martedì 17 aprile 2012

Allarme ...


Rifiuto del nucleare


  • Aprile 1986: disastro di Cernobyl, Ucraina.
  • Marzo 2011: disastro di Fukushima, Giappone.

I due maggiori incidenti nucleari della storia (intervallati da numerosi, seppur taciuti, incidenti minori, più o meno gravi, verificantesi ogni anno in maniera regolare nelle centrali e nei siti di stoccaggio) sono qui a insegnarci la percolosità di questo tipo di energia.
Gli Stati hanno indirizzato la propria politica energetica in direzione del nucleare, e ne hanno subito le conseguenze. Nulla, infatti, vi è di più pericoloso in natura: una esposizione prolungata ai fenomeni radioattivi ha sull'organismo effetti nefasti che vanno dall'invecchiamento precoce, correlato alla quantità di radiazioni assorbite, alle patologie tumorali, dal malfunzionamento degli apparati corporei ai danni cellulari, dalla sterilità all'emergere di malattie leucemiche, fino alle mutazioni genetiche, peraltro ereditarie, e alle malformazioni somatiche. Inoltre, le radiazioni si diffondono nei luoghi naturali, inquinando l'atmosfera, le acque e i terreni. Nonostante i passi avanti compiuti in materia di sicurezza, va compreso che le centrali nucleari, essendo gestite da uomini, permangono sempre nella possibilità di un fatale errore umano, ed essendo costruite in territori naturali, subiscono costantemente la minaccia di danneggiamenti alle strutture causati da catastrofi naturali. 
Il controllo, nel maneggiare un'energia così pericolosa, è essenziale, ma la casualità degli accadimenti non ci permette di possedere un pieno controllo delle situazioni. I rischi sulla nostra salute sono maggiori dei benefici ottenuti in termini economici ed energetici: chi potrebbe affermare il contrario? La vita nostra e dei nostri figli conta, certamente, più di qualsiasi profitto materiale, eppure la prospettiva di quest'ultimo è il motivo primario dell'aver abbracciato una politica energetica siffatta.
Ai costi biologici si aggiungono però anche quelli economici. L'energia nucleare non risulta più essere conveniente in termini di spesa, giacché per la costruzione e il mantenimento delle centrali si è costretti all'esborso di cifre esorbitanti; oltre a ciò, la loro operatività può essere mantenuta solamente per pochi decenni, in quanto i materiali che le compongono, esposti a radiazioni, alterano la propria composizione chimica perdendo col tempo caratteristiche essenziali, cosicché vi è la necessità dello smantellamento, anch'esso dispendioso. Si ha, di fatto, un investimento continuo destinato alla perdita. 
Riflettendo poi sulla rarità dell'Uranio, elemento indispensabile senza il quale la produzione di energia nucleare non può avvenire (secondo i calcoli esso si esaurirà entro trent'anni circa, e ciò fa sì che anche il prezzo di tale elemento, non rinnovabile, aumenti), e sul problema irrisolto e probabilmente irrisolvibile dello smaltimento delle scorie radioattive (la radioattività di questi scarti, altamente tossici, prodotti dalla combustione nucleare, può sussistere anche per secoli, e attualmente non si conosce alcun metodo sicuro di isolamento, tantomeno di eliminazione), si giunge a un'unica decisione ragionevole: il secco no al nucleare.
Tale tipo di energia può infatti essere sostituito dalle energie rinnovabili, ovvero idroelettrico, marino (o oceanico, o pelagico), eolico, solare, geotermico e biomasse; energie pressoché pulite, sicure e del tutto inesauribili, e questa è, difatti, la via che molti Stati d'Europa stanno finalmente intraprendendo con coscienza.