martedì 15 aprile 2014

Cura ...


Estremismo della compassione. Idee radicali e attuazioni per una pietà politica


I sentimenti umani possiedono un ruolo sociale. Se i sentimenti negativi (odio, invidia, gelosia, eccetera) contribuiscono a rompere i legami tra le persone e a far emergere fra di loro il contrasto, i sentimenti positivi (amore, ammirazione, fiducia, eccetera), al contrario, non fanno che sancire quei legami personali e destare concordia. Essendo la concordia il fondamento di ogni società, lo Stato ha il dovere di favorire quei sentimenti che sigillano l'unione e l'ordine e, viceversa, di osteggiare quelli che possono provocare un principio di disgregazione e di disordine nel tessuto comunitario. 
La compassione risulta essere, a questo riguardo, uno dei maggiori e più benefici sentimenti positivi, di contro all'apatia quale sentimento negativo tra i peggiori e più deleteri. Essa, generando sovente degli atti di pietà, fa sì che si producano e mantengano l'equilibrio e l'armonia tra i cittadini, quell'equilibrio e quell'armonia che incarnano il bene di una nazione. Pertanto, una politica sana non potrà che essere una politica compassionevole - giacché è il governo, in primo luogo, a dover dare l'esempio ai governati -, ovverosia una politica assistenziale rivolta alle minoranze emarginate e alle classi disagiate, e cioè agli strati della popolazione che più di tutti avvertono la necessità di un concreto soccorso statale. In tal senso, sarebbe utile e conveniente inserire, ad esempio, all'interno delle legislazioni nazionali una elemosina obbligatoria al fianco di quella facoltativa, sul modello dei paesi islamici.

Certamente, è merito delle religioni, e soprattutto di quelle religioni che sulla compassione fondano l'intera loro dottrina pratica, quali il Cristianesimo e il Buddismo, l'aver introdotto nella civiltà e radicato nelle coscienze morali la pietà verso i miseri - siano essi i poveri, gli oppressi o in generale i disgraziati - la quale prima era prerogativa esclusiva dei soli eroi magnanimi e dei grandi uomini nobili; in breve, la preoccupazione per le vittime. Ma quel che ancora non è stato raggiunto è un traguardo di gran lunga più difficile, un azzardo che renderebbe la comunità che lo attuasse la più avanzata tra le numerose comunità presenti nel mondo, la più perfetta dal punto di vista etico. Codesto traguardo si delinea come preoccupazione nei confronti dei carnefici, pietà verso coloro che fanno il male (essi pure, in verità, nient'altro che dei miseri), compassione piena e completa che include l'umanità infelice tutta. Lo Stato che arrivasse a comprendere il giovamento che deriverebbe da ciò sarebbe allora il più lungimirante, la società da lui governata la più equilibrata ed armonica, i cittadini a lui sottoposti i migliori in assoluto nella loro virtù. 
    

Beneficenza ...


Disamina del fenomeno della compassione


Compassione, ovvero condividere una passione; compatire, ossia patire insieme a qualcuno. Con tali parole indichiamo un sentimento che sorge nell'animo dell'uomo quando egli scorge, nell'aspetto altrui, i segni della sofferenza e dell'afflizione. Non appena compaia alla percezione, e primariamente alla vista e all'udito, il dolore di un essere, sia esso dolore di tipo fisico oppure di tipo psichico - quel dolore che deforma le pieghe del corpo e dell'anima martoriandoli impietoso sino al limite della sopportazione - ecco che allora anche il percipiente s'immagina di esperire il medesimo stato, e pertanto vien preso dall'angoscia e diviene così partecipe, in sé, del dolore dell'altro. Si tratta di un fenomeno spontaneo, involontario: dunque di un fenomeno naturale, il quale è spesso seguito, se abbastanza intenso, da una opportuna azione di assistenza nei confronti del bisognoso. 
Cotale dono - giacché con ciò invero si ha a che fare, con un dare, un concedere qualcosa nel limite delle proprie possibilità - non può dirsi un dono totalmente gratuito, né tale azione un'azione integralmente altruistica: anch'essi, il dono e l'azione in questione, muovono da una forma di egoismo, e precisamente dal voler liberarsi di quella situazione penosa condivisa, dal voler pacificare in tal modo la propria coscienza morale attraverso l'esecuzione di un dovere che non sempre coincide con un piacere, dal voler evitare o scacciar via il senso di colpa che deriva o deriverebbe dal caso di un mancato intervento. Senonché si ha qui a che fare con una forma di sano egoismo, di contro alle forme di egoismo malsano, quali sono, per esempio, il cinico disinteressarsi e fregarsene le mani, e il sorvolare sulla condizione di miseria esperita pascendosi nella propria indifferenza.
Vi è chi crede o ha creduto (e, parimenti, chi crederà) che il sentimento di compassione (e, con esso, l'opera pietosa) sia oltremodo dannoso: dannoso per sé stessi in quanto distoglie l'attenzione dall'esistenza del proprio Io verso l'esistenza di un qualsiasi non-Io, e di conseguenza fa sì che si rivolga a questo le cure che dovrebbero essere elargite primariamente o addirittura esclusivamente a quello; dannoso per gli altri in quanto offende l'orgoglio e il pudore del compatito aggiungendo lui una ulteriore ferita e lasciandolo nella vergogna di dover essere stato aiutato, cioè di non aver avuto la forza di aiutarsi da sé, e di aver dovuto esporre la propria intima debolezza per giustificare quell'ausilio richiesto o non richiesto. Può accadere, a questo proposito, che l'uomo che nella sua impotenza subisce il compatire possa anche non desiderare affatto l'ausilio altrui, e quindi possa trovarsi ad essere assistito contro la propria volontà, il che farebbe nascere in lui sdegno e rabbia e ingratitudine, oltre a esacerbare l'impotenza stessa che è causa principale della sua pena.
Ma se si osserva il fenomeno da una posizione più alta, si può comprendere che: ciò che si mostra come spontaneo e naturale, ciò che avviene nella propria interiorità senza il concorso del volere consapevole, è anche qualcosa di necessario. Ma ciò che è necessario, da un lato, non può essere contrastato nel suo presentarsi, dall'altro, genera infelicità se vien represso una volta che si sia presentato; ciò che dona un aiuto, se l'aiutato lo richiede o se, pure non richiedendolo, manifesta di averne bisogno, allevia o addirittura fa cessare la sofferenza e l'afflizione proprie e altrui. L'alleviamento o la cessazione dei patimenti, però, risultano essere evidentemente benefici per sé stessi come pure per gli altri; l'assistenza pietosa, se rende felici e se porta il bene, non può che unire, introducendo una comunanza d'amore, coloro che prima erano divisi. Il compatente e il compatito infatti ora condividono una passione e un debito reciproco, i quali li legano indissolubilmente l'uno all'altro. 
Compatire è, esattamente e in senso proprio, un rafforzarsi vicendevole per cui un soggetto accorda parte della propria energia a un altro soggetto, affinché entrambi possano acquietare sé stessi e trascorrere una vita più paga.

