giovedì 3 gennaio 2013

Medium ...


Potere mediatico e inganno di massa


I mezzi di comunicazione - e quindi anche di educazione - di massa, o media, si rivelano strumenti di Potere quando falsificano la verità dei fatti tramutandola in menzogna. Ciò avviene soprattutto nel caso delle principali fonti di informazione popolari occidentali quali la televisione e i giornali (la rete infatti, pur con le sue potenzialità di luogo libero e gratuito accessibile a chiunque, non è usata, se non in una minoranza di casi, in codesto senso informativo, ed anche quando sia usata non lo è, perlopiù, con le dovute precauzioni), attraverso una propaganda serrata che mira ad instillare nelle coscienze degli individui determinate idee e giudizi, sostenuti da immagini e video mostranti una realtà appositamente plasmata e mistificata, in modo da procurare tra le moltitudini il più vasto consenso possibile alle decisioni e azioni del Potere. Occorre analizzare i modi di questa falsificazione.
Va detto innanzitutto che il Potere, e con tale termine si intende coloro che incarnano la possibilità di decisione e azione, ovverosia l'insieme dei potenti, possiede sempre un nemico che contrasta i suoi piani, che ostacola i suoi progetti, che si oppone volontariamente o meno ai suoi desideri; è proprio contro il nemico, interno od esterno, che egli indirizza, dall'alto, il suo operare. Ma per farlo, nell'epoca dell'opinione pubblica e della democrazia, ha bisogno di sostegno dal basso, cosicché sia legittimato nei principi e giustificato negli esiti, e pertanto mediante il controllo diretto o indiretto, forzoso o ideologico dei mezzi di comunicazione edifica una elaborata macchina sociale, con la quale impone la propria influenza sulle menti e sui corpi degli uomini: il primo passo è allora l'identificazione del nemico.
In secondo luogo quello che è il nemico del Potere deve tramutarsi in nemico dei cittadini, e quindi in minaccia vicina e concreta per loro. Per far sorgere una minaccia del genere si pongono in causa gli idoli culturali che risultano essere più sentiti, vista la loro importanza, negli animi dei singoli; è paradigmatico, ad esempio, il caso della libertà, laddove il nemico viene accusato di sopprimere o di voler sopprimere le libertà fondamentali, oppure il caso dell'umanità, laddove invece egli viene accusato di perpetrare stragi, delitti sanguinari e crudeltà insensate: il nemico interno diviene quindi un criminale e un delinquente, il nemico esterno un dittatore e un terrorista. Questo è lo stadio della demonizzazione del nemico. 
Nel momento in cui la minaccia è divenuta vicina e concreta, al Potere non resta altro da fare che vestirsi dell'abito di eroe e salvatore degli idoli minacciati. L'azione contro il nemico diviene una faccenda umanitaria, un dovere morale e civile assieme, un obbligo richiesto a gran voce dalla maggioranza. Gli scopi appaiono come i più nobili ed altruistici e, quand'anche l'egoismo di fondo emerga, la necessità dell'intervento vince sul buon senso e su qualsiasi altra considerazione. Si ha finalmente il via libera alla lotta poliziesca contro la criminalità organizzata e la delinquenza comune, e alla lotta militare contro la dittatura e il terrorismo; alla repressione e alla guerra giusta, rispettivamente in vista dell'ordine e dell'esportazione della democrazia; alla restaurazione della legalità nazionale e internazionale. L'operazione contro il nemico viene messa in atto.
A questo punto al Potere interessa sostenere la propria maschera per un periodo che sia il più lungo possibile. Il secondo stadio del processo viene reiterato nel tempo per rinnovare il consenso e mantenerlo su livelli accettabili, così da non rischiare di dover interrompere le operazioni prima del raggiungimento dei fini prefissati. La ripetizione dell'illusione mediatica conclude la strategia.
Una volta compiuta la strategia non si ha più motivo di conservare la menzogna agli occhi delle masse, e così la verità si erige lentamente verso la superficie, facendosi sempre più chiara. La consapevolezza di esser stati manipolati non sempre viene alla luce e non sempre è accettata; ha comunque una durata molto breve: si prova infatti, in questo caso, un senso di irritazione e di impotenza che svanisce in un lasso di tempo più o meno limitato, quasi che si voglia, il più in fretta possibile, cancellare dalla memoria l'accaduto in un meccanismo psichico di autodifesa. Il Potere non fa che incoraggiare tale andamento, eliminando ogni residuo e riferimento mediatici all'evento in questione, sostituendo questi residui e riferimenti con differenti argomenti e tematiche, e tenendo occupati i cervelli nell'elaborazione di problematiche altre. Il risultato è qui l'oblio del passato recente, dimodoché le moltitudini divengono nuovamente pronte ad essere ingannate. 

Apologia ...


Lineamenti della verità in senso scientifico e in senso filosofico


La Filosofia anela alla verità; la verità cui la Filosofia anela non è però una verità scientifica. 
La Scienza reputa vera un'asserzione o un insieme di asserzioni esclusivamente quando li dimostra sperimentalmente: a partire dall'osservazione empirica e dalle verità scientifiche già scovate nel passato lo scienziato individua, in maniera induttiva, dei principi o ipotesi primarie, quindi costruisce su di essi una teoria generale strutturata come insieme di ipotesi, deducendo con rigore dalle ipotesi primarie delle conseguenze o ipotesi secondarie e giungendo quindi, in ultimo, ad asserzioni che hanno la forma di previsioni sull'accadere dei fenomeni. A questo punto avviene il processo di verificazione, ovvero di certificazione: il fenomeno viene riprodotto in laboratorio (o osservato in natura), e se accadrà così come era stato previsto dalla teoria, allora essa risulterà verificata e dunque certa, nella misura in cui riuscirà a superare tutti i successivi tentativi di falsificazione che saranno posti in atto contro di lei. La Filosofia non ha nulla a che vedere con una tale tipologia di verità, cioè con la verità come certezza prodotta nell'ambito di un esperimento.
La verità che pertiene al filosofo è la verità come disvelamento: il termine "verità" ha la sua derivazione dal termine latino "veritas", il quale a sua volta è la traduzione del più antico termine greco "aletheia"; aletheia significa letteralmente "non-latenza". Non-latente è ciò che si trova nel nascondimento ma non vi permane, giacché da esso sempre fuoriesce mostrandosi nell'apparenza, dunque spontaneamente svelandosi (e tornando poi di nuovo nel nascondimento originario in un movimento continuo e infinito). Ciò che si svela da sé è necessariamente vero e non può non esserlo: è Natura. La Natura come totalità comprensiva e unitaria, che comprende parimenti il tutto mondano e il tutto umano, è appunto l'oggetto d'indagine del filosofo, mentre l'oggetto d'indagine dello scienziato, ciò che egli desidera conoscere e descrivere, è solamente una parte dell'intero naturale. Il filosofo non descrive il particolare, bensì spiega l'universale; non trova la concatenazione di cause seconde ed effetti, bensì le cause prime; non mira alla visione del "come" dei fenomeni, bensì del loro "perché". La verità che la disciplina filosofica fa propria è una verità incerta e precaria, non possiede quel grado di sicurezza che possiede la verità fatta propria dalla disciplina scientifica. E nondimeno essa è una verità che procede molto più a fondo di quanto non sia in grado di fare l'altra: la verità scientifica rimane in superficie, la verità filosofica, invece, giunge al cuore stesso delle cose.

