domenica 7 aprile 2013

Spontaneità ...


Significato dell'agire e del non-agire


Vi è l'agire e vi è il non-agire. Agire è compiere un atto, ma non-agire non è restare inattivi.  
Nel momento in cui l'uomo agisce, egli non fa che irrompere all'interno di una situazione che prima non lo riguardava essendo a lui esterna, o lo riguardava solo passivamente, e così modificarla e piegarla al proprio volere: si ha qui una forzatura del tessuto mondano ed esistenziale, e perciò tale operare si mostra come un operare artificioso, propriamente d'opposizione rispetto agli enti e agli esseri. 
Colui che invece non-agisce non si rinchiude nell'immobilità: non-agire è in definitiva un agire senza agire, un influire sulle situazioni senza però a esse fare violenza, un evitare di volgere gli avvenimenti a proprio favore in maniera coatta. L'uomo che agisce senza agire accompagna le circostanze nel loro cammino e non per questo rimane inerte, giacché egli si muove seguendo il corso naturale delle cose, perfettamente inserito nel proprio contesto di vita.
La pratica del non-agire è un abbandonarsi, un lasciarsi andare pienamente al flusso degli eventi. Questo sciogliersi e fluidificarsi, questo sradicarsi e allentare le redini presuppongono una completa accettazione di ciò che è così come esso è, e quindi un'affermazione radicale di tutto quel che accade. Codesto atteggiamento non è adottato solamente nei confronti del mondo fuoristante, bensì anche e soprattutto nei confronti del mondo interiore: non-agire significa agire esclusivamente in conformità alla propria natura, ovvero agire spontaneamente, e solo in tal caso l'azione risulterà essere tanto leggera, tanto lieve da sembrare che nessuna azione sia stata in realtà compiuta. Non-agire è pertanto agire con naturalezza, e al contempo agire in accordo agli enti e agli esseri e al loro andamento. 

Si può allora affermare che l'agire è il comportamento proprio di chi lotta contro sé stesso e di chi lotta contro il mondo, e il non-agire, viceversa, il comportamento proprio di chi è in pace con sé stesso e con il mondo; il primo si presenta pertanto come la vocazione degli infelici, mentre il secondo, piuttosto, come il destino dei felici.