sabato 19 maggio 2012

Fallacia ...


Riduzioni moderne del concetto di libertà e suo significato reale


La libertà è dai moderni intesa in un duplice senso: da un lato come libero arbitrio (retaggio del Cristianesimo), dall'altro come indipendenza (retaggio del Capitalismo). 
Il libero arbitrio è la libertà di scelta, la possibilità di decidere liberamente delle proprie azioni. Potendo il soggetto indirizzarsi ugualmente verso una direzione o verso un'altra, di fronte a un orizzonte di opzioni egli preferirà l'una o l'altra a seconda di ciò che ritiene essere buono e giusto; a seconda di quel che, nel suo giudizio, risulterà essere migliore e più conveniente per sé stesso o per gli altri, o insieme per sé stesso e per gli altri. Ciò significa che ogni individuo, agendo, si addossa non soltanto la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze, ma anche la colpa di eventuali mali compiuti direttamente o indirettamente, volontariamente o meno. 
L'indipendenza è libertà di pensare, esprimersi e agire senza interferenze esterne, senza dover rendere conto ad alcuno dei propri pensieri, delle proprie espressioni, delle proprie azioni; libertà di vivere l'esistenza secondo la propria volontà e non secondo la volontà di un altro. Questo "altro" che può impedire noi di essere ciò che vogliamo è un "potere", una forza esterna capace di surclassare la nostra propria forza individuale: tale potere non può che essere il potere dello Stato. Ciò significa che ogni uomo deve, per realizzare sé stesso, poter vivere a proprio piacimento, fuoriuscendo dalle maglie di quell'autorità sovrana che può volgerne l'esistenza singola a suo favore. 
L'essere umano, si crede, è libero nell'arbitrio e indipendente per natura intrinseca. Per questo motivo la libertà assurge a idolo sacro e incontrastato nell'Occidente cristiano-capitalista.

Eppure tali visioni della libertà non sono altro che riduzioni o, peggio ancora, fraintendimenti.
Innanzitutto: non esiste alcun libero arbitrio. Si ha effettivamente l'impressione di essere liberi nella scelta, di poter decidere liberamente delle proprie azioni, ma una tale impressione è un'illusione derivante dal fatto di essere coscienti delle proprie scelte e delle proprie azioni, ma di ignorare al contempo le cause di tali scelte e di tali azioni. Ovvero: il soggetto, nel momento in cui si trova di fronte a un orizzonte di opzioni possibili, è consapevole di star decidendo tra tali opzioni. In lui vi è una lotta di motivazioni, alcune delle quali premono verso una direzione, altre verso una direzione diversa, e così via. In questa lotta, soltanto alcune motivazioni, in quanto più forti, usciranno vincitrici, stabilendo la scelta e, di conseguenza, l'azione. Ma nessun soggetto conosce, né può affatto conoscere, la concatenazione infinita di cause precedenti che hanno portato casualmente alla comparsa di quella motivazione vittoriosa in quel preciso momento. Da questa relazione tra coscienza e ignoranza procede l'impressione di una libertà dell'arbitrio. Ma l'arbitrio è, come detto, determinato (e non pre-determinato) dalla necessità delle concatenazioni causali precedenti, e la necessità è guidata dalla casualità dell'incrociarsi di quelle concatenazioni: si ha, pertanto, un necessario arbitrio nato da accidentalità fatali. La verità è, dunque, questa: nel momento in cui scelgo e agisco, tale scelta e azione particolare non poteva non venire alla luce; nel momento in cui decido, non avrei mai potuto, date le medesime condizioni, decidere altrimenti. Si è dunque incolpevoli, in quanto schiavi della necessità e del caso, ma anche consapevoli, e, perciò, responsabili. 
Infine: non è possibile alcuna indipendenza. Si crede fermamente di essere nati liberi da qualsivoglia influenza, e di dover quindi salvaguardare tale libertà fondamentale, ma una tale convinzione è del tutto infondata. Da sempre l'uomo vive, infatti, in una condizione imprescindibile di dipendenza da fattori esterni: egli è sottoposto all'autorità dei genitori all'interno dell'ambito familiare, e a quella dei detentori del potere (insegnanti, datori di lavoro, sacerdoti, governanti, eccetera) all'interno dell'ambito sociale. I suoi pensieri e le sue azioni sono inevitabilmente determinati dall'educazione impostagli dall'ambiente in cui si trova inserito, cosicché egli è, in un certo senso, schiavo in ogni momento di forze estrinseche che modellano la sua propria interiorità. La volontà del singolo è, di fatto, la volontà del Potere, la quale non necessariamente si identifica con lo Stato; la differenza sta, piuttosto, nel grado più o meno alto di schiavitù, e nella quantità maggiore o minore di libertà concessa da tale Potere. Pertanto, credere di poter conquistare, all'interno dell'unione sociale, un'indipendenza che non è mai esistita, né può esistere in alcun modo, in quanto la dipendenza è la condizione stessa di possibilità dell'unione sociale in genere e senza di essa l'individuo, lasciato a sé stesso, non potrebbe nemmeno sopravvivere, risulta essere quantomeno ingenuo, utopico, e addirittura assurdo. L'auto-realizzazione non dipende certo da una libertà così intesa, che altrimenti sarebbe impossibile realizzare sé stessi. 

Bisogna allora ri-definire il concetto di libertà per scorgerne il senso autentico.
Se una libertà esiste, essa deve mostrarsi all'interno delle circostanze fattuali ineliminabili del necessario arbitrio e della dipendenza. Il primo punto è quindi l'accettazione della necessità: il nostro arbitrio è determinato; noi dipendiamo da un Potere. 
Il secondo punto è l'accettazione di quella componente di casualità che guida gli eventi, ovverosia il fato. Sia quando io mi trovi ad esperire il piacere e la gioia, sia quando mi trovi ad esperire il dolore e la sofferenza; sia che io viva la buona oppure la cattiva sorte, questo è il destino, e così è giusto che sia.
A partire da qui, bisogna altresì chiedersi: cosa è che imprigiona gli esseri umani rendendoli impotenti? La risposta è: la servitù del corpo e della mente. E che cosa asservisce il corpo e la mente? Le passioni disordinate da un lato, i dogmi e i pregiudizi dall'altro.
Ma ciò che imprigiona e rende impotenti più di ogni altra cosa è l'infelicità, che si genera dalla repressione della propria natura intrinseca, in qualsiasi modo si compia.
Libertà è quindi, in conclusione, abbracciare la necessità e il caso che fanno parte dell'esistenza, ordinare le passioni mediante la ragione, ripulire il proprio pensiero dai dogmi e dai pregiudizi, e, soprattutto, seguire i dettami della natura, che equivale a vivere con spontaneità.
Dalla libertà così intesa emerge impetuosa la volontà, e con essa la possibilità della realizzazione di sé.