Fede ...


(Forma metrica: verso libero)


Verità dai sette volti


Verità dai sette volti
canto il tuo corpo multiforme
la varietà
delle curve tue suadenti:
esitar non devo
nello scrutarle e palparle a mio piacimento. 

Per l'uomo comune sei
percezione sensuale;
egli ti vede, ti ode e ti tocca
i tuoi sapori gusta, i tuoi odori annusa.
Ma se anche i suoi sensi
fossero spenti
e cieco e sordo e insensibile
brancolasse 
privo d'appigli
non cesserebbe la volontà sua
di invocarti, come un poppante
piangendo invoca il seno della propria madre
del suo bisogno espressione.

Per l'artista sei
sentimento e passione
fievole ruscello e fiume travolgente
ineludibili, reali; 
dentro di sé egli li sente fluire
e proceder sommergendo insieme corpo e mente.
Il loro scaturire
da sorgente sconosciuta
è mistero sacro
e solenne iniziazione;
egli ascolta parole non pronunciate
di voci sommesse, e grida senza suono
eppur chiare e distinte 
più di qualsivoglia voce o grido:
"io vi credo!" afferma allora con forza inaudita
e nessuno da tal convinzione
ch'è intimo amore del piacere e del dolore
di gioia e sofferenza, di amore e odio
lo smuove.

Per il logico sei
corrispondenza tra termine e cosa: 
ciò che si dice deve anche essere
ciò che è deve riflettere 
ciò che vien detto
e codesto legame 
mai scindersi deve, pena la menzogna.
E così come universale è il linguaggio
- seppur non esista affatto
universale lingua -
universale è anche siffatto vero
accorde e concorde;
tutti gli uomini infatti lo fan proprio
e spontaneamente lo comprendono
e ne fanno uso
come di utensile per ogni occasione.

Per lo scienziato sei
certezza infallibile di legge naturale
da scoprire
sulla macchinosa superficie del mondo:
qui v'è metodica osservanza
e osservazione empirica
e riproduzione, ed esperimento;
il fine è descrizione e conoscenza
di causa ed effetto
e del movimento loro concatenato 
e incatenante.
Sicuro al massimo grado 
egli guarda avanti
e diritto cammina
sin dove può guidarlo
la ragione sua errabonda.

Per il religioso sei
rivelazione ultraterrena
parola divina
irrazionale, e nondimeno
parola in cui aver fede
e in funzione di cui svolgere
la propria vita;
venerazione e fanatismo
provoca suo malgrado la tua assolutezza
necessaria certo, e benefica
ma anche maligna
e al di là del bene e del male mondani
in effetti ti erigi, bene sommo
vestendoti di bianco e di azzurro
colori del cielo.
Ma tu sola tra le altre forme
di senso 
ti mostri donatrice. 

Per il filosofo sei
disvelamento e illatenza
totalità unitaria
e profonda
tesoro che appare e scompare
a colui che pensa
per colui che intelletto coltiva
e fa germogliare.
Non è dalla tua penna
che proviene ciò che egli scrive;
non è col tuo inchiostro
che i segni numerosi 
e le lor combinazioni innumerevoli 
sono incisi su bianco foglio?
Ecco: tu di sapere sei fonte
di sapienza e saggezza inesauribili.

Per il politico sei
concreta idea fondata o infondata
generata da mente feconda
o da significativi uomini trasmessa:
vanno incontro alla morte
per te le masse desideranti;
esercitano il potere
per te i potenti
e tu stai lì, quieta e immobile
 indifferente
e persino falsa, a volte
e così pur senza agire
infine agisci
mantenendo in moto perpetuo
la ruota della Storia.

 Ebbene, Verità
finanche a ingannar l'uomo
giungi 
col tuo operare in ogni luogo
e in ogni tempo
ma tutti gli stomaci nutri
e tutte le bocche bagni
poiché sei cibo e acqua
per lo Spirito affamato e assetato.

lunedì 3 dicembre 2012

Destrudo ...


