martedì 14 gennaio 2014

Zoologia ...


Dimostrazione dell'insussistenza della razza e conseguente infondatezza del razzismo


Il concetto volgare di razza ha origine da un fraintendimento della scienza biologica in relazione allo studio del regno animale. La comprensione ordinaria crede che sussista - accanto alle determinazioni tassonomiche di dominio, regno, divisione, classe, ordine, famiglia, genere, specie e varietà - la determinazione di razza in quanto appartenenza a un raggruppamento di individui affini definito da identificabili caratteristiche fisiologiche omogenee ereditarie. In verità però tale determinazione non è riscontrabile né tra gli esseri animali né tantomeno tra gli esseri umani, o, più precisamente, nell'ambito delle categorie biologiche sunnominate rientrano tutte le tipologie di esseri osservabili all'interno della mondanità empirica e perciò il termine "razza" si mostra perlopiù come obsoleto.
Quando invece si parla di razze canine, feline ed equine non ci si riferisce a individui selvatici aventi qualità comuni, generatisi spontaneamente dal seno della Natura e sviluppatisi mediante processo evolutivo, bensì a individui addomesticati prodotti artificialmente attraverso incroci mirati e passati attraverso una intenzionale selezione umana allo scopo di far sorgere, preservare, migliorare certe caratteristiche reputate utili piuttosto che altre considerate inutili alle esigenze dell'uomo. In breve, è l'essere umano stesso a creare la razza (non soltanto il concetto astratto, ma anche il corrispettivo concreto), la quale non si dà nella realtà. 
Se ciò è vero allora risulta destituito il fondamento stesso del razzismo, ovvero della discriminazione razziale nei confronti di alcuni esemplari umani (peraltro scelti in maniera pressoché arbitraria e pregiudizievole), motivo ideologico malsano eppure, ahimé, ancora diffuso. Se infatti non sussiste razza alcuna all'interno del regno animale, non sussisterà nemmeno, e a maggior ragione, all'interno di quella specie, o regno a sé stante se così lo si vuol definire non a torto, che è la specie umana. Come potrebbero infatti presentarsi razze umane se non vi è e non vi può essere nessuno - giacché effettivamente non si dà un superiore organismo vivente - a produrle intenzionalmente?
La storia, millenaria, ha provveduto alla mescolanza delle innumerevoli varietà di uomo e gli uomini non hanno domandato che razza avessero di fronte a sé per decidere dell'accoppiamento e della procreazione. Dunque non esistono tipi umani incontaminati e popolazioni pure, ma tutti i tipi e le popolazioni hanno inevitabilmente subìto la combinazione e l'amalgama dei patrimoni genetici iniziali per dar luogo a infinite mutazioni e, pertanto, a infinite forme, che non cessano continuamente di innovarsi, anche in relazione all'ambiente, ed è codesto un processo irreversibile, inarrestabile ed essenziale al progredimento della specie umana medesima, altrimenti condannata alla stasi evolutiva e al ristagno della propria potenza.