mercoledì 4 aprile 2012

Peccato ...


Negazione e affermazione 


L'inibizione amorosa, di cui sono vittima in parte gli uomini, ma soprattutto le donne, intimamente più sensibili alle forme del disciplinamento, è strettamente legata all'educazione cristiano-cattolica e, pertanto, la politica ecclesiastica è una politica di inibizione (la Chiesa, infatti, è un'istituzione, e come tale ha una determinata influenza, più o meno ampia, sulle masse; perciò si può dire che essa attui una vera e propria "politica"). Ciò che viene inibito è il desiderio sessuale, colonna portante di ogni relazione amorosa tra maschio e femmina. 
Nelle Sacre Scritture, l'atto sessuale vaginale è condannato quando sia consumato al di fuori del matrimonio (oggi tale assunto, non più valido, è stato sostituito per ovvie ragioni di anacronismo, e la condanna cade quindi sul rapporto consumato al di fuori del fidanzamento, cioè al di fuori della relazione nata da un'intenzione di serietà e longevità), e quando si delinei come adulterio, ovvero come violazione della fedeltà coniugale. L'atto sessuale orale, quello anale e quello manuale, quest'ultimo anche rivolto al proprio corpo nel caso dell'autoerotismo, sono deplorati in quanto non materialmente utili, ossia non efficaci in vista della riproduzione; l'aura di sacralità che circonda l'atto riproduttivo non è presente, invece, attorno all'atto inutile e inefficace che ha come solo fine il piacere fisico-psichico. Infine, la relazione omosessuale è considerata contro-natura, nonostante essa sia, da sempre, una delle destinazioni possibili della libido umana.
Tutti questi atti vengono catalogati sommariamente come impuri e chiamati col nome di fornicazione: "non fornicare" (o "non commettere atti impuri"), e: "non desiderare la donna d'altri", ammoniscono due dei comandamenti donati da Dio al popolo ebraico ed elencati nel libro dell'Esodo, mentre nella Prima lettera ai Corinzi Paolo di Tarso, principale codificatore e diffusore della religione cristiano-cattolica, afferma eloquentemente che: "... né fornicatori [...], né adùlteri, né effemminati, né sodomiti [...] erediteranno il regno di Dio". L'assunto è questo: l'atto sessuale come tale e il piacere che ne deriva, venendo dalla carne, sono peccato.
Vi è, poi, un accento posto sulla castità e sulla verginità come prerogative di santità: ancora nella Prima lettera ai Corinzi si legge: "... è cosa buona per l'uomo non toccare donna", e: "... chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata si preoccupa invece delle cose del mondo, come possa piacere al marito"; da qui la rinuncia all'amore carnale da parte dei ministri di Cristo. 
Si vede dunque come un'educazione religiosa di questo tipo limiti, di fatto, l'esperienza amorosa, vietando alcune sue manifestazioni che nulla hanno di blasfemo, e impedendo di viverne integralmente i bei giochi e le declinazioni. Eppure, solo una relazione che sia completamente libera da complessi inibitori di natura sessuale può generare, per il maschio come per la femmina, un sentimento di piena soddisfazione, e la felicità non può prescindere dalla soddisfazione del desiderio erotico, che è desiderio fondamentale. Se ciò avviene, si hanno il senso di colpa e l'angoscia, la vergogna e il disgusto, il turbamento dell'animo di chi non è in pace con sé stesso; in definitiva, la reale sofferenza spirituale.
Di conseguenza, il vero peccato sta, propriamente, nell'inibizione dell'eros, la quale è negazione del piacere, principio benefico, e non invece nella libertà sessuale, che è, al contrario, affermazione salutare di quello.