Violenza collettiva e antidoti statali


Che vi sia un istinto di morte operante a fianco del più evidente istinto di vita, e forse proprio in funzione di questo, è un dato di fatto innegabile, di cui si trovano esempi quantomai numerosi e lampanti nei fenomeni sociali. Che ciò sia un problema politico, di quella politica che non si rifiuta di amministrare la vita collettiva in tutti i suoi aspetti molteplici ed anche in quelli che sembrano non riguardarla da vicino, è cosa che non si deve fare a meno di rimarcare e su cui non si può non insistere, tanto è importante. 
Tra gli accadimenti in cui è celato il desiderio di morte, che si rivolge contro gli altri prima di tutto, ma anche contro sé stessi se nell'atto precedente si è bloccati da una sorta di pudore o timore morale, vanno citati quelli che risultano essere i più eclatanti e che si verificano a livello della vita associata: il bullismo, la violenza negli stadi e la violenza di piazza. In tutti e tre questi fenomeni la morte si esprime come agressività cieca che vuole essere sfogata, e che, se non fosse per le limitazioni concrete che fanno da ostacolo, si risolverebbe addirittura nell'annientamento.
Nel bullismo, manifestazione propriamente giovanile, si ha un raggruppamento di individui che usano la propria forza per soggiogare individui più deboli, senza alcuna motivazione o causa effettiva. L'aggressione, che è psichica e fisica assieme, non avviene per difesa da un pericolo, né per prevenzione a seguito di una minaccia, ma si mostra come sostanzialmente gratuita. Qui, attraverso un avvenimento pretestuoso, si mira semplicemente a estrinsecare una volontà di dominio sottomettendo l'altro al proprio volere fino a danneggiarlo nella sua integrità. Questa dimostrazione di violenza autoritaria finisce per fornire un esempio di vita onorevole sia per i maschi, i quali sogliono imitarla nel desiderio di conquistarsi rispetto e considerazione, sia per le femmine, che sembrano prediligere i tipi del genere nella scelta del partner. Un'educazione siffatta non può che tramutarsi nel culto della forza bruta, il quale, se mantenuto anche in età adulta, si presenta come una minaccia per l'ordine sociale. 
Negli scontri verbali e maneschi che avvengono negli stadi durante i giochi sportivi, tra le tifoserie opposte e tra queste e le forze dell'ordine, si amplia il numero degli individui interessati. Anche in questo caso le motivazioni e le cause si mostrano come dei pretesti irragionevoli per trarre fuori da sé una tensione accumulata. La violenza è indiscriminata, in quanto le distinzioni settarie su cui si applica non hanno nulla di logico; è come se un demone si impossessasse uno ad uno dei componenti della folla portandoli alla follia, in un contagio difficilmente arrestabile e che coinvolge tutte le parti protagoniste. A farne le spese è l'immagine di una nazione, che diviene preda degli altrui giudizi di inciviltà, di fronte al resto del mondo e anche di fronte a sé stessa, ovvero alla propria cittadinanza. 
Negli avvenimenti conflittuali che riguardano le manifestazioni di piazza, ancora tra cittadini di diverse fazioni e tra questi e le forze di polizia, il coinvolgimento della politica è maggiormente visibile; anzi, al contrario delle due forme precedenti questa forma di espressione violenta ha delle motivazioni e delle cause generali ponderate. Eppure, nonostante ciò, e nonostante l'utilità sociale a cui codesto tipo di violenza si piega (su tale affermazione, che la violenza di piazza possieda un'utilità sociale, certamente in molti non saranno d'accordo, ma non sono io, in realtà, a sostenere questa posizione azzardata: è la storia stessa con i suoi eventi, piuttosto, a sostenerla), il solo fatto che vi sia un'esigenza popolare di manifestare il proprio dissenso nei confronti dell'autorità statale è un problema, giacché dimostra la presenza di un'insofferenza diffusa tra le moltitudini soggette al potere. 
Ora, il compito di una politica assennata non è quello di reprimere le espressioni sociali deleterie una volta sorte - così infatti il problema non viene affatto risolto - bensì quello di prevenire il loro prodursi; se ciò non avviene la politica non può essere detta politica sana, perché ne va del mantenimento dell'ordine generale. Alla radice della violenza sconsiderata degli atti di bullismo, degli scontri negli stadi, degli scontri di piazza e di qualsiasi altro avvenimento del genere, sta sempre un malessere interiore del singolo, di stampo prettamente nichilistico, derivato da condizioni sociali disagiate (dallo stato di povertà familiare al vivere in un ambiente malfamato; dall'assenza o disinteresse dei genitori all'influenza delle cattive compagnie, e così via dicendo): se ciò è vero, allora eliminando questo disagio profondo si preverrebbe anche l'insorgere della violenza mortifera. Ma il malessere sociale non può essere eliminato se non in un modo: attraverso l'assistenza statale rivolgentesi a tutti quei casi speciali che, in quanto tali, fuoriescono dalla norma dell'esperienza vissuta ordinaria, in modo da annullarne il potenziale negativo mediante programmi mirati al riempimento delle mancanze economiche, affettive e valoriali.
   

Biologia ...


Discorso sulla natura della vita e fenomenologia della morte


Per poter comprendere la morte occorre innanzitutto comprendere la vita. La morte infatti della vita non è l'opposto, come si suole pensare, bensì la sua estremità finale, così come la nascita ne è l'estremità iniziale: la morte è allora l'opposto della nascita.
Detto questo ci si chiede: "che cos'è la vita?". La vita si mostra come un processo chimico-fisico-psichico che si individua in un gruppo determinato di enti che chiamiamo enti vivi, o esseri viventi. La peculiarità di tali esseri è il fatto di essere in grado di muovere da sé le proprie parti interne ed esterne in vista della conservazione e della crescita. Ma che cos'è che fa sì che essi possano muoversi in tal senso? Quale elemento li distingue dagli enti ordinari inabili alla vita?
Sovente si appellano gli esseri con l'aggettivo "animati" in sostituzione di "viventi". Se "animato" e "vivente" sono sinonimi, allora anche i termini dai quali codesti aggettivi derivano devono essere tali, e dire "anima" è quindi identico a dire "vita". L'identità di anima e vita è presente sin dagli albori del pensiero umano, sia in Occidente sia in Oriente. Coniando il concetto di anima si è appunto voluto dare un nome a quell'elemento misterioso che si suppone renda vivi alcuni tipi di enti e non invece altri. Che un'anima sussista ed esista è cosa certa, altrimenti non vi sarebbe modo di distinguere, ad esempio, un animale da una pietra. L'anima è pertanto la causa della vita in quegli enti che ne possiedono il privilegio, ma bisogna scovare in che modo questa causa agisca a generare il processo chimico-fisico-psichico vivificante.
La differenza tra l'animale e la pietra è che il primo presenta in sé un anima attiva che gli permette di sviluppare il movimento. Dal punto di vista strettamente scientifico qualsiasi tipo di processo motorio, interno od esterno che sia, ha bisogno di un'energia per avere luogo; senza l'apporto energetico necessario nessuno sforzo può darsi, e dunque nessun tipo di moto. L'energia dona la spinta dalla quale si genera ogni lavoro, intendendo quest'ultimo come un muoversi finalizzato a un qualche scopo. Ciò significa che se la vita è movimento interiore ed esteriore, e se l'anima è, agendo, la causa della vita, allora l'energia, che è causa del movimento, è anche causa della vita e coincide con l'anima stessa. Ma se l'anima è energia allora essa non può essere l'elemento di distinzione tra enti inanimati ed esseri viventi, in quanto sappiamo che l'intera materia non è altro che energia condensata in una forma consistente.
Se ciò è vero, se sia gli enti inanimati sia gli esseri viventi possiedono un'anima-energia, la distinzione fondamentale deve essere ricercata altrove, ovverosia nel corpo. La differenza tra un animale e una pietra è infatti che il primo possiede un corpo in grado di sfruttare l'anima-energia presente al suo interno, e procurata dall'esterno mediante la nutrizione, per produrre movimento. Egli fa ciò mediante i suoi organi interni e le sue membra esterne, organi e membra che l'altro non possiede. Organi e membra sono allora gli elementi discriminanti tra ente inanimato ed essere vivente. 

