lunedì 3 dicembre 2012

Biologia ...


Discorso sulla natura della vita e fenomenologia della morte


Per poter comprendere la morte occorre innanzitutto comprendere la vita. La morte infatti della vita non è l'opposto, come si suole pensare, bensì la sua estremità finale, così come la nascita ne è l'estremità iniziale: la morte è allora l'opposto della nascita.
Detto questo ci si chiede: "che cos'è la vita?". La vita si mostra come un processo chimico-fisico-psichico che si individua in un gruppo determinato di enti che chiamiamo enti vivi, o esseri viventi. La peculiarità di tali esseri è il fatto di essere in grado di muovere da sé le proprie parti interne ed esterne in vista della conservazione e della crescita. Ma che cos'è che fa sì che essi possano muoversi in tal senso? Quale elemento li distingue dagli enti ordinari inabili alla vita?
Sovente si appellano gli esseri con l'aggettivo "animati" in sostituzione di "viventi". Se "animato" e "vivente" sono sinonimi, allora anche i termini dai quali codesti aggettivi derivano devono essere tali, e dire "anima" è quindi identico a dire "vita". L'identità di anima e vita è presente sin dagli albori del pensiero umano, sia in Occidente sia in Oriente. Coniando il concetto di anima si è appunto voluto dare un nome a quell'elemento misterioso che si suppone renda vivi alcuni tipi di enti e non invece altri. Che un'anima sussista ed esista è cosa certa, altrimenti non vi sarebbe modo di distinguere, ad esempio, un animale da una pietra. L'anima è pertanto la causa della vita in quegli enti che ne possiedono il privilegio, ma bisogna scovare in che modo questa causa agisca a generare il processo chimico-fisico-psichico vivificante.
La differenza tra l'animale e la pietra è che il primo presenta in sé un anima attiva che gli permette di sviluppare il movimento. Dal punto di vista strettamente scientifico qualsiasi tipo di processo motorio, interno od esterno che sia, ha bisogno di un'energia per avere luogo; senza l'apporto energetico necessario nessuno sforzo può darsi, e dunque nessun tipo di moto. L'energia dona la spinta dalla quale si genera ogni lavoro, intendendo quest'ultimo come un muoversi finalizzato a un qualche scopo. Ciò significa che se la vita è movimento interiore ed esteriore, e se l'anima è, agendo, la causa della vita, allora l'energia, che è causa del movimento, è anche causa della vita e coincide con l'anima stessa. Ma se l'anima è energia allora essa non può essere l'elemento di distinzione tra enti inanimati ed esseri viventi, in quanto sappiamo che l'intera materia non è altro che energia condensata in una forma consistente.
Se ciò è vero, se sia gli enti inanimati sia gli esseri viventi possiedono un'anima-energia, la distinzione fondamentale deve essere ricercata altrove, ovverosia nel corpo. La differenza tra un animale e una pietra è infatti che il primo possiede un corpo in grado di sfruttare l'anima-energia presente al suo interno, e procurata dall'esterno mediante la nutrizione, per produrre movimento. Egli fa ciò mediante i suoi organi interni e le sue membra esterne, organi e membra che l'altro non possiede. Organi e membra sono allora gli elementi discriminanti tra ente inanimato ed essere vivente. 

La vita è quindi anima-energia che agisce con l'ausilio delle strutture corporee. Ciascuna vita è legata a un singolo essere e ne condivide la durata; ha un inizio e una fine che si delineano come nascita e morte dell'essere in questione. La nascita è generazione a partire dall'unione di una coppia di altri esseri, specificamente maschio e femmina. La morte è invece decomposizione, anche qui verificantesi, in parte, per mezzo dell'azione di altri esseri viventi (batteri soprattutto), di cui diveniamo nutrimento, e in parte ad opera degli enzimi non più trattenuti nelle cellule, i quali liberandosi innescano una sorta di auto-digestione dei tessuti, disgregandoli. Ma se questa è la sorte del corpo, quale può essere la sorte dell'anima? Tutti gli esseri animali si nutrono esclusivamente di materia solida, ed estraggono energia da questa materia. Gli esseri vegetali, al contrario, sono in grado di sintetizzare da sé il nutrimento materiale a partire dall'energia della luce solare, e dunque non si nutrono di corpi. Nessun essere che si nutra di corpi è capace di procurarsi energia direttamente e di sfruttare l'energia pura. La sorte dell'anima pertanto non coincide con la sorte del corpo. 
L'anima-energia, non essendo corporea, non può decomporsi. Ma se si definisce la morte come decomposizione delle strutture corporee, si giunge alla conclusione che essa non può morire, e risulta essere quindi immortale. La morte però, più precisamente, può essere definita come cessazione delle funzioni vitali a seguito del deterioramento delle strutture corporee, quand'esse siano colpite e irrimediabilmente danneggiate oppure si usurino progressivamente per via dell'uso continuato, rovinandosi da sé, mentre la decomposizione è piuttosto un processo che si verifica in un tempo successivo, a morte già avvenuta: essa è la morte propria della materia non-più-vivente. L'anima, certamente, cessa di agire quando non ha più il supporto materiale adatto alla sua azione; quando cioè gli organi e le membra che le permettevano di far sorgere il movimento vitale non sono più in condizioni di sfruttare l'energia per compiere un qualsiasi lavoro. In questo senso l'anima muore con la morte del corpo, pur senza dissolversi.
Quest'anima che prima fluiva in un corpo e che ora è impossibilitata ad agire non scompare, ma, una volta esaurita, permane nella sua condizione originaria di elemento sostanziale presente in ogni corpo materiale, ed anche al di fuori dei corpi come energia allo stato puro. Essa allora è sempre presente ovunque, e la morte dell'individuo non intacca il suo essere unitario come anima del mondo, né la sua capacità di agire in altri modi al di fuori dei processi chimico-fisico-psichici che sono propri degli esseri viventi.