Agape ...


(Forma metrica: ode)


Bonaria compassione


Lode a te, che sei simile
bonaria compassione
a colomba mirevole
e a singolar tenzone:
odiosa infatti e amabile
ti mostri in verità.

Divino rendi l'animo
dell'animale umano
quando appari, ché adito
mai non dai a malsano
egoismo, e a rigida
funesta aridità.

E così dunque uomini
unisci in stretti lacci;
Cristo e Budda l'insegnano
ammantati di stracci:
amate il vostro prossimo
spargendo carità.

Ché non sarà mai saturo
d'amore il cuore altrui
che si dimena misero
solo, in antri bui;
tu lo renderai madido
d'abbagliante pietà.

Ma in vasti mari naviga
- mari d'indifferenza
placidi - mente cinica
e non coglierà lenza
egli, quando uno spasimo
dolente avvertirà.
 

lunedì 10 marzo 2014

Progresso ...


Tradizione e innovazione


Nell'epoca della globalizzazione l'ideale di famiglia tradizionale deve essere rivisto alla luce delle nuove dinamiche sociali, essendo oramai la famiglia intesa come raggruppamento di padre-maschio, madre-femmina e figli (maschi e femmine) qualcosa di superato. La liberazione sessuale ha permesso infatti alle persone di orientamento "omo" di venire alla luce e di porsi sullo stesso livello di quelle d'orientamento "etero", dimodoché anch'essi oggi rivendicano il diritto a sposarsi e ad avere dei figli. Deve la politica assecondare l'andamento dei tempi e regolamentare, mediante la legge, codeste ultime esigenze, oppure deve opporsi a cotale andamento rifiutandosi di riconoscere le emergenti realtà umane, ostacolandone l'insorgere o addirittura impedendole?
La legalizzazione del matrimonio omosessuale pone diversi problemi. Innanzitutto il problema religioso: l'omosessualità viene infatti giudicata, dalla religione cristiana - ma anche da quella ebraica e da quella islamica - come un abominio, e i suoi atti amorosi sono reputati atti immondi. Perciò difficilmente la Chiesa accetterebbe una ipotesi del genere, e lo Stato sarebbe costretto, qualora volesse procedere sulla propria strada, a passare, mediante le proprie istituzioni, sopra la volontà delle istituzioni ecclesiastiche. Altro problema risulta essere l'opposizione delle correnti tradizionaliste, le quali rifiutano l'idea di una famiglia atipica, credendo quest'ultima una degenerazione dell'istituto familiare normale, o peggio il principio della sua disgregazione. Entrambe le linee si trovano in accordo riguardo alla presunta innaturalità del secondo modello familiare rispetto al primo, visto al contrario come naturale.
La legalizzazione dell'adozione di bambini per le coppie gay suscita problematiche ancora più complesse. Ci si deve chiedere se la sostituzione del dualismo sessuale dei genitori con un monismo sessuale produca o meno conseguenze negative per i piccoli, che subiscono l'influsso e l'educazione dei loro tutori, e a tali questioni deve essere data risposta sicura.
L'affermazione dell'innaturalità della coppia puramente maschile e di quella puramente femminile non ha alcun fondamento. Se infatti si vuol considerare innaturali una tendenza e un atteggiamento, occorre necessariamente che questi non si diano in natura. Ma le tendenze e gli atteggiamenti omosessuali sono presenti nella società umana sin dall'antichità, e possono essere osservati persino nell'universo animale in genere. Ciò basta per smontare le pretese dei clericali e dei tradizionalisti.
La natura di qualunque essere vivente si adatta spontaneamente alle condizioni circostanti, modificandosi in relazione all'ambiente che si offre ai sensi, secondo la legge evolutiva. L'essere umano di fronte all'ambiente familiare non fa eccezione; inoltre, i suoi bisogni si rivolgono non tanto alla persona, quanto a quei doni che la persona è in grado di elargire. Questo vuol dire due cose: da un lato, il bambino volge sempre a proprio bene la situazione familiare impostagli; dall'altro, egli ha bisogno di amore, indifferentemente del fatto che a darglielo siano una coppia uomo-donna, uomo-uomo o donna-donna. La conclusione è presto detta: il bambino saprà trarre beneficio dalla sua famiglia, a patto che la sua famiglia lo ami abbastanza da permetterglielo. Il figlio allora identificherà coloro che si prendono cura di lui come i propri genitori, sebbene in verità non loro ma altri l'hanno generato, e individuerà in loro una figura paterna e una figura materna, un padre e una madre, anche se essi appartengono al medesimo genere sessuale. 

Psicologia ...


Esposizione dei complessi di Edipo e di Elettra


La famiglia intesa in senso ristretto, quale nucleo familiare composto esclusivamente di padre, madre e figli in reciproco legame, ha radice nei fondamentali complessi psichici di Edipo e di Elettra, per mezzo dei quali si instaurano quei peculiari rapporti affettivi che determineranno in maniera essenziale la futura convivenza tra i singoli membri. 
Nel momento in cui il figlio, maschio o femmina, viene all'esistenza come neo-nato, egli possiede già un'intimità originaria con la madre in quanto corpo nel quale si è ritrovato a vivere, in stretta simbiosi, durante i suoi primi nove mesi di vita. Se la fusione iniziale viene meno quando il pargolo fuoriesce dal ventre materno e il cordone ombelicale viene tagliato, non può dirsi altrettanto riguardo all'interdipendenza, che invece permane; in definitiva, l'unione dei corpi si spezza, ma l'unione delle anime si mantiene eternamente. Il padre, al contrario, difetta di qualsivoglia tipo di intimità naturale con il figlio, e deve pertanto costruire a forza il proprio legame, imponendosi e mostrandosi come figura sentimentalmente e pedagogicamente imprescindibile. 