La vita è quindi anima-energia che agisce con l'ausilio delle strutture corporee. Ciascuna vita è legata a un singolo essere e ne condivide la durata; ha un inizio e una fine che si delineano come nascita e morte dell'essere in questione. La nascita è generazione a partire dall'unione di una coppia di altri esseri, specificamente maschio e femmina. La morte è invece decomposizione, anche qui verificantesi, in parte, per mezzo dell'azione di altri esseri viventi (batteri soprattutto), di cui diveniamo nutrimento, e in parte ad opera degli enzimi non più trattenuti nelle cellule, i quali liberandosi innescano una sorta di auto-digestione dei tessuti, disgregandoli. Ma se questa è la sorte del corpo, quale può essere la sorte dell'anima? Tutti gli esseri animali si nutrono esclusivamente di materia solida, ed estraggono energia da questa materia. Gli esseri vegetali, al contrario, sono in grado di sintetizzare da sé il nutrimento materiale a partire dall'energia della luce solare, e dunque non si nutrono di corpi. Nessun essere che si nutra di corpi è capace di procurarsi energia direttamente e di sfruttare l'energia pura. La sorte dell'anima pertanto non coincide con la sorte del corpo. 
L'anima-energia, non essendo corporea, non può decomporsi. Ma se si definisce la morte come decomposizione delle strutture corporee, si giunge alla conclusione che essa non può morire, e risulta essere quindi immortale. La morte però, più precisamente, può essere definita come cessazione delle funzioni vitali a seguito del deterioramento delle strutture corporee, quand'esse siano colpite e irrimediabilmente danneggiate oppure si usurino progressivamente per via dell'uso continuato, rovinandosi da sé, mentre la decomposizione è piuttosto un processo che si verifica in un tempo successivo, a morte già avvenuta: essa è la morte propria della materia non-più-vivente. L'anima, certamente, cessa di agire quando non ha più il supporto materiale adatto alla sua azione; quando cioè gli organi e le membra che le permettevano di far sorgere il movimento vitale non sono più in condizioni di sfruttare l'energia per compiere un qualsiasi lavoro. In questo senso l'anima muore con la morte del corpo, pur senza dissolversi.
Quest'anima che prima fluiva in un corpo e che ora è impossibilitata ad agire non scompare, ma, una volta esaurita, permane nella sua condizione originaria di elemento sostanziale presente in ogni corpo materiale, ed anche al di fuori dei corpi come energia allo stato puro. Essa allora è sempre presente ovunque, e la morte dell'individuo non intacca il suo essere unitario come anima del mondo, né la sua capacità di agire in altri modi al di fuori dei processi chimico-fisico-psichici che sono propri degli esseri viventi. 
   

Precorrimento ...


(Forma metrica: ballata)


Sorella Morte


Diligente giungi, Sorella Morte
a por fine ai respiri
affinché la Vita altra vita ispiri
e ancor durare possa la sua sorte.

Solenne e impietosa meta si staglia
all'orizzonte, tetra e spaventosa;
l'esistenza nostra è fuoco di paglia
che si consuma con fiamma dolosa:
vedremo ancora la luce che abbaglia
nel gaio al-di-là di brama smaniosa
quando dovremo oltrepassar la soglia
o sarem noi stessi luce vistosa?

Il corpo ch'eternamente riposa
si fa terra e alimento;
eppur l'anima non avrà tormento
ma beatitudine come consorte.

Diligente giungi, Sorella Morte
a por fine ai respiri
affinché la Vita altra vita ispiri
e ancor durare possa la sua sorte.

venerdì 9 novembre 2012

Rinascita ...


Immoralità contemporanea e recupero dell'etica antica


Mai come oggi si mostra come urgente una rifondazione etica nell'ambito sociale, e tale esigenza si intravede a tutti i livelli: nelle istituzioni politiche, economiche, religiose, giuridiche, eccetera. Eppure un'iniziativa del genere non può che venire dall'alto, in un movimento che procede dagli educatori agli educati, dai maestri agli allievi. La coscienza dell'individuo si trova infatti ad essere inevitabilmente plasmata dalla comunità circostante, cosicché una comunità immorale genererà necessariamente nel suo grembo un individuo immorale, il quale, insieme agli altri individui, andrà poi a formare il corpo collettivo corrompendolo a sua volta, in un circolo vizioso inarrestabile. La società odierna non è che l'esemplificazione di codesto processo, laddove in ogni mestiere, da quello di imprenditore o di banchiere a quello di avvocato o di governante, da quello di operaio o di impiegato a quello di artigiano o di contadino, e poi in quello di medico, di giornalista, e così via, si mostra evidente la tendenza a perseguire esclusivamente il proprio vantaggio privato, non curandosi minimamente di armonizzarlo con il vantaggio privato altrui, come se non vivessimo in un raggruppamento ordinato, il cui principio fondamentale è il rispetto vicendevole e la cooperazione di tutti all'insieme generale, quanto piuttosto in un novello "stato di natura" in cui viga un'aspra competizione dei singoli, in una gara a calpestare i diritti dell'altro per non dover subire noi stessi la medesima sorte. Dov'è mai, allora, quella sicurezza che deriva dal quieto vivere e che ciascun uomo certamente auspica, se ognuno opera, chi per scelta intenzionale (ovverosia costretto da agenti interni), chi senza intenzione (perché costretto, invece, da agenti esterni), in direzione del sopruso e della sopraffazione? Ristabilire una sana convivenza: questo si delinea come uno dei compiti della politica contemporanea. 
Sana convivenza è una convivenza in cui il conflitto, pur presente, non intacca il benessere dell'esistenza altrui. Ciò può darsi solamente ponendo solide basi sulle quali edificare l'armonia sociale, oggi perduta a causa della compiuta demolizione della morale cristiana, la quale, mediante le sue massime condivise ("ama il prossimo tuo come te stesso"; "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te"), assicurava, in Occidente, un controllo civico sulle coscienze, tenendo a bada l'insorgenza di eventuali istinti aggressivi antisociali. Se tale morale è oramai impotente, a seguito dei processi di secolarizzazione, ecco che lo Stato, fosse anche corrotto, deve farsi carico dell'imposizione di un'etica laica, che si fondi, alla maniera dell'etica greco-romana, sull'equivalenza tra virtù, intesa come atto buono e giusto, e felicità, intesa come condizione di appagamento interiore, e deve farlo mediante tutti i mezzi coercitivi a sua disposizione, a partire dal martellamento mediaco e dall'istruzione dei giovani; non vi è altra soluzione per estirpare l'egoismo insano, se non questa. Dopo che ciò sia avvenuto, la società tornerà a nutrire generazioni di individui puri, capaci cioè di discernere il bene dal male (non esclusivamente il proprio bene, ma anche e soprattutto il bene collettivo) a partire da principi morali razionali: essi giungeranno infine a comporre una comunità altrettanto pura, bloccando e invertendo quel circolo vizioso che è uno dei più grandi mali del nostro tempo. 
     

