazione vicino all'1 o al 2% dovrebbe essere, beninteso, l'obiettivo di qualsiasi governo).
Posto ciò, occorre altresì operare una distinzione tra due categorie di attività: da un lato l'attività che ha come fine il mero profitto personale, senza riguardo alle esigenze del corpo sociale o addirittura ponendosi in contrasto con esse; dall'altro l'attività che ha come fine proprio l'utilità sociale, e che fa della garanzia di un sostentamento economico il mezzo per raggiungere tale fine. Il senso della pratica lavorativa si incarna evidentemente in quest'ultima categoria, giacché è logico che non è possibile umanità né civiltà alcuna senza uno Stato che doni ad ognuno i beni e i servizi essenziali all'esistenza associata, sopperendo ai bisogni fondamentali. Secondo quest'ottica tutti quegli insegnamenti e mestieri che non fossero in qualche modo, dunque direttamente o indirettamente, portatori di un vantaggio, non necessariamente economico e materiale, ma anche culturale e spirituale, dovrebbero essere proibiti e impediti. Eppure accade che, nel contesto occidentale e non solo, vi siano mestieri, e relativi insegnamenti, legati a una pratica che nel migliore dei casi si delinea come a-sociale, cioè socialmente indifferente, e nel peggiore dei casi come anti-sociale, cioè socialmente deleteria: questa pratica è la speculazione finanziaria - sia essa speculazione al rialzo oppure al ribasso, al coperto oppure allo scoperto - la quale domina in lungo e in largo le economie capitalistiche odierne più che quelle passate. Non si contano le bolle speculative, le perdite di capitali, le sottrazioni di ricchezza causate dall'esercizio di codesta attività manifestantesi, pare, esclusivamente in forme nocive per la collettività, a vantaggio di pochi individui e raggruppamenti di individui. Minando la comunità in quella che è la sue base (la collaborazione degli uomini in vista di un bene maggiore) e minacciando la stabilità finanziaria degli Stati, la pratica della speculazione va innanzitutto regolamentata in modo da risolverne le incongruenze più eclatanti e arginarne le conseguenze più estreme - ad esempio per quanto concerne il mercato degli strumenti derivati - e infine abolita del tutto in un processo che sia graduale ma nondimeno inesorabile.

Faber ...


Considerazioni filosofiche attorno al lavoro in genere


Il lavoro è la realizzazione delle possibilità dell'uomo, potenza umana estrinsecantesi in atto. Ogni uomo infatti è per natura e da Natura dotato di energia intrinseca che si manifesta all'esterno come forza, e precisamente come forza appropriatrice e creatrice, ovvero assorbimento di qualcosa e produzione - nonché riproduzione - di qualcosa mediante una determinata attività. 
Vi sono esclusivamente due forme del lavoro: il lavoro astratto e il lavoro concreto, il primo di norma denominato "studio" e il secondo solitamente chiamato "lavoro" in senso stretto. Il lavoro astratto si delinea come un lavoro di appropriazione innanzitutto, quindi di creazione di oggetti virtuali: i suoi prodotti sono prodotti puramente spirituali e interiori; il lavoro concreto si delinea invece fondamentalmente come un lavoro di creazione, quindi di appropriazione di nozioni e conoscenze specifiche (sebbene questo stadio spesso, ma non sempre, preceda l'altro): i suoi prodotti possiedono in tutti i casi una materialità tangibile. Le forme infantili dell'astrazione e della concrezione si possono individuare rispettivamente nelle attività dell'osservazione e del gioco, le quali si presentano pertanto come propedeutici allo studio e al lavoro adulti.
Nel lavoro in senso pieno si incarnano il piacere e il dovere; ciò introduce un'ulteriore classificazione, che si sovrappone alla precedente, in lavoro libero e lavoro coatto. Il lavoro libero è quello in cui si esprime la propria volontà, e cioè quel lavoro che deriva da una scelta intenzionale. Il lavoro coatto è al contrario un lavoro che si oppone a quello che è il proprio volere, cioè un lavoro che è svolto a seguito di una costrizione esteriore, sia essa una volontà altrui oppure una necessità circostanziale. Come risulta evidente, solamente il lavoro libero si accompagna a una sensazione di piacere, mentre invece il lavoro coatto, essendo esercitato in virtù di un obbligo morale, legale o di altro tipo, è frutto di dovere. Il dovere è l'elemento caratterizzante di qualsiasi attività lavorativa, ma non sempre l'attività lavorativa si lega al piacere (nell'osservazione e nel gioco il dovere non ha alcun ruolo, e proprio perciò codeste due attività non possono ancora essere considerate come studio e come lavoro): vi è piacere nel momento in cui il lavoro corrisponde alla volontà, e dunque la volontà al dovere; in tal caso dovere e piacere divengono uno, in quello che può esser detto un dovere piacevole o un piacere dovuto.
La gran parte dell'esistenza umana si mostra in definitiva come attività, opposta alla passività del sonno e della morte: vita e lavoro coincidono allora quasi interamente, e non a caso l'inattività genera nell'animo gli affetti della noia e della tristezza. Il lavoro umano è lavoro vivo. Di conseguenza una vita felice non può che presupporre il lavoro; un lavoro che sia non semplicemente un fare appropriativo e creativo, ma anche e soprattutto un fare ricreativo e appagante, ossia un fare che avveri la virtualità dei desideri e lasci emergere da sé il piacere. 

Vocazione ...


(Forma metrica: lushi)


Pensando al lavoro


Ara il contadino il suo campo di terra
e di esso ora raccoglie i frutti squisiti;
getta le reti il pescatore ansioso d'afferrare
i pesci grandi e minuti del mare smisurato;
là sopra i monti il pastore alleva le greggi
e il cacciatore uccide selvaggina nella foresta a valle:
ognuno è vincolato al proprio dovere
da lacci invisibili stretti a provocare piaghe.