Il complesso di Edipo si delinea come quell'insieme di fenomeni che procedono dallo svolgimento della relazione tra il padre, la madre e il figlio di sesso maschile. Sin dal principio il figlio ama la madre di un amore spontaneo, giacché lei risulta essere, per lui, la fonte primaria del nutrimento - il latte, quale nutrimento del corpo, e l'affetto, quale nutrimento dell'anima - e del piacere - il piacere fisico derivante dalla suzione del seno, e quello psichico derivante dalla stimolazione sensoriale - (l'amore, infatti, ha nascimento innanzitutto dal bisogno). Codesto amore si perpetua nei primi anni della crescita; al contempo il bambino sviluppa, in conseguenza dell'amore per la madre, un odio nei confronti del padre in quanto colui che si appropria dell'oggetto del suo desiderio (l'amore, infatti, è innanzitutto desiderio di possesso). La passione, radicata nell'animo del fanciullo, innesca l'inevitabile conflitto con la figura paterna. Giunti a questo punto, la maturazione passa attraverso il superamento del conflitto: il figlio subisce lo smacco di non poter avere per sé la madre, e al trionfo del padre si accompagna la fine della conflittualità e il cominciamento del rapporto familiare ordinario. Tale passaggio è predisposto dalla fantasia del piccolo: esplorando il proprio corpo egli nota di essere munito del pene; inizialmente, crede che l'organo sia proprio anche degli altri membri della famiglia, la madre in primis (si parla, a riguardo, di "madre fallica"); scoprendo poi che la madre e, se ne ha una, la sorella, non presentano quel particolare privilegio, e che invece il padre lo presenta, si immagina che il padre abbia punito la madre, ed eventualmente la sorella, castrandole e privandole così del fallo. Sorge quindi in lui il timore della punizione paterna, la paura della castrazione, il terrore che possa essergli estirpato con la violenza ciò che gli appartiene. Di qui il cedimento, ovvero la rinuncia alla pretesa di possesso della madre e la successiva alleanza con il padre, riconosciuto e ammirato come possessore di colei che egli non potrà mai possedere. 
Di contro, il complesso di Elettra raccoglie quell'insieme di fenomeni che procedono dallo svolgimento della relazione tra il padre, la madre e la figlia di sesso femminile. La femmina, così come il maschio e per i medesimi motivi, prova amore nei confronti della madre prima ancora di provarne per il padre, e solo successivamente il suo desiderio si volge verso il sesso opposto. Anche in questo passaggio risulta determinante la fantasia della bambina: ella ben presto vede la nudità del padre e, in caso, del fratello, e si accorge di non possedere il membro maschile; frustrata da cotale mancanza, presa dall'invidia per il pene, reputa la madre responsabile della castrazione già avvenuta, e la delusione fa sì che in lei sorga un'ostilità verso la propria genitrice, e che si innamori invece del padre in quanto possessore esclusivo di ciò che anch'ella vorrebbe possedere. L'ostilità diviene allora odio aperto e competizione con la madre per il possesso del padre, e il superamento di codesta rivalità potrà attuarsi solamente grazie alla pazienza e all'intelligenza materne, ovvero grazie alla costanza del rifiuto, da parte del genitore di sesso femminile, dello scontro con la figlia e alle sue continue cure e premure nei confronti della fanciulla in vista della conciliazione con lei. 

La madre, in definitiva, è la figura centrale. In entrambi i processi il padre è quasi un'aggiunta secondaria, la sua presenza quasi un alcunché di accidentale, il suo influsso un influsso esterno. Lei è l'incarnazione della Natura genuina e necessaria, lui della contingente e artificiosa Cultura, e in questo dualismo si mostra rappresentata non soltanto la famiglia, bensì la società intera nel suo sviluppo.
 

Stille ...


(Forma metrica: terzina incatenata)


La famiglia


Sorge il feto nel ventre della madre
simile a gemma di rosa che schiude
frutto d'amore, e membra leggiadre

da grumo di cellule affioran nude;
ella è il legame che giammai perisce
che al Distruttore l'opera preclude.

Il suo sangue in altre vene fluisce
incessante fiume, non in me solo:
prole fraterna e sorerna fiorisce

in egual modo e l'ali del mio volo
son le medesime loro. Lo stesso
è il grembo, il vasto crogiolo

da cui un giorno nascemmo in folle amplesso;
sul rovente letto seme fecondo
fu seminato, vigore trasmesso:

lei aprì l'organo suo fremebondo
come rapita dal gagliardo padre
nettare egli versò nel nero fondo.


venerdì 14 febbraio 2014

Diritto ...


Sull'appellativo di giusto riguardo alla legislazione e alla politica


Se si definisce la giustizia come l'essere conforme alla legge, allora si può pensare che tutte le leggi, quali che siano, siano giuste. Come può, ci si chiederà a questo punto, una cattiva legge - una legge repressiva di qualche libertà fondamentale oppure una legge iniqua - essere, nonostante ciò, detta giusta? Ma la questione, in verità, non è così posta nel modo più appropriato. 
Si dovrebbe piuttosto pensare alla legge come a un qualcosa che può essere o non essere conforme a una legge superiore. Si consideri ad esempio il diritto nazionale e il diritto internazionale: se le direttive del primo si mostreranno in accordo con le direttive del secondo, ciò vorrà dire che il primo si sarà guadagnato l'appellativo di giusto. Una legge inferiore è quindi giusta se concorda con una legge superiore. E la legge superiore, quand'è che sarà dichiarata giusta? 
La risposta a codesta domanda è semplice: se non vi è nessun'altra legge al di sopra di quella ad aver valore maggiore, quella legge non sarà né giusta né tantomeno ingiusta. Infatti, è la politica a fare le leggi e a rendere tutto quel che cade sotto il dominio delle leggi giusto oppure ingiusto, a seconda che si accordi o meno con esse, e da ciò consegue che, essendo gli uomini a fare la politica, la legislazione e la giustizia si rivelano come produzioni esclusivamente umane, aventi un carattere relativo e non invece assoluto.
Se poi determinate leggi siano utili o inutili alla comunità, adeguate o inadeguate a risolvere una certa problematica sociale, è oggetto di discussione. Una legge, essendo produzione umana, e potendo gli uomini sempre ingannarsi e commettere errori; potendo addirittura intenzionalmente recar danno allo Stato e ai cittadini per perseguire indegni fini personali, può risultare controproducente e nociva. Eppure questo non ha nulla a che vedere con il suo essere giusta o ingiusta: giusto è infatti nient'altro che ciò che è legittimo, ciò che è giustificato dal diritto e dalla politica che genera il diritto.