Sophos ...


Sapienza, saggezza, santità. Distinzioni concettuali


Non esclusivamente la sapienza, non esclusivamente la saggezza, bensì sapienza e saggezza insieme fanno l'uomo puro. Occorre, innanzitutto, sancire la differenza tra i due termini. 
Sapienza indica un sapere meramente teoretico; sapere un qualcosa significa infatti comprenderlo nelle sue cause prime. Nel momento in cui io mi trovo dinanzi a un ente, a un essere, a un'entità, a un fenomeno, e lo spiego scovandone il "perché", ecco che acquisisco comprensione e dunque sapienza riguardo a quell'ente, essere, entità, fenomeno. Posso dire allora di saper pensare.
Saggezza, al contrario, indica un sapere meramente pratico; esser saggi significa essere in grado di agire bene, ovvero di agire in maniera adeguata alle circostanze. Nel momento in cui mi trovo in una determinata situazione, ecco che ponderando i pro e i contro giungo ad attuare la scelta più consona e quindi a comportarmi saggiamente. Posso dire allora di saper vivere.
Si può essere sapienti pur non essendo saggi, e saggi pur non essendo sapienti. Nel primo caso, si avrà un uomo di conoscenza, nel secondo caso, un uomo di esperienza. Più difficile è invece per il sapiente attuare il pensiero, e per il saggio pensare l'azione. Eppure il pensiero contiene un rimando all'azione, e l'azione un rimando al pensiero: entrambi tendono a completarsi nel proprio opposto. Solo nel caso in cui un uomo possieda tutte e due le qualità si potrà di lui affermare che è un uomo completo. 
L'uomo completo, che ha compiuto la propria natura pensante e agente, coincide con l'uomo puro. Purezza sta qui a significare l'essere-senza-macchia, incapace di commettere errori nella teoria come nella prassi. L'uomo puro è essenzialmente un uomo integro, e l'integrità fa intravedere l'orizzonte dell'etica, nel quale solamente è possibile portare alla luce il bene. Le figure del sapiente e del saggio si identificano, pertanto, nella figura del santo, cioè di colui che fa necessariamente il bene.
     

Purezza ...


(Forma metrica: quartina di settenari in rima incrociata)


Che ne sarà dei puri?


Che ne sarà dei puri
esseri non compresi
continuamente offesi
da ipocriti e spergiuri;

che ne sarà di loro
da impurità mondati
se uomini adirati
li accuseranno in coro

e, vittime del male
da animali feroci
inferto - morsi atroci
- avran morte brutale?

Forse che nasceranno
un giorno menti sane
che la preghiera inane
di essi ascolteranno;

forse che svanirà
la folla dissennata
crudele, infuriata
o ancor condannerà

il loro agire giusto
su ragione fondato?
Certo non sarà obliato
un 'sì barbaro gesto.

Eppur mai come oggi
nel tempo degli indegni
urge l'atto che insegni
l'integrità dei saggi

sicché permanga esempio
eterno di saggezza.
Dico allor con fermezza:
viva il buono, non l'empio.

lunedì 1 ottobre 2012

Global ...


Nazionalismo e mondialismo: problemi e prospettive 


Nel mondo occidentale permangono residui di nazionalismo, sebbene lo Stato-nazione non esista più da decenni, smantellato dai processi di globalizzazione. In particolare, tali residui si ritrovano nell'ideologia di destra, nella mentalità degli eserciti, e nei desideri di rivalsa dei paesi distrutti od oppressi.
Nel primo caso, si manifesta l'incapacità di determinate fazioni politiche di comprendere e accettare il necessario andamento temporale della società, con tutti i suoi portati benigni e maligni. Non a caso, la parola d'ordine di queste fazioni si esprime in una volontà di conservazione dell'assetto attuale nei suoi aspetti più tradizionali, e, nei casi più estremi, in una volontà di reazione al nuovo che avanza, ovvero in un ritorno a un passato che non può più darsi: non è possibile, infatti, cancellare gli eventi accaduti e le tendenze in atto, né è possibile portare indietro la ruota della storia.
Nel secondo caso, si manifesta un'ideologica divinizzazione della patria nazionale come spazio di un determinato popolo, spazio che va difeso a ogni costo per la salvaguardia dell'identità del popolo stesso. L'ideale di una patria-nazione è prettamente ottocentesco, e viene ancora oggi instillato nelle coscienze dei soldati attraverso una ferrea educazione (o disciplinamento, se si preferisce); senonché esso si mostra come un'idea vuota e astratta in assenza di un popolo unitario. Chiaramente, ciò avviene perché gli uomini hanno bisogno di uno scopo che sia abbastanza nobile e importante da convincerli, in nome di esso, a sacrificare la propria vita in combattimento.
Nel terzo caso, si manifesta una conseguenza diretta dell'azione della volontà di potenza dei maggiori Stati occidentali, i quali, nella loro mancanza di rispetto verso tutto ciò che è altro da loro, e allo scopo di acquistare/conquistare per sé ricchezza e potere, sono portati a violare l'altrui diritto alla vita e all'autodeterminazione, ponendo la propria mano violenta su quei paesi, e sui cittadini di quei paesi, considerati inferiori o arretrati. Il risultato è la proliferazione, all'interno di tali paesi, dell'odio nei confronti dei distruttori od oppressori esterni, nonché l'emergere dell'esaltazione della propria diversità e, quindi, la rinascita di una identità nazional-popolare in funzione della liberazione.
Nonostante questi residui, la politica deve comprendere che l'idea di nazione, così come quella di popolo e di patria, non ha più significato. Oggi, la nazione fuoriesce dai confini nazionali per assumere i confini continentali e recarsi ben oltre, sino ad assumere l'intera ampiezza del globo terrestre. Qui il popolo è costituito da tutti i cittadini nord-occidentali, e, in senso ancora più allargato, da tutti i cittadini del mondo. Precisamente, l'Occidente e il Nord sono la nostra odierna patria, ma il fine della globalizzazione deve essere quello di far rientrare in questa idea anche l'Oriente e il Sud: così soltanto, infatti, tutti i conflitti potranno essere finalmente sanati.