Munito di accetta abbatte gli alberi il falegname
pronto a fabbricare mobili raffinati e signorili;
il medico in camice visita l'un dopo l'altro i pazienti
in apprensione nella sala d'attesa, egli li attende severo;
il libraio maneggia opere d'antica mano
e le ripone su scaffali polverosi, intrise di spirito;
così tutti quanti gli uomini, poveri o ricchi
esercitano il bel mestiere a cui sono destinati.

Al principio la mente e la mano, e una volontà vigorosa
mescolano l'anima e il corpo, il sacro e il profano:
è l'Amore a operare e a dare la vita
il Cielo a partorire Amore dalle proprie viscere.
Orsù, insieme festeggiamo l'avvento del lavoro
e benediciamo l'atto sublime mentre lo attuiamo;
ma brinda al piacere il saggio, e alla libera scelta
non brinda alle catene che imprigionano la Natura.

giovedì 3 gennaio 2013

Medium ...


Potere mediatico e inganno di massa


I mezzi di comunicazione - e quindi anche di educazione - di massa, o media, si rivelano strumenti di Potere quando falsificano la verità dei fatti tramutandola in menzogna. Ciò avviene soprattutto nel caso delle principali fonti di informazione popolari occidentali quali la televisione e i giornali (la rete infatti, pur con le sue potenzialità di luogo libero e gratuito accessibile a chiunque, non è usata, se non in una minoranza di casi, in codesto senso informativo, ed anche quando sia usata non lo è, perlopiù, con le dovute precauzioni), attraverso una propaganda serrata che mira ad instillare nelle coscienze degli individui determinate idee e giudizi, sostenuti da immagini e video mostranti una realtà appositamente plasmata e mistificata, in modo da procurare tra le moltitudini il più vasto consenso possibile alle decisioni e azioni del Potere. Occorre analizzare i modi di questa falsificazione.
Va detto innanzitutto che il Potere, e con tale termine si intende coloro che incarnano la possibilità di decisione e azione, ovverosia l'insieme dei potenti, possiede sempre un nemico che contrasta i suoi piani, che ostacola i suoi progetti, che si oppone volontariamente o meno ai suoi desideri; è proprio contro il nemico, interno od esterno, che egli indirizza, dall'alto, il suo operare. Ma per farlo, nell'epoca dell'opinione pubblica e della democrazia, ha bisogno di sostegno dal basso, cosicché sia legittimato nei principi e giustificato negli esiti, e pertanto mediante il controllo diretto o indiretto, forzoso o ideologico dei mezzi di comunicazione edifica una elaborata macchina sociale, con la quale impone la propria influenza sulle menti e sui corpi degli uomini: il primo passo è allora l'identificazione del nemico.
In secondo luogo quello che è il nemico del Potere deve tramutarsi in nemico dei cittadini, e quindi in minaccia vicina e concreta per loro. Per far sorgere una minaccia del genere si pongono in causa gli idoli culturali che risultano essere più sentiti, vista la loro importanza, negli animi dei singoli; è paradigmatico, ad esempio, il caso della libertà, laddove il nemico viene accusato di sopprimere o di voler sopprimere le libertà fondamentali, oppure il caso dell'umanità, laddove invece egli viene accusato di perpetrare stragi, delitti sanguinari e crudeltà insensate: il nemico interno diviene quindi un criminale e un delinquente, il nemico esterno un dittatore e un terrorista. Questo è lo stadio della demonizzazione del nemico. 
Nel momento in cui la minaccia è divenuta vicina e concreta, al Potere non resta altro da fare che vestirsi dell'abito di eroe e salvatore degli idoli minacciati. L'azione contro il nemico diviene una faccenda umanitaria, un dovere morale e civile assieme, un obbligo richiesto a gran voce dalla maggioranza. Gli scopi appaiono come i più nobili ed altruistici e, quand'anche l'egoismo di fondo emerga, la necessità dell'intervento vince sul buon senso e su qualsiasi altra considerazione. Si ha finalmente il via libera alla lotta poliziesca contro la criminalità organizzata e la delinquenza comune, e alla lotta militare contro la dittatura e il terrorismo; alla repressione e alla guerra giusta, rispettivamente in vista dell'ordine e dell'esportazione della democrazia; alla restaurazione della legalità nazionale e internazionale. L'operazione contro il nemico viene messa in atto.
A questo punto al Potere interessa sostenere la propria maschera per un periodo che sia il più lungo possibile. Il secondo stadio del processo viene reiterato nel tempo per rinnovare il consenso e mantenerlo su livelli accettabili, così da non rischiare di dover interrompere le operazioni prima del raggiungimento dei fini prefissati. La ripetizione dell'illusione mediatica conclude la strategia.
Una volta compiuta la strategia non si ha più motivo di conservare la menzogna agli occhi delle masse, e così la verità si erige lentamente verso la superficie, facendosi sempre più chiara. La consapevolezza di esser stati manipolati non sempre viene alla luce e non sempre è accettata; ha comunque una durata molto breve: si prova infatti, in questo caso, un senso di irritazione e di impotenza che svanisce in un lasso di tempo più o meno limitato, quasi che si voglia, il più in fretta possibile, cancellare dalla memoria l'accaduto in un meccanismo psichico di autodifesa. Il Potere non fa che incoraggiare tale andamento, eliminando ogni residuo e riferimento mediatici all'evento in questione, sostituendo questi residui e riferimenti con differenti argomenti e tematiche, e tenendo occupati i cervelli nell'elaborazione di problematiche altre. Il risultato è qui l'oblio del passato recente, dimodoché le moltitudini divengono nuovamente pronte ad essere ingannate.