Norma ...


Critica dei concetti di giustizia e di bontà e fusione di legalità e moralità


Il senso comune confonde sovente la giustizia con la bontà, eppure i due concetti non si equivalgono. Giustizia è giudicare e agire secondo la legge - giudicare, nel caso in cui il soggetto incarni il mestiere di giudice; agire, nel caso in cui il soggetto si presenti come un cittadino ordinario (colui al quale non sia concessa la cittadinanza non è obbligato a seguire le norme della città, e la pretesa che debba farlo pur non ricevendone in cambio i diritti è assurda) - bontà è, invece, giudicare e agire secondo la morale - giudicare, nel caso del possessore di autorità spirituale, ovvero il sacerdote; agire, nel caso del laico, sia esso credente o meno (infatti le categorie mentali mediante le quali decidiamo e agiamo sono le stesse, date a priori, e la coscienza di ogni uomo si erige su una struttura trascendentale di base edificatasi attraverso l'educazione e l'influsso della cultura di appartenenza). Pertanto, il giusto e il buono si distinguono, e l'uno e l'altro possono presentarsi isolatamente. 
Il giusto, per essere tale, non ha bisogno di essere buono: gli basta obbedire ai codici e alle regole scritte del proprio Stato. Anzi, se si è giudici, occorrerà possedere una certa dose di malvagità per condannare e punire l'ingiusto, cioè colui che ha violato la legge, e maggiormente severa sarà la pena, maggiore sarà la cattiveria di cui il giudice dovrà essere munito affinché egli stesso sopporti il male recato. Il principio di qualsiasi legislazione è infatti: sia dato il male ai malvagi, e tanto più male quanto più se ne è compiuto. Persino il Giudice supremo non potrà allora essere al contempo infinitamente buono e infinitamente giusto.
Il buono, viceversa, non ha bisogno di essere giusto, giacché gli basta obbedire ai principi e ai doveri impostigli dalla sua religione. Qui si nota una potenziale contraddizione tra legislazione e morale, data dal fatto che il buono, per salvaguardare la propria bontà, potrebbe risultare impossibilitato ad agire giustamente. Ma tale antinomia trova risoluzione nell'integrazione della morale all'interno della legge, dimodoché le norme morali coincidano con le norme legali, e nell'inserimento del principio di obbedienza alla legge nell'insieme dei precetti morali, cosicché l'azione giusta si delinei anche come azione buona.

Dike ...


(Forma metrica: verso pari)


Il verdetto


Tribunale della Ragione, giudicami
come un tempo giudicasti
i miei padri, e severo li punisti
(Ragione infatti è ogni norma
da mani umane scritta o non scritta);
pondera
saggio i pro e i contra
e emetti fermo verdetto.
Sulla bilancia tua dorata il mio torto
sia pesato:
possa essere piuma d'uccello! Pena altrimenti
e castigo cadranno sul capo mio lordato
a mondarlo
dai suoi crimini meschini;
a ripulirlo da macchia infame.
'Ché tale è l'Inferno
sofferenza, e condanna
ma invero anche dolce sollievo e pieno riscatto.
Espiata la colpa, vedrò infine
la luce. Sarà Giustizia.
E con essa verrà duratura pace.
 

martedì 14 gennaio 2014

Riconoscimento ...


Razzismo etnico o etnismo razzista


L'odierno razzismo si contraddistingue per un'attenzione posta sugli elementi culturali più che su quelli naturali. Fermo restando il fondamento biologico della diffidenza e del timore nei confronti del diverso, inteso innanzitutto come diverso d'aspetto, ovverosia avente caratteristiche fisiologiche altre dalle nostre, si sono giustapposte, in epoca recente, una diffidenza e un timore verso la diversità spirituale, e cioè verso i valori, le tradizioni e le concezioni dissimili, nei quali noi non ci rispecchiamo e che, a partire dal nostro universo educativo, fatichiamo a comprendere (e spesso nemmeno ci impegniamo a conoscere). Se fino alla metà del secolo, quindi, era in auge l'idea di razza, legata appunto alla classificazione delle qualità fisiche ed esteriori, oggi sembra essere in voga, piuttosto, l'idea di etnia, che riguarda, di contro, le qualità psichiche e interiori. 
Il razzismo odierno, insomma, si delinea come razzismo etnico, o etnismo razzista. In pochi oramai credono, fortunatamente, nella presenza di proprietà genetiche che rendano un tipo umano inferiore o superiore rispetto ad un altro avente proprietà genetiche differenti, e nondimeno si crede che vi siano delle culture inferiori e superiori, e quindi dei portatori di cultura inferiori e superiori. Ad esempio, sembra essere appurata, su basi perlomeno precarie, all'interno dell'opinione pubblica occidentale, sia essa alta - la comunità intellettuale, le persone colte - oppure bassa - l'umanità media, la gente semplice -, una presunta superiorità artistica, scientifica, filosofica, politica, religiosa e morale delle popolazioni d'Occidente sopra a quelle d'Oriente e soprattutto Medio Oriente, ma anche delle popolazioni nordiche su quelle sudiste, come se le società del Nord-Ovest possedessero un più alto grado di civiltà in confronto a quelle del Sud-Est del mondo. Ma la stessa cosa può dirsi delle società da noi ritenute inferiori, le quali solitamente reputano sé stesse superiori, per purezza o sviluppo, alle altre.
Si tratta evidentemente di forme di narcisismo. Ma la verità è che nessuna società, e nessun uomo, può dirsi in toto superiore o inferiore rispetto ad un'altra e ad un altro. Vi saranno sempre, quale che sia la comparazione, determinati fattori di superiorità al fianco di altrettanto determinati fattori di inferiorità a convivere insieme in uno stesso giudizio, a patto che questo sia accurato e scrupoloso. Capire ciò, e accettare (non tollerare, giacché la tolleranza implica un rifiuto e una mera sopportazione di ciò che risulta non ancora accolto) ogni diversità avvicinando il proprio sguardo a essa e imparando ad apprezzarne le componenti migliori, è nient'altro che una questione di intelligenza. Ebbene, la politica degli Stati deve prenderne atto e agire di conseguenza, all'interno come pure all'esterno dei propri confini, particolarmente in un'era in cui la globalizzazione costringe alla convivenza tra uomini e tra culture eterogenei, il che implica la necessità dell'integrazione e dell'assimilazione. 
  