Radici ...


Origine e senso del concetto di Patria


Il concetto di Patria rimanda alla figura del padre; padre come figura famigliare, come figura statale e poi continentale, infine come figura divina. Il padre è, tradizionalmente, il dominatore e l'educatore; appartiene quindi in tutto e per tutto all'ambito culturale. Patria è, altresì, colei che edifica le coscienze dei propri figli, donandogli una forma; è colei che ordina e vuole essere obbedita in vista di un bene collettivo. La sua origine sta, certamente, nella fedeltà al sovrano, e difatti essa si mostra definitivamente dopo la graduale spersonalizzazione del potere politico nel corso dell'età moderna.
Si nota, però, come il termine sia declinato al femminile e non al maschile, e come spesso sia accompagnato dall'appellativo di "madre" (Madre Patria), e questo sembra contraddire il rimando all'immagine paterna. Codesta contraddizione è però meramente superficiale, apparente: l'origine del padre sta, infatti, nella madre che lo partorisce, e la cultura non è mai prima in ordine di tempo, giacché essa sorge sempre dalla natura. Ora, per gli antichi il maschio, a causa della sua fecondità spirituale, è simbolo di potenza culturale, mentre la femmina, a causa della sua fecondità corporea, è simbolo di potenza naturale. Ciò significa che all'origine si ha sempre il principio femminile, mentre il principio maschile è sempre derivato e successivo, in quanto procede da quello: così anche la Patria, nella sua declinazione, mostra la propria origine dall'immagine materna. Inoltre, Patria è anche il luogo natio, il grembo natale, e per tal motivo la si denomina come madre, una madre che accudisce e alleva i propri figli.
Si può allora intravedere nella figura della madre il significato più profondo del concetto, presente sin dagli inizi dell'umanità, sebbene il concetto medesimo fosse ancora inespresso. Se fosse stato espresso, tale concetto avrebbe assunto il nome di "Matria". Matria è la terra e la casa nella quale, appunto, si nasce e si trascorre la propria infanzia, le cui esperienze ci accompagneranno lungo l'arco dell'intera vita, e i cui ricordi vaghi e frammentari saranno posti ad archetipi di una felicità oramai irraggiungibile; è la terra e la casa dalla quale ci si diparte senza mai poter lasciarla completamente, e alla quale inevitabilmente si ritorna, realmente o virtualmente, nella concretezza della presenza fisica oppure nell'astrattezza dell'immaginazione. Tale è il senso recondito che permane invariato lungo la storia dei vari mutamenti linguistici, e rispetto al quale il senso precedente risulta quindi essere secondario; pertanto, esso si delinea come l'essenza più intima del concetto.
  

Heimat ...


(Forma metrica: decasillabo sciolto)


 Patria materna, Matria paterna


Patria materna, Matria paterna
da te io parto, a te ritorno
in sogno, inesorabilmente
novello Odisseo esploratore
di mari tutt'ora inesplorati.
"Nazione" ancor ti chiamano alcuni
'ché agli orecchi loro non è giunta
la voce potente della Storia;
eppure mia nazione è nient'altro
che il luogo natale e dell'infanzia
i cui frammenti, innumerevoli
dispersi sono come immagini
nei fondi abissi della memoria.
In te anche un giorno sorgerà
uomo, il desiderio d'andare;
di fuggire su strade sterrate
altrove volgendo gli occhi gravidi
d'insoddisfazione e rabbia greve;
le spalle voltando a quel passato
che mai promise futuro (e tu
perché una tal promessa pretendi?).
Ma io ti dico, in verità
e la parola ti giunga integra
dalla mia casa, dalla mia terra:
nulla troverai fuori di lei 
se non un'amara nostalgia.

giovedì 6 settembre 2012

Guru ...

  
Stato occidentale e religioni orientali: aperture


La politica occidentale odierna resta legata alla concezione, oramai superata nell'epoca della globalizzazione, di una "religione di Stato", che in Europa e in Nord America significa preminenza del cristianesimo nella sua forma ortodossa, cattolica o protestante. Ma se il compito della politica è quello di praticare il buon governo e al contempo assicurare il benessere ai cittadini, allora il superamento dei nazionalismi religiosi diviene un atto doveroso e quantomai necessario.
La popolazione di uno Stato occidentale mostra, in primo luogo, una tendenza ad abbracciare la religione primaria come conseguenza dell'educazione dominante, e, in secondo luogo, una tendenza al disincanto propria dei giovani delle nuove generazioni, tendenza che ha come conseguenza la scelta di un indirizzo ateo o agnostico. Inoltre, si può constatare la presenza di più o meno ampie minoranze di appartenenti a fedi secondarie.
Ora, se la politica decide di favorire e sostenere una sola religione sopra le altre, oltre a compiere un atto anacronistico, giacché in tal modo viene ostacolato il pluralismo confessionale, essa non fa altro che ridurre le possibilità di realizzazione del cittadino, il quale, se nella sua ricerca del benessere non trova soddisfazione nei precetti condivisi, finisce per non avere altri luoghi verso cui rivolgere la propria spiritualità. Ciò significa che l'uomo occidentale permane imprigionato nelle maglie del cristianesimo, oppure, al limite, delle minoranze religiose più ampie, quali ad esempio l'islamismo.
Le religioni orientali restano perlopiù tagliate fuori da tale orizzonte spirituale. Nondimeno, proprio codeste religioni affermano una pratica peculiare che è una via estremamente efficace al benessere interiore: la pratica della meditazione. Meditando, infatti, l'uomo rilassa il corpo e la mente ed elimina le angosce quotidiane, migliorando il proprio stato d'animo. Per questo motivo una politica seria, consapevole del proprio ruolo sociale, dovrebbe impegnarsi nel promuovere iniziative volte ad assecondare la diffusione di quelle religioni che, fondando la propria attività sulla meditazione, risultano essere maggiormente propense alla diffusione del benessere fra le moltitudini, ovverosia il buddismo, l'induismo e simili.

Atarassia ...