Zoologia ...


Dimostrazione dell'insussistenza della razza e conseguente infondatezza del razzismo


Il concetto volgare di razza ha origine da un fraintendimento della scienza biologica in relazione allo studio del regno animale. La comprensione ordinaria crede che sussista - accanto alle determinazioni tassonomiche di dominio, regno, divisione, classe, ordine, famiglia, genere, specie e varietà - la determinazione di razza in quanto appartenenza a un raggruppamento di individui affini definito da identificabili caratteristiche fisiologiche omogenee ereditarie. In verità però tale determinazione non è riscontrabile né tra gli esseri animali né tantomeno tra gli esseri umani, o, più precisamente, nell'ambito delle categorie biologiche sunnominate rientrano tutte le tipologie di esseri osservabili all'interno della mondanità empirica e perciò il termine "razza" si mostra perlopiù come obsoleto.
Quando invece si parla di razze canine, feline ed equine non ci si riferisce a individui selvatici aventi qualità comuni, generatisi spontaneamente dal seno della Natura e sviluppatisi mediante processo evolutivo, bensì a individui addomesticati prodotti artificialmente attraverso incroci mirati e passati attraverso una intenzionale selezione umana allo scopo di far sorgere, preservare, migliorare certe caratteristiche reputate utili piuttosto che altre considerate inutili alle esigenze dell'uomo. In breve, è l'essere umano stesso a creare la razza (non soltanto il concetto astratto, ma anche il corrispettivo concreto), la quale non si dà nella realtà. 
Se ciò è vero allora risulta destituito il fondamento stesso del razzismo, ovvero della discriminazione razziale nei confronti di alcuni esemplari umani (peraltro scelti in maniera pressoché arbitraria e pregiudizievole), motivo ideologico malsano eppure, ahimé, ancora diffuso. Se infatti non sussiste razza alcuna all'interno del regno animale, non sussisterà nemmeno, e a maggior ragione, all'interno di quella specie, o regno a sé stante se così lo si vuol definire non a torto, che è la specie umana. Come potrebbero infatti presentarsi razze umane se non vi è e non vi può essere nessuno - giacché effettivamente non si dà un superiore organismo vivente - a produrle intenzionalmente?
La storia, millenaria, ha provveduto alla mescolanza delle innumerevoli varietà di uomo e gli uomini non hanno domandato che razza avessero di fronte a sé per decidere dell'accoppiamento e della procreazione. Dunque non esistono tipi umani incontaminati e popolazioni pure, ma tutti i tipi e le popolazioni hanno inevitabilmente subìto la combinazione e l'amalgama dei patrimoni genetici iniziali per dar luogo a infinite mutazioni e, pertanto, a infinite forme, che non cessano continuamente di innovarsi, anche in relazione all'ambiente, ed è codesto un processo irreversibile, inarrestabile ed essenziale al progredimento della specie umana medesima, altrimenti condannata alla stasi evolutiva e al ristagno della propria potenza. 

Identità ...


(Forma metrica: verso dispari)


L'umanità (al di là di razza ed etnia)


Oh uomo, donami una razza
che sia negra, araba o slava;
sia caucasica oppure
 mongola, begli occhi di mandorla.
Ma sia pure amerinda
rossa epidermide
o latina, mediterranea stirpe;
sia delle genti
del Nord, bionda chioma dorata
sia quale sia.
Donami uomo una dimora
sicura in cui abitare, e una famiglia copiosa
tra cui sentirmi a casa:
abbia io padri, e fratelli numerosi
'ché solitudine non voglio e posso
sopportare, enorme giogo.

Ma donami anche
splendida etnia
cultura grande in cui specchiar la mia natura
mutevole (al suo ambiente essa
placida si adatta, l'eredità e le forme
variando, i caratteri
e il variopinto aspetto);
donami lingua comune e miti sontuosi
patrimonio di concetti e di dèi:
che a pensar mi insegnino, e ad agire
edificando ampia visione
e comprensione vasta
delle cose che sono
mediante quelle che invece non sono
lungo dito che indirizza lo sguardo verso lidi
ch'io solo vedo.

Oppure, uomo che generi razze
ed etnie, lascia parlare
l'umanità, sostrato
imponente di corpo anima e spirito;
lascia che dica
essa parole sagge 
e sapienti: eguali invero noi siam tutti
al di là delle distinzioni
unico popolo
e universale nazione che anela 
a unico e universale Stato.


domenica 8 dicembre 2013

Telos ...


Finalità prima e ultima dell'operato statale e dell'agire politico


Qual è il bene dello Stato? Il bene di qualcosa è ciò verso cui quella cosa si volge come al proprio fine. Il fine dell'operato statale non può che essere lo scopo ultimo che guida tutte le iniziative pubbliche. Ogni iniziativa si dirige in effetti a uno scopo particolare, ma qui si intende delineare - o meglio, rammentare, in quanto pare essere caduto nell'oblio - il proposito generale che sta, o dovrebbe stare, dietro a qualsiasi agire politico e ne determina, o dovrebbe determinare, il valore. 
Giacché la politica è materia di uomini, occorre partire dall'essere umano. Il fine dell'essere umano è la conservazione, l'affermazione e l'accrescimento della vita dell'individuo e della specie, come principalmente vuole l'istinto. Quando lo Stato, ovvero la sola forma della sovranità, nacque assieme alla comunità umana (ogni raggruppamento sociale ha infatti bisogno di uno Stato che amministri e governi per far sì che sia realizzabile la convivenza civile e non si produca il caos dell'anarchia. Il termine "Stato" va ovviamente tradotto non in senso di Stato moderno, Stato-nazione, Stato occidentale, e simili, ma come "qualsivoglia forma di sovranità di qualsivoglia società", sia essa primitiva o sviluppata, antica o recente), il suo scopo non poteva che essere quello condiviso da tutti gli uomini al di là delle loro distinzioni di personalità, carattere, intelligenza e forza, cioè creare una struttura di ordine nella quale fosse possibile conservare, affermare e accrescere la vita umana al meglio. Tale obiettivo esprime l'essenza della politica.
Se ciò è vero, allora quella struttura stessa e quell'ordine devono essere conservati, affermati e accresciuti, affinché si mantenga, imponga ed elevi la sua efficienza. Da questo consegue che il fine e il bene dello Stato è: conservare, affermare e accrescere sé stesso, in vista della conservazione, dell'affermazione e dell'accrescimento della vita dell'essere umano, e tutti i fini e i beni secondari sono compresi in codesto fine e bene primario e debbono servirlo, tanto che, se ciò non avviene, la politica si corrompe e decade immiserendosi.

Adamo ...


Passaggio dai beni relativi al Bene assoluto


Il termine "bene", posto come soggetto - il Bene ... - o come predicato - ... è bene -, designa, in filosofia, il concetto morale sommo. Essendovi un riferimento alla morale, esso non può che riferirsi all'essere umano, solo esecutore, e a volte artefice, di imperativi morali, nonché alla Divinità, origine diretta o indiretta di quelli (e in quest'ultimo caso l'uomo non è altri che un mediatore). Ora, qual è mai il Bene, ovvero ciò che è bene in assoluto, e quali invece i beni relativi?
Si dice bene ciò che appaga lo spirito o il corpo, oppure entrambi spirito e corpo, recando loro piacere e gioia. Ma ogni persona, ed ogni civiltà, possiede determinate idee di ciò che può essere considerato buono e di ciò che non può esserlo, e tali idee differiscono spesso tra loro, tanto che ciò che una persona, o una comunità di persone aventi la medesima cultura, reputa buono, può sembrare a un'altra persona o comunità qualcosa di malvagio. Ad esempio, si può considerare buona la ricchezza e cattiva la povertà, buono l'essere sensuali e cattivo l'esser casti, e, a seconda dei propri giudizi e pregiudizi - i quali essenzialmente dipendono dalla presenza o meno, nei comportamenti altrui, di un accordo con i precetti della morale personale e della morale collettiva -, buona una persona o una civiltà, e cattiva la persona o la civiltà avversa; ma anche viceversa, in un'inversione di valori della quale vi è ampia manifestazione nella vita quotidiana e nella storia dell'umanità. Di qui la relatività dei singoli beni. 
Nondimeno sussistono dei beni stabili, che sono tali per tutte le persone, di qualsiasi civiltà si tratti. L'assennatezza e la pietà sono beni di codesto tipo, di contro alla pazzia sconsiderata e alla crudeltà bieca, sempre e comunque dei mali. Ciò vuol dire che sussistono basi certe, i cosiddetti beni assoluti, sulle quali potersi costruire una morale universale, a partire da tutte le morali particolari preesistenti. Detto ciò non si è però ancora giunti a identificare il Bene assoluto. Con Bene assoluto noi indichiamo Dio e con egli il suo volere, che non può essere se non volto al meglio, come si addice al Divino. Può l'uomo scorgere un tale Bene? Se ci sono dati messaggi a riguardo, se vi sono segnali a indicarlo, questi non possono che trovarsi nell'interiorità umana innanzitutto, e secondariamente nei prodotti di questa interiorità (tradizioni, dottrine tramandate, testi sacri, eccetera). Cosa ci insegna allora l'anima?
L'anima insegna che vi è un istinto che preme, mediante pulsioni inconsce e desideri consapevoli, per essere appagato. Codesto istinto mira in ogni modo, non meramente alla conservazione dell'individuo e della specie, bensì all'affermazione e all'accrescimento della "vita", e ciò anche a costo della repressione o sublimazione di numerose tendenze particolari in vista della ben più importante tendenza generale. La vita personale e collettiva, e la vita collettiva più di quella personale in quanto la preservazione di quella è condizione della preservazione di questa, deve essere conservata, affermata, accresciuta. Così la Natura vuole per mezzo dell'istinto e con ciò ella indica noi il Bene assoluto; di conseguenza qualsiasi altro bene che sia riconosciuto al di fuori di questo unico risulta essere un bene relativo.  

Sole ...


(Forma metrica: madrigale)


Il baleno


Riluce il Bene come astro del cielo
e lo spazio dell'anima riflette
il suo baleno; d'erba un verde stelo

si leva, e docile si rimette
al giudizio del giorno. Sicché l'uomo
se dentro è prato vasto, alle vette

più alte giunge, retto essere mai domo
e in tal modo espia la colpa del pomo.

domenica 3 novembre 2013

Unione ...