Tipologie e modalità di superamento dei turbamenti interiori


I desideri e le passioni turbano l'animo dell'uomo. La tranquillità dell'animo è, però, una delle prerogative dell'uomo felice rispetto all'uomo comune oppure infelice. La felicità, pertanto, presuppone l'imperturbabilità.
Un uomo che abbia in sé l'animo pacificato è detto essere in uno stato di beatitudine. La beatitudine non è altro che un'assenza di turbamenti interiori. Con turbamento interiore intendo, appunto, un desiderio che preme per essere soddisfatto, o una passione che prende possesso dello spirito e, dunque, del corpo. 
Quando un desiderio si affaccia alla coscienza, l'animo si inquieta inevitabilmente. La sua inquietudine deriva dal voler conseguire qualcosa che non si possiede e che, spesso, non si può possedere in alcun modo. Più la soddisfazione del desiderio suddetto sarà difficile, più lungo sarà il periodo di tempo nel quale l'animo permarrà in una condizione di turbamento.
Quando una passione sorge, l'uomo viene a trovarsi in uno stato di disordine psico-fisico. Un siffatto disordine procede dal dover fronteggiare una forza impetuosa che, il più delle volte, surclassa la potenza della ragione. Sino a che la passione irrazionale avrà forma di patimento, sarà lei a guidare le nostre scelte, regalandoci preoccupazioni e sofferenze evitabili.
Eliminare i turbamenti significa eliminare non i desideri e le passioni, essenziali per vivere appieno la propria esistenza, bensì gli effetti collaterali che hanno come causa i desideri e le passioni. Per far ciò, occorre mantenere il governo della ragione, unica facoltà spirituale capace di misura e in grado, quindi, di tenere le redini del corpo. Il governo della ragione, però, non deve essere inteso come una repressione dei desideri e delle passioni: ciò, infatti, porterebbe a quell'infelicità che si cerca, piuttosto, di evitare.
Due sono i modi razionali di far fronte al turbamento conseguente ai desideri: la loro soddisfazione, da un lato; il loro annullamento alla radice, dall'altro. Nel momento in cui si esperisce il desiderio, il primo pensiero deve essere, quando essa sia attuabile ed attuabile in tempi brevi, la soddisfazione. Il compito della ragione è, qui, di favorire il conseguimento della cosa desiderata, escogitando strategie per aggirare o scavalcare gli ostacoli eventuali. Ma se il desiderio è inattuabile o difficilmente attuabile, allora esso va estirpato dalla propria mente, e ciò è possibile esclusivamente attraverso la pratica meditativa. Il compito della ragione sarà, allora, quello di concentrarsi in sé stessa, acquisendo un alto grado di consapevolezza interiore.   
Uno soltanto è il modo razionale di far fronte al turbamento conseguente alle passioni: tramutare il patire in un agire. Nel momento in cui si esperisce la passione, il primo pensiero deve essere il mantenimento della padronanza di sé stessi. La ragione impedisce alla passione di assumere il dominio della persona e, al contempo, si pone come obiettivo la piena espressione della passionalità.
Mediante codesti tre modi si consegue la quiete interiore e si porta a compimento la beatitudine: è questo il primo passo lungo la via che porta alla felicità.

Elevazione ...


(Forma metrica: haiku)


Placido e immobile
bianco fiore di loto
ascende al cielo.

venerdì 3 agosto 2012

Integrazione ...


Emarginazione e razzismo


La politica sociale degli Stati relativa alla popolazione romanì costituisce l'esempio più lampante del fenomeno dell'emarginazione, così come l'atteggiamento dei cittadini nei loro confronti si presenta come il nec plus ultra del razzismo. 
Da un lato, lo Stato raggruppa i gitani in luoghi determinati: i "campi nomadi", sorta di ghetti molto spesso manchevoli dei servizi più basilari, e in tal modo non fa che aumentare la probabilità che in tali zone sorgano fenomeni di criminalità. D'altro lato, i cittadini, vittime di un'ignoranza diffusa relativa alla cultura e allo stile di vita zigani, e di un sospetto ancestrale proprio della natura umana quando si trova di fronte a ciò che non conosce, non fanno che ostacolarne l'integrazione, lasciando mano libera ai propri pregiudizi e alle proprie false credenze (la bestialità naturale, l'ostilità caratteristica verso il lavoro legale e la vita sedentaria, l'irrettificabile cultura della sporcizia e del furto, la consuetudine del rapimento dei bambini, eccetera) invece di limitarne la portata, e condannando i loro atti senza domandarsi quali possano essere le cause che stanno dietro ad essi e li giustificano. I mezzi di comunicazione di massa, inoltre, nel loro ruolo di mediatori tra la Politica e le moltitudini, sembrano veicolare e addirittura istigare una forma di odio, esacerbando una situazione già, di per sé, di difficile soluzione. Il risultato estremo di ciò è una legittimazione della violenza contro gli zingari, i quali reagiscono a questo accanimento mediante l'indifferenza o l'avversione. 
Ora, posto che tutti i cambiamenti procedono dall'alto e non dal basso, è la Politica a dover compiere il primo passo per tramutare l'inimicizia in amicizia. Inanzitutto, occorre portare i gitani tra la popolazione, giacché solo un contatto assiduo può rompere le barriere psichiche che vengono edificate dagli uni e dagli altri. In secondo luogo, occorre donare loro la possibilità di entrare concretamente a far parte della comunità in cui si trovano a vivere, e ciò può darsi soltanto attraverso la cittadinanza, la casa e il lavoro, ovvero i beni fondamentali che a noi sono assicurati di diritto e a loro sono, il più delle volte, interdetti. Infine, è necessario che i media si impegnino ad approfondire e a diffondere la conoscenza delle tradizioni zigane, per mostrare tutto ciò che di bello appartiene a queste etnie. Lo scopo a cui tendere è l'eliminazione dell'idiozia statale e sociale che ha prodotto e produce l'assurdità dell'emarginazione e del razzismo, con i conseguenti effetti nocivi a livello civile.  
  

Relazione ...