Per il principio dell'unità dello Stato


Circa centocinquant'anni fa si compié quel processo che oggi denominiamo unità d'Italia (la data convenzionale è il 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, ma in verità l'unificazione fu portata a termine solamente nel 1919, con l'annessione di tutti i territori della penisola). La Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore nel 1948, sanciva codesta unità quale uno dei fondamenti dello Stato. Tuttavia, nel 2001 venne approvata, mediante referendum, una riforma che introduceva principi di federalismo nel testo costituzionale.
Le modifiche riguardarono alcuni articoli relativi all'ordinamento territoriale italiano: risulta innanzitutto ampliata la funzione legislativa attribuita alle regioni; se in precedenza erano espressamente indicate le competenze regionali e la potestà su tutte le materie non indicate era dello Stato, ora al contrario sono indicate, e dunque limitate, le competenze statali, mentre la potestà su tutte le altre materie viene assegnata alle Regioni. Risultano poi ampliate anche le funzioni amministrative, organizzative e finanziare degli enti locali - Regioni, Province e Comuni - aventi adesso maggiori poteri, autonomie e responsabilità rispetto al passato. Infine, nei rapporti tra lo Stato e gli enti locali, risultano diminuite le possibilità di intervento normativo del primo nei confronti dei secondi e aumentate invece quelle dei secondi nei confronti del primo. 
Gli emendamenti suddetti minano il principio dell'unità, conquistato con il sudore e con il sangue del popolo italiano durante il Risorgimento. Oltre a ciò, i risultati a cui essi hanno portato sono sotto gli occhi di tutti: dal 2001 a oggi la corruzione all'interno degli organismi locali, privati del controllo statale, ha raggiunto gradi esorbitanti; numerosi enti si ritrovano a essere ostaggio delle mafie e delle criminalità organizzate, certamente più forti e influenti a livello locale piuttosto che a quello statale; la tassazione ha ricevuto un'impennata consistente a causa delle delibere regionali, provinciali e comunali; interi servizi, quali la sanità e l'istruzione, sono in rovina anche per via della cattiva gestione da parte degli organi preposti. Il quadro generale (che non potrà se non peggiorare nel caso di un effettivo completamento della forma federalista, struttura culturalmente e materialmente non adatta alla realtà italiana) è quello di una Stato incapace di far fronte ai problemi e alle esigenze istituzionali e collettive, non solo perché colpito dall'inettitudine del personale politico, o in quanto subisce la mancanza degli strumenti necessari, bensì pure per l'assenza di una base legislativa adeguata, che riconoscendo l'unione, non soltanto del territorio in sé, ma delle funzioni di conduzione degli organi territoriali, permetta l'imporsi di una determinata efficienza nell'azione degli enti locali e di una conseguente stabilità in tale campo governativo.

Unità ...


Discorso sopra la categoria dell'Uno


La Filosofia non ricerca la verità in quanto esatta certezza, come fa invece la Scienza; piuttosto essa ricerca l'unità, che si identifica di fatto con la verità intesa come illatenza e svelamento. L'Uno - non il Vero - è la categoria che guida la disciplina filosofica nel suo peregrinare, e questo processo si delinea pertanto come un processo di comprensione. Comprendere significa appunto racchiudere il molteplice delle idee e dei pensieri, il quale corrisponde al molteplice che è proprio delle cose, in una visione generale o pensiero unitario, che rispecchi la generalità e unitarietà del Tutto. 
D'altronde, Uno e Tutto si identificano l'uno con l'altro. Se il Tutto ci appare diviso nelle sue molte parti, di cui noi facciamo esperienza continua, ricondurre queste molte parti all'Uno è il compito ultimo della Filosofia. Come potrebbero infatti le parti singole presentarsi in maniera separata? Come potrebbero sussistere se non fossero, al fondo, legate vicendevolmente? Sapere è aver scovato tali legami a partire dai molti, ed esser poi risaliti all'insieme che li raccoglie. Tutto ciò che appare distinto al senso comune va quindi ricongiunto attraverso l'individuazione di un elemento sostanziale o causa prima, e questa opera si compie mediante l'intelletto e l'intuizione, facoltà somme del filosofo. 
Ma l'Uno si compone della Diade. Con il termine Diade mi riferisco genericamente alle opposizioni di contrari ovunque ravvisabili nei domini del mondo e del pensiero, e in complesso rappresentabili nel simbolo cinese Tao (che può essere tradotto con "la Via"), unione armonica dei principi yin e yang. Secondo la tradizione, yin si mostra quale elemento negativo e passivo: il buio, l'odio, il male, il freddo, la notte, la luna, l'inverno e l'autunno, la terra e l'acqua, la morte e la guerra, la materia e il corpo, la passione, la natura, la femmina, eccetera; al contrario, yang si mostra quale elemento positivo e attivo: la luce, l'amore, il bene, il caldo, il giorno, il sole, l'estate e la primavera, il cielo e il fuoco, la vita e la pace, lo spirito e la mente, la ragione, la cultura, il maschio, eccetera. Tutte le polarità possono essere ridotte a questi due elementi, che perennemente lottano l'uno contro l'altro eppure permangono assieme nella quiete. Ebbene, comprendere il Tutto è in primo luogo scorgere le contrarietà opposizionali e in secondo luogo riportarle nell'integrità dell'Uno.  
 

Panteismo ...


(Forma metrica: rondò)


Hen kai Pan


In lungo e in largo ho voltato lo sguardo
e ti ho cercato, qui e pure altrove.
T'immaginavo simile a vegliardo
Signore che ogni cosa fissa e muove.

Ma io dell'esistenza tua le prove
non riuscii a vedere: come oscurato
 il mio sguardo, sotto un cielo che piove
lacrime d'abbandono, estenuato.

E vagava l'animo malandato
in aridi deserti camminando
e l'eco del respiro mio affannato
nell'aria volteggiava sperso. Quando

 un giorno d'improvviso ridestando
dal torpore la coscienza sopita
allontanai il ragionare nefando
e risvegliai la mente annichilita.

Ricco di nuova salute e di vita
finalmente compresi: non tra i molti
t'avrei trovato, conoscenza ambita
'ché tu sei Uno; l'ignoran gli stolti.

 Il sacro intuito degli uomini colti
ci insegna che Egli, nostro baluardo
coincide col Tutto, ne siamo avvolti
e in questo abbraccio di fiamma, io ardo.


giovedì 3 ottobre 2013

Costi ...