Dialettica dell'Io e del Tu


Io e Tu risultano essere unità indissolubile. L'Io infatti non sussiste mai da solo: quand'anche si trovi in solitudine, compagno di sé stesso, egli sa che, al di fuori di un determinato luogo e oltre un determinato periodo di tempo, vi saranno persone con le quali entrerà in contatto; un contatto assiduo, costante e, inoltre, profondo. L'esistenza stessa dell'Io, la sua caratteristica più propria, non è altro che relazione.
L'Io sorge prima ancora della venuta al mondo dell'uomo, e già nel ventre egli percepisce il Tu della madre. Un tale Io è strettamente legato al Tu, e da lui si trova a dover dipendere. Al Tu della madre si aggiunge, in seguito, il Tu del padre, anch'esso altrettanto essenziale per lo sviluppo dell'Io, ed eventualmente quello dei fratelli e delle sorelle, con i quali si condivide la crescita. Anche al di fuori della famiglia ristretta si stabiliscono relazioni più o meno approfondite, con i membri della famiglia allargata: nonni, zii, cugini, eccetera. Vi saranno, poi, le persone con cui si stabilirà una relazione di amicizia, e quelle con cui si costruiranno relazioni amorose; le persone che saranno per l'Io dei maestri e dei secondi padri; il Tu supremo, percepito come più o meno reale, più o meno immaginario, e cioè Dio. La vita sociale nella sua interezza si costituisce di relazioni del tipo Io-Tu che si incrociano e giustappongono fra loro.
Ciò sta a significare una cosa soltanto: l'Io vive della basilare relazione con il Tu, e non può fare a meno di codesta relazione, giacché essa si delinea come suo bisogno o necessità intrinseca. Il Tu è, fondamentalmente, un Altro-Io, oppure addirittura una frammento dell'Io. 
L'uomo è un essere relazionale. Nondimeno, tale relazionalità può essere spezzata, e vi è un unico elemento capace di spezzarla: l'egoismo utilitarista e pragmatista, il quale vede la persona non più come un Tu, bensì come un Esso, ovvero una cosa impersonale, un mezzo e non un fine; tale elemento, in un certo senso artificiale, in quanto estraneo alla natura umana, introdotto dal di fuori e non emergente dal di dentro, rompe infatti il legame, per quanto questo possa esser saldo. Si ha allora, con la rovina del Tu e la rottura della relazione, la conseguente rovina dell'Io, ossia la sua morte anticipata; più precisamente, l'infelicità dell'Io.
   

Alterità ...


(Forma metrica: sestina narrativa)


Diverso eppure identico


Giunga il diverso dinanzi al mio sguardo
ed io con braccia tese gli andrò incontro
con lui rimarrò, colmo di riguardo
'ché certo non siam fatti per lo scontro:
le parole dette e quelle non dette
saran scagliate, simili a saette.

 E l'Io berrà dalla coppa dell'Altro
nettare traboccante e saporito
che nutrirà lo Spirito fin dentro
gli antri più riposti, all'infinito
di scienza imperitura pervadendolo;
da sciocchi pregiudizi liberandolo.

Così simile allora apparirà
la sua natura ed essenza profonda
se non identica: ripulirà
la coscienza, dalla sozzura immonda
gli orecchi cui l'ascolto era precluso
senno infine destando nell'ottuso. 

sabato 7 luglio 2012

Prigionia ...


Dovere civico, imperativo morale


La politica opera sempre una selezione di valori. La politica contemporanea pone gran parte della spiritualità e della cultura come non-valori.
Sembra, in effetti, che non vi sia spazio, all'interno della società, per i sentimenti e le passioni, così come per le idee e i pensieri; che sia in atto una sorta repressione dei desideri e della volontà; che immaginazione e fantasia abbiano perduto la loro serietà, e che l'intelletto sia stato abbandonato; che la forza dell'inconscio sia demonizzata e fuggita. Tutto ciò che fa la potenza dell'uomo è, in generale, emarginato, escluso o combattuto.
Questa crociata contro lo spirito si rivolge, di conseguenza, anche contro le manifestazioni dello spirito: l'arte è bandita e sostituita da una pseudo-arte di tipo commerciale, la filosofia è racchiusa all'interno della categoria del non-senso, la scienza, con le sue importanti scoperte teoretiche, è opportunamente celata, la religione è abbassata al rango di mera superstizione, la politica stessa come attività tradizionale di governo ha perduto la fiducia delle moltitudini, la storia è caduta nella dimenticanza.
L'unica facoltà apprezzata, e sopravvalutata, è la ragione; l'unica attività che abbia mantenuto importanza è la tecnica. Ma che cosa è mai la facoltà razionale se priva delle altre facoltà mentali? Un procedere pedante che non tiene conto di ciò che è veramente essenziale. E che cos'è la prassi della tecnica senza l'influenza benefica di una visione di pensiero? Una illimitata pratica di dominio e di manipolazione sugli uomini e sulle cose.
Pertanto, ogni uomo ha il dovere civico e l'imperativo morale di coltivare lo spirito e diffondere la cultura dello spirito. Soltanto in questo modo, infatti, ci si sottrae alle prigioni del disciplinamento e, al contempo, si offre la possibilità e l'occasione all'altro di sottrarsi anch'egli a una tale prigionia asfissiante.
     

Cultura ...


Definizioni di Spirito e Cultura e necessità della loro presenza e azione


Che cos'è lo Spirito? 
Lo Spirito è l'insieme dei prodotti della mente umana: sentimenti e passioni (affezioni in primo luogo mentali e poi, in secondo luogo, corporee), idee e pensieri, desideri e volontà; l'immaginazione, la fantasia, la memoria, la ragione e l'intelletto; l'inconscio e la coscienza. 

Che cos'è la Cultura?
La Cultura è il ricettacolo delle forme dello Spirito: l'Arte (nel senso più ampio del termine, a comprendere, oltre a scultura, architettura e pittura, la letteratura, la danza, la musica, il teatro, il cinema, la fotografia, eccetera), la Filosofia e la Scienza, ovvero lo Spirito teoretico; e poi la Politica e la Storia, ovvero lo Spirito pratico; infine la Religione, spiritualità insieme teoretica e pratica. 

Può un uomo fare a meno dello Spirito? No di certo. Può una società fare a meno della Cultura? Non può. Così come l'esistenza di un uomo privo di Spirito è una morte vivente, o una vita morente, l'esistenza di una società priva di Cultura è un degrado progressivo, o un progresso degradante. Spirito e Cultura si mostrano come caratteristiche peculiari dell'umanità, senza le quali l'umanità decade al rango di bestialità, oppure ancora più in basso, al rango di automaticità, o peggio ancora, al rango di inertità. L'uomo-bestia, l'uomo-macchina e l'uomo-merce sono allora i derivati dell'assenza di Spirito e di Cultura.

La presenza dello Spirito e della Cultura avvicina invece l'uomo al Dio: la loro essenza è infatti l'attività creatrice. La proliferazione dell'uomo-Dio non è altro che una conseguenza dell'azione dello Spirito all'interno dell'uomo, e della Cultura all'interno della società.