Teorie dell'inflazione: una sintesi


Vi è molta incertezza, all'interno della scienza economica, riguardo al fenomeno dell'inflazione e alla sua interpretazione. Si ha in effetti difficoltà a scorgere una teoria adeguata, avente pieno riscontro nell'oggettività dei fatti, e che ponga in accordo le opposte fazioni. Il motivo di ciò è presto detto: l'inflazione è un caso sociale estremamente complesso, che come tale si sottrae alle spiegazioni unilaterali, sin troppo semplicistiche.
Innanzitutto va data una definizione del termine: in economia si dice "inflazione" l'aumento complessivo del livello medio generale dei prezzi, o la diminuzione progressiva del potere d'acquisto della moneta. Tale definizione è condivisa da tutte le scuole economiche, le quali però si dividono su quelle che dovrebbero essere le cause del fenomeno. Per i cosiddetti monetaristi, seguaci dell'economista e premio Nobel Milton Friedman, l'inflazione risulta essere causata da un aumento eccessivo della quantità di moneta circolante a fronte di una penuria di merci prodotte. Codesta spiegazione, che è fondamentale ma non tiene conto di tutte le sfacettature del caso, è divenuta oggi, nella volgarizzazione del senso comune, ancor più ristretta: l'inflazione si genererebbe automaticamente come effetto dell'immissione di moneta nella circolazione. Diverso il parere dei keynesiani, aventi come maestro e ispiratore l'economista John Maynard Keynes: per essi l'inflazione nasce da un eccesso della domanda globale sull'offerta globale, a prescindere dalla quantità di moneta immessa nel sistema. Anche questa spiegazione, sebbene più ampia della precedente, si mostra insufficiente.
La versione monetarista e quella keynesiana sono le principali teorie concorrenti. Il loro problema è che entrambe edificano la propria tesi ipotizzando una condizione di piena occupazione, ovvero di assenza di disoccupazione, che non ha validità concreta in quanto non si dà nella realtà, e ciò vuol dire che il fenomeno non dovrebbe affatto presentarsi in un regime di occupazione normale, in quanto l'eccesso di moneta o di domanda sarebbe qui equilibrato da una cospicua presenza di disoccupati che, una volta assunti, andrebbero a rimpolpare la produzione e l'offerta. Inoltre riconducono erroneamente l'intera questione a una cagione unitaria non tenendo in considerazione le ulteriori sorgenti inflattive. Ma se si desidera porre le basi per una politica di contenimento e di risoluzione del problema, giacché tale è appunto la presenza d'inflazione all'interno della società, occorre operare una chiarificazione.
Vi sono altri due modi in cui i prezzi dei prodotti possono subire un innalzamento: con l'aumento del valore del prodotto, cioè dei costi per la sua produzione - prezzi dei macchinari e delle materie prime, trasporti, salari, eccetera -, oppure con la diminuzione del valore della moneta, in caso di svalutazione. Va inoltre considerata sia una situazione di concorrenza di mercato, sia una situazione di oligopolio, sia una di monopolio, che influiscono diversamente sul rapporto tra la domanda e l'offerta: nel primo caso infatti i prezzi tenderanno sempre a ridursi, nel secondo tenderanno alla stabilità, ossia a salire e a scendere moderatamente permanendo entro un certo livello, e nell'ultimo a impennarsi. Infine, l'azione della finanza speculativa può influire, attraverso la compravendita di strumenti derivati over the counter, pesantemente sul rialzo dei prezzi.
Sintetizzando i vari elementi elencati si può azzardare una spiegazione che renda conto di tutte le cause in atto: l'origine dell'inflazione va individuata, in definitiva, in un aumento della domanda di merci e servizi, nonché di titoli derivati, all'interno di un sistema economico a bassa produttività aziendale, oppure in mancanza di concorrenza sul mercato dei beni, e in cui sussistano mercati finanziari non regolamentati. 

Uroboro ...


Delineamento della pulsazione cosmica nel suo svolgimento perenne e destino dell'Universo


L'Universo, originato da un'esplosione primordiale denominata Big Bang, si espande inesorabilmente. La sua espansione non è un fatto accidentale, bensì un fenomeno necessario, il cui accadere è dettato dall'intima natura ed essenza profonda del cosmo medesimo (con tale termine non si intende l'Universo, bensì piuttosto l'ordine e l'armonia che lo caratterizzano, dalla parola greca "kosmos", che sta a significare appunto "ordine, armonia"), che è poi la natura e l'essenza di quell'elemento che lo compone in lungo e in largo: l'energia, ovvero l'anima del mondo.
La grande esplosione iniziale fu solo una scintilla che diede l'avvio al movimento, ma che non poteva far sì che esso continuasse a perdurare e aumentare; pertanto la Scienza ha scovato, a spiegazione di ciò, un ulteriore ampliarsi, e ne ha determinato la causa. Questo processo fu detto inflazione cosmica, e cioè quella fase, seguita al Big Bang, di espansione rapidissima dovuta all'azione della cosiddetta energia del vuoto, o energia oscura. Nei pressi di questa energia, la quale pervade l'intero spazio-tempo, ma era in principio compressa in uno spazio minuto e dunque aveva densità estremamente elevata, si verificano delle fluttuazioni quantistiche o vortici che generano coppie di corpuscoli materiali del tipo particella-antiparticella, i quali subito, nella loro contrarietà, si attraggono e scontrano annichilandosi l'un l'altro e tornando di nuovo nella condizione energetica precedente la loro creazione. Codeste micro-esplosioni, numerose e frequenti ai primordi, più rade oggi in seguito all'allargamento delle dimensioni dello spazio-tempo e alla conseguente rarefazione dell'energia, fanno da propulsore per il moto di espansione continuo. Tutt'ora infatti, com'è stato osservato, l'Universo accelera la propria espansione, seppure tale accelerazione è di gran lunga meno intensa che in passato. La proprietà naturale ed essenziale dell'Universo e dell'energia, la loro caratteristica più propria, risulta allora essere l'incremento senza limiti, il potenziamento assiduo e la crescita costante.  
Eppure anche questo movimento è destinato ad esaurirsi. Una opposta forza lotta contro la forza espansiva per il sopravvento, e aumenta la sua portata man mano che l'Universo si riempie di materia, la cui creazione a partire dall'energia non si arresta. La gravità, che ha nascita dalla deformazione spazio-temporale provocata dalla presenza dei corpi di materia sul tessuto energetico universale, attrae ogni corpo verso i corpi dotati di massa maggiore, e tutti i corpi in genere verso il centro ultramassiccio dell'cosmo, un buco nero sorto dalla grande esplosione. L'Universo allora non potrà che contrarsi e collassare, nel momento in cui codesta forza gravitazionale avrà superato e vinto la forza espansiva rivale, tendente, al contrario dell'altra, a ridursi fino a stabilizzarsi in un livello costante. Si avrà quindi il cosiddetto Big Crunch, o grande implosione, in un cammino a ritroso verso l'inizio. Ma proprio l'implosione dell'Universo, una volta compiuta, non potrà che causare nuovamente, con la sua violenza, una esplosione, e con essa un'espansione, e così via all'infinito in un un andamento ciclico e oscillatorio che in molte visioni cosmologiche assume il nome di eterno ritorno, e che si mostra come la prova più evidente dell'immortalità dell'Essere e